Umile preghiera dell’ abbandono

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Signore, non si esalta il mio cuore

né i miei occhi guardano in alto;

non vado cercando cose grandi

né meraviglie più alte di me.

Io invece resto quieto e sereno:

come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,

come un bimbo svezzato è in me l’anima mia.

Israele attende il Signore,

da ora e per sempre (Sal 131).

Nella profonda religiosità di questo breve salmo, traspare luminosa la filiale fiducia dell’umile orante che si abbandona nelle braccia del suo Signore. Nella preghiera risalta il contrasto tra la superba ambizione dell’orgoglioso e la semplicità di cuore dell’umile. L’immagine, “sempre antica e sempre nuova”, della mamma che addormenta tra le sue braccia il bambino dopo essere stato allattato, commuove chi, con occhio umile e puro, si lascia afferrare dalla materna tenerezza di Dio. Cos’è la preghiera se non il sublime restare cor ad cor con Dio? Il Signore respinge ogni gesto di orgoglio, di superbia e di altezzosa megalomania, Egli è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità (Sal 145,18).

Gesù rimane sempre incantato nel vedere l’ingenuo abbandono e la fiducia semplice dei bambini che credono in lui quasi per istinto. I bambini lo amano senza paura, senza calcoli e senza troppi “perché”, essi vedono in lui soltanto un amico. In quei tempi, in Palestina, e non solo lì, il bambino ricopriva un ruolo trascurabile, i discepoli, infatti, sgridavano quelli che portavano i bambini, non perché potevano disturbare il Maestro, ma proprio perché i bambini non contavano nulla. Gesù pensa in modo opposto e richiama i discepoli dicendo: Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso (Mc 10,14-16). Una delle caratteristiche della nuova comunità messianica sarà, infatti, la rinuncia all’orgoglio, all’autoesaltazione, perciò l’unico atteggiamento adatto per “accogliere” il Regno di Dio è, appunto, quello dei bambini. Il Regno di Dio deve essere accolto proprio perché è un’iniziativa divina e soltanto chi lo accoglie con il cuore umile e semplice di figlio vi potrà entrare. Non è l’uomo che costruisce il Regno di Dio: egli può solo accoglierlo, perché non è una conquista umana ma un dono divino. Il termine greco “bambino” indica l’età di chi ha raggiunto l’uso di ragione assieme all’innocenza congiunta alla capacità di credere agli altri, di accogliere quello che è loro detto, di gioire e di meravigliarsi. Il bambino accetta di essere senza potere, crede all’amore senza discussione, ignora la potenza del denaro. Diventare bambini nel senso di Cristo è, perciò, sinonimo di maturità umana e cristiana. Questa è “infanzia spirituale” che è via ordinaria per vivere la santità: abbandono filiale al Padre nella pace serena del cuore.

La nostra intelligenza, afferma san Paolo, è talvolta annacquata da vuoti raggiri e dalla mentalità del secolo presente, per cui vediamo e ascoltiamo la Parola non come rivelazione divina, ma come qualcosa da interpretare, da commentare, da strumentalizzare per le nostre esigenze immediate. Bisogna riscoprire il genuino atteggiamento dei “bambini” del vangelo che ascoltano con attento stupore e raccolgono con meraviglia ogni briciola che cade dalla mensa di Dio, in modo che ogni Parola, all’interno del silenzio adorante e nell’ascolto attento, si trasformi in preghiera di lode, di rendimento di grazie, di supplica e di benedizione.

In Osea, il Signore dice: Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare (11,4). Nel Deutero Isaia, il Libro della Consolazione d’Israele, così parla il Signore: Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai (49,15). Anche nel Terzo Libro di Isaia leggiamo: Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria… Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò, a Gerusalemme sarete consolati (66,11.13).  

Nella sublime preghiera di Gesù vediamo riflesso lo spirito del Salmo 131: Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza (Mt 11,25-26). L’Abbà, Padre! è la preghiera unica e insostituibile dei cristiani che invocano Dio col cuore di figli e si avvicinano al “roveto ardente” in cui si nasconde la forza suggestiva del nostro Dio-Abbà. Bisogna togliersi i sandali delle nostre sicurezze; congedare la folla dei pensieri vaganti; allontanare affetti e preoccupazioni disorientanti; lasciare a valle tutto il nostro operare, il correre affannoso e faticoso del rincorrere successi e vane glorie, per salire con i piedi nudi della fede pura, sul monte dell’incontro a cuore a cuore con Dio. Sul monte della rivelazione dobbiamo lasciarci attrarre dalle “vampe del Signore” che ci attende con cuore di Padre. Discenderemo allora col “viso raggiante” e, ricolmi d’incontenibile gioia, canteremo in entusiasmo ai fratelli la bontà, l’amore, la compassione, la tenerezza di Dio che si commuove per i suoi figli “stanchi e sfiniti” (cf Mc 6,30-34).

Oggi, purtroppo, siamo immersi, non più nel melodico silenzio del cuore, ma nel continuo flusso e riflusso di rumori, di baccano, di una logorrea di parole senza pensiero e di suoni privi di musica. Il bombardamento delle immagini più spietate non fa essere padroni del nostro “io”, della nostra intimità, del fascino misterioso del nostro Dio che è in noi, con noi e per noi.

Il Salmo 131 ci istruisce che il mistero della quiete e della serenità è la qualità tipica dei mistici. “Mistero” e “mistica” hanno la loro origine dalla lingua greca che significa “tacere”. Il “tacere” non è gesto noioso e fastidioso, non è l’incubo del mutismo in cui si viene a trovare il superficiale che non ha vita interiore. Il “tacere” evangelico è il silenzio carico di mistero e colmo di rivelazione che è più eloquente di tante parole. È il silenzio dei veri innamorati che stanno insieme e, fissandosi con gli occhi del cuore, non dicono nulla, consapevoli che l’universo dell’amore riflette lo sguardo di Dio che è intimo rapporto d’amore.

Dio ci attira nel silenzio del cuore per rivelarsi e farci conoscere il suo disegno di salvezza. Se siamo “affaticati e oppressi” dalla storia e dalla vita, abbandonati nelle sue braccia paterne, troviamo la dimensione “quieta e serena” del bimbo in braccio a sua madre. Nell’intimità della preghiera, rimaniamo quieti e sereni nelle sue braccia di Padre-Madre per sfuggire all’euforia idolatrica della folla cieca e sorda, mentre Egli ci fa “sentire la sua Voce” e ci “prepara la Mensa”. Ci guida tenendoci per mano, ci insegna a camminare nella valle oscura della quotidianità, e, se abbiamo paura, ci solleva come bimbo alla sua guancia. Il “suo bastone e il suo vincastro” ci daranno sicurezza nell’aspro cammino della fatica quotidiana. E se gli idoli ci disperdono, ci stordiscono e ci disorientano, e se i pascoli aridi, in cui ci conducono le guide cieche che cercano se stesse, ci lasciano brancolanti e sbandati nella tenebra di morte, solo la Parola di Luce ci guiderà e il Cibo di Vita ci sazierà.

Non occorrono, dunque, recinti sacri, ritualismi vuoti, formalità aride e idolatriche, perché solo il Cristo di Dio, Pastore buono e bello, ci raccoglie nell’unico ovile e, donando se stesso per amore, ricolma il nostro povero calice per farlo traboccare di felicità e grazia per tutti i giorni della nostra vita. L’Amore ha osato donarsi e rivelarsi per dare significato pieno alla nostra esistenza. Osiamo amare come lui ci ha amati: Egli lo ha reso possibile nella totalità e nella quotidianità.

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