Il canto dell’ Abbà

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Il Pater noster è la preghiera insegnata e consegnata da Gesù ai suoi discepoli. Luca colloca questa preghiera in uno dei momenti culminanti dell’attività pubblica del Maestro, quando i discepoli, avendolo visto pregare, gli chiesero una preghiera che li caratterizzasse come “suoi discepoli”, così come aveva fatto Giovanni Battista. Gesù, dopo aver pregato, insegnò loro come pregare. Commenta Tertulliano: “Solo Dio poteva insegnarci come vuole essere pregato. Solo da Lui, dunque, poteva venirci il culto ordinato della preghiera. Questa, proferita dalle sue divine labbra e come animata dal suo spirito, per sua grazia sale al cielo e raccomanda al Padre quello che il Figlio ci ha insegnato” (De Oratione IX, 3). Per Tertulliano, il Padre nostro è il “breviario di tutto il Vangelo”. Per Cipriano è “il compendio dei precetti del Signore” (De oratione dominica I,2) e per Agostino è anima e forma di ogni preghiera.

Gesù è il perfetto orante adoratore del Padre, la sua preghiera esprime la consapevolezza di essere unito a Lui e perciò la traduce in colloquio: lo chiama Abbà, in un sublime gesto di amore, di fiducia, di abbandono filiale. Nella preghiera Cristo matura le proprie scelte, le rinnova, le colloca nel piano di Dio. Gesù è costantemente rivolto a Lui, è una cosa sola con il Padre (Gv 10,30), è sempre in ascolto del Padre (Gv 5, 30; 8, 40); dice di conoscere il Padre (Gv 8, 59) di amarlo (Gv 14, 21). Durante le notti in preghiera, Padre e Figlio rimangono “cuore a cuore”. Gesù lo invoca ardentemente nei momenti decisivi della sua vita: prima di scegliere gli apostoli (Lc 6,12), prima di risuscitare l’amico Lazzaro (Gv 11, 41), prima di affrontare l’atroce dramma della morte (Lc 22,42) e sulla croce, prima di rendere lo Spirito al Padre (Lc 23, 46).  

Il Padre nostro, sintesi del suo insegnamento e testimonianza del rapporto col Padre suo, è la preghiera propria del cristiano. Gesù, dunque, ci consegna quello che vive. Parola chiave è Abbà, infatti, solo il figlio adottivo può invocare Dio: Abbà, Papà. San Paolo, nella lettera ai Romani, così scrive: Voi avete ricevuto…lo Spirito di figli adottivi in virtù del quale invochiamo: Abbà, Padre (8,15). E’ per Cristo, nello Spirito, dunque, che il cristiano instaura la relazione filiale. San Gregorio di Nissa ci dice che tutto il Pater è animato dallo Spirito: “Possiamo recitare il Padre nostro perché lo Spirito che viene in noi ci purifica e ci rende capaci di quei pensieri elevati e degni di Dio che ci sono indicati attraverso la preghiera insegnata a noi dalla voce del Salvatore” (III Omelia sul Padre nostro). Cirillo d’Alessandria presenta il Padre nostro come paradigma di preghiera breve e fiduciosa, di carattere battesimale ed eucaristico (cf Cat. Mist. 5).

L’invocazione iniziale: Padre nostro che sei nei cieli, ci assicura che tutti gli uomini hanno un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti (Ef 4,6). Dio non è né “Padre mio” né “Padre tuo” ma “Padre nostro”. Ogni frantumazione fraterna è distruzione della paternità universale divina. Il Pater noster è la più alta preghiera di comunione donata da Cristo e custodita dalla Chiesa e da essa trasmessa con materna sollecitudine a tutti i battezzati. Prima di pensare a quello che ci divide, bisogna pregare ciò che ci unisce, solo così si può raggiungere la sospirata unità voluta da Cristo che, pregando per la Chiesa dei credenti, implora: perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17, 21). Quando due o più cristiani pregano fraternamente insieme il solo Dio e Padre di tutti con la preghiera dell’unico Signore (cf Ef 4, 5-6), cessa ogni divisione e incomprensione e fiorisce la comunione, cadono le barriere teologiche e si costruiscono i rapporti di umana concordia e di armoniosa pace. L’ecumenismo non è frutto dei nostri sforzi, anche quello, ma, se quello, solo perché nello Spirito del Signore Gesù cantiamo insieme: Abbà, Padre! Il canto del Padre nostro pregato tra i cristiani o tra coloro che credono in Dio o che ancora lo cercano, non esprime solo fraternità esterna ma crea unità fraterna  come dono di grazia.   

Come celebrare questa preghiera di pura invocazione insegnataci da Gesù? I Bizantini e gli Slavi la esprimono con modi opposti: i primi la dicono molto lentamente, proscrivendo il canto; gli Slavi la cantano coralmente e in ginocchio. Il Padre nostro, nella Chiesa Latina, si è sempre cantato con quella melodia semplice e lineare che tutti conosciamo e che in ogni celebrazione fiorisce sulle labbra oranti di tutti i credenti. Sarebbe opportuno proporlo nelle diverse lingue con il massimo della declamazione e il minimo di musica, evitando melodie sciatte e ridicole o ritmi troppo marcati che snaturano il senso dell’invocazione e coartano la purezza espressiva della preghiera più bella insegnataci da Gesù. Banalizzare musicalmente il Testo è dissacrare e massacrare la parola divina disprezzandone il dono. Se tutti i cristiani cantassero in entusiasmo la preghiera dell’Abbà, entrerebbero subito nel cuore del Vangelo, farebbero propri gli stessi sentimenti di Cristo, rinnoverebbero la propria fede nella paternità di Dio annunziandola a tutte le genti e riconoscerebbero la radice dell’unità e della fraternità universale. Tertulliano ne fa la più eccelsa beatitudine: “Beati coloro che conoscono il Padre” (De Oratione  III, 3). Sì, la sublime conoscenza di Dio Uno Trino è la beatitudine delle beatitudini!

Maria, la Beata Vergine Madre, prima che il Figlio Gesù insegnasse la preghiera dell’Abbà, l’aveva già pregata nella nuova “relazione filiale” instaurata dal Figlio per l’effusione dello Spirito nel cuore dei figli; l’aveva vissuta nello spirito della preghiera d’Israele tutta orientata verso questa preghiera e l’aveva cantata, con l’esplosione dell’anima e dello spirito, nel suo Magnificat. Il Cantico della Madre, infatti, è tutto sostanziato della Preghiera del Figlio. La prima parte del Pater è tutta una tensione verso Dio, nella ricerca della sua Gloria, del suo Regno, della sua Volontà. Nella seconda parte Maria, povera e umile, tutto attende da Dio, suo Signore e suo Salvatore. Tutto sa di avere ricevuto da Lui: la vita, la grazia, la pace, la liberazione dal male. Nel Magnificat, Maria mette in luce i criteri con cui Dio opera nella storia degli uomini.  Innanzitutto, evidenzia l’essenza del potere: i grandi dominano sui piccoli, i ricchi sui poveri, i violenti sui miti, i belligeranti sui pacifici; poi rivela come il Padre agisce con i veri figli: Rende il potere ai piccoli, la ricchezza ai poveri, la terra ai miti, la vista ai puri di cuore; consola gli afflitti, libera gli oppressi, diffonde lo spirito di pace e di misericordia. Sarà una frattura tra chi accoglie, prega e vive la figliolanza nello spirito del Pater e chi, invece, respinge, non prega e non vive in comunione con Dio.

La preghiera esprime la solitudine del credente che si sente straniero in questo mondo. Insoddisfatto del presente è proteso verso il futuro rivolgendosi a Dio con lo stesso tono di confidenza e di tenerezza di Gesù. Il termine usato è parresìa cioè quella “disinvolta familiarità” con cui i bambini si rivolgono al loro abbà papà. Questa disinvolta familiarità significa creare spazio perché Dio Padre possa operare la sua volontà in noi. La vera preghiera non costringe Dio dentro i nostri progetti e piegarlo verso i nostri desideri. E’ questa la differenza tra il Dio vero e il dio pagano costruito dalle mani dell’uomo. Il dio pagano si fa garante dei nostri desideri, ci ascolta, ci dà ragione, ma per questo ci tradisce e ci smentisce, lasciandoci in preda delle nostre illusioni. La preghiera che Gesù ci ha insegnato si fonda su due pilastri fondamentali: la fiducia e l’obbedienza necessarie per l’avvento del Regno di Dio.

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