Dal Mistero ai servizi Ministeriali

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Plinio il Giovane, nella sua Lettera a Traiano, presenta i cristiani come un gruppo particolare che ha la consuetudine di riunirsi…per cantare a cori alterni un inno a Cristo, come a Dio. La testimonianza di Plinio ci tramanda il modo e il contenuto della preghiera liturgica dei primi cristiani. Essi si riunivano per celebrare il Cristo di Dio col canto degli inni eseguito in forma antifonica. Cantare la Liturgia significa percepire l’indicibile Mistero che, nella sacramentalità liturgica, viene sperimentato attraverso i santi simboli che lo rendono presente.

Il gesuita Lodovico Cresolli Armorici, nel suo Mistagogus, ci fa conoscere la famosa questione della celebre Missa Papae Marcelli di Palestrina (1567) e così scrive: Durante le funzioni del Venerdì Santo, il pontefice rimase colpito dal contrasto fra la celebrazione di un doloroso mistero, ben espresso nelle parole del testo liturgico, e il carattere del servizio musicale, eseguito dalla cantoria: erano polifonie del consueto stile fiammingo, complesse e ampollose, in cui non solo le parole, ma anche il significato della ricorrenza sacra venivano sommersi, quasi annullati. Marcello II volle allora spiegare personalmente ai cantori come ben diversamente dovesse intendersi il compito della musica da chiesa, ausilio al sentire e all’intendere la parola divina”. I verbi latini usati sono efficacissimi: “audire atque percepi”. Il Papa, giustamente, mette in evidenza due elementi fondamentali per una piena partecipazione alla celebrazione dei divini Misteri: l’ascolto e la percezione.

L’arte liturgico-musicale è questione di fede o solo problema di estetica? È epifania e accoglienza del Mistero o pura venerazione dell’arte?

La questione dell’arte “della Liturgia” non è il problema dell’arte autonoma “nella Liturgia”. Nella Liturgia, l’arte musicale è azione simbolico-ministeriale in rapporto all’entrare vivo nella celebrazione dei Misteri per potervi pienamente partecipare. La musica è, pertanto, arte simbolica, ministeriale e mistagogica: simbolica, perché “rende visibile” il Mistero, evocandolo; ministeriale, perché è a servizio della celebrazione del Mistero; mistagogica, perché aiuta l’orante liturgico a introdursi nel Mistero.

Come gli altri segni liturgici, musica e canto sono “segni di Dio per l’uomo” che annunziano e attuano la salvezza, e “segni dell’uomo a Dio” come risposta di fede e apertura di cuore per accogliere il Dono. Parole e gesti, ascolto e visione, profumi e sapori, ritmi e melodie della celebrazione liturgica diventano “realtà teandriche”, cioè, vita a due tra divino e umano; umanizzazione del divino e divinizzazione dell’umano.

La Sacrosanctum Concilium situa, innanzitutto, il canto e la musica in prospettiva teologale: essi, infatti, partecipano al fine della Liturgia che è “gloria di Dio e santificazione dei fedeli” (SC 112). La gloria di Dio che santifica i fedeli, la santificazione dei fedeli che rende gloria a Dio. Solo così si evita il pericolo di ogni tentazione idolatrico-teatrale. Bach, in ogni sua partitura scriveva: Soli Deo gloria. Il sommo musicista non aveva capito soltanto la musica, ma, innanzitutto, ne aveva percepito la finalità.

In effetti, nessuna “musica sacra” può essere compresa senza una vera e profonda conoscenza della divina Liturgia. Il canto liturgico, infatti, nasce, fiorisce e fruttifica, come esperienza viva della preghiera liturgica di tutti i credenti che si “riuniscono” per “ascoltare e percepire”, cantando “a cori alterni”, il sublime inno dossologico “per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Dio Padre onnipotente nell’unità dello Spirito Santo”.

L’ordinamento autentico della celebrazione liturgica presuppone la debita divisione e l’esecuzione degli uffici, per cui “ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, compia solo e tutto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza” (SC, 28). Non ha senso, infatti, in un rito che pretende di fare celebrare tutti e ciascuno a suo modo, non far cantare tutti e ciascuno a suo modo nell’assemblea. Quest’articolata partecipazione non va pensata in termini concertistici di divisione tra esecutori e pubblico, ma come esercizio ministeriale di comunione e come manifestazione della natura gerarchica e comunitaria di comunione ecclesiale.

Per quanto riguarda il servizio musicale, nella linea dei “carismi” e della “diaconia”, il servizio alla celebrazione liturgica è inteso sempre e unicamente come “ruolo ministeriale”. Nell’unico grande ruolo dell’assemblea riunita possiamo distinguere i seguenti ministeri:

Presidente

Egli rende presente in modo particolare Cristo. Opera in persona Christi. Presiede l’assemblea della quale è il primo cantore. Canta i saluti, le orazioni, il prefazio, la dossologia, la benedizione finale. Guida l’assemblea verso la lode piena e consapevole al Padre, per Cristo, nello Spirito.

– Diacono

Ha come impegno l’evangelizzazione e il servizio fraterno di carità. Nella celebrazione ha il compito di proclamare nel canto Il Vangelo, il Preconio pasquale, le preghiere litaniche e tutta una serie die monizioni che introducono i vari momenti rituali, preparando l’assemblea ad accogliere Cristo presente nella Parola e nell’Eucaristia.

– Salmista

Arduo e delicato è il suo ministero. Il suo ruolo è antichissimo sia nella liturgia sinagogale sia in quella cristiana. E’ stato rimesso in luce dalla Riforma liturgica del C.E. Vaticano II. Oltre a Papa Damaso che loda il placidum modulamen del canto del salmista, anche Leone, Sabino e varie iscrizioni romane dei sec. IV e V esaltano l’arte di questo esperto cantore solista. Il suo non è ruolo esibitivo-spettacolare, ma profetico, artistico e ministeriale. San Giovanni Crisostomo, nell’omelia 31 su 1Cor., dice: “Soltanto il lettore parla, anche il Vescovo ascolta in silenzio. Soltanto il salmista canta il salmo. Quando tutti rispondono al suo canto, allora è una voce sola che esplode da tutta l’assemblea, come da una sola bocca. Anche sant’Agostino, nell’Esposizione sul salmo 122, facendo notare che la voce del salmista è voce dell’assemblea, esorta: “Che egli canti col cuore di ciascuno di voi, anzi, che ciascuno di voi sia quel cantore”.

– Cantore guida

Il PNMR 64: E’ opportuno che vi sia un cantore o maestro di coro per dirigere e sostenere il canto del popolo. Anzi, mancando la schola è compito del cantore guidare i diversi canti, facendo partecipare il popolo per la parte che gli spetta”.

– Schola cantorum.

L’istruzione MS 19 scrive che suo compito “è quello di eseguire a dovere le parti che sono proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto”. Il  PNMR 247 istruisce che la schola cantorum o coro “fa parte dell’assemblea dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio; dev’essere quindi agevolato il compito del suo ministero liturgico e facilitata a ciascuno dei suoi membri la piena partecipazione alla Messa, cioè, la partecipazione sacramentale”. Il Coro ha, dunque, il compito di cantare con l’assemblea per sostenerla, cantare alternativamente con essa per dialogare nelle forme responsoriali, cantare per essa nei momenti in cui il popolo è coinvolto con l’ascolto.

Stumentisti

L’utilità degli strumenti a servizio della celebrazione liturgica è sottolineata dal n.120 di SC e dal cap. VIII di MS. Gli strumenti possono essere usati se si integrano in modo armonioso con l’azione rituale sia come sostegno al canto, sia come esecuzione autonoma. SC 120 raccomanda che “nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere una notevole grandiosa solennità alle celebrazioni della Chiesa e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti”. Anche per lo strumentista si richiede un’adeguata padronanza tecnica insieme alla formazione liturgica e spirituale.

Alla declinazione sonora nell’articolazione celebrativa dell’anno liturgico.

L’anno liturgico, radicato nel Mistero di Cristo-tempo, è la storia della salvezza che si fa presente ed è il Mistero di Cristo “rivissuto” dall’assemblea che celebra nel fluire del tempo. Il Verbo di Dio, con la sua incarnazione, si è “inscritto”, non in un tempo astratto o mitico, ma nel tempo della storia dell’uomo, facendone un tempo di reale e attuale storia di salvezza. L’anno liturgico costituisce uno dei “sacramentali” privilegiati della presenza di Cristo ed è il luogo delle epifanie del suo venire-restare con noi sino alla consumazione del tempo. Canti e musiche sono, pertanto, intimamente legati all’hodie liturgicus.

– All’interno di una determinata cultura

La celebrazione dell’Agape racchiude tutte le creature in uno splendido cerchio d’amore che consiste nell’unire e nell’accordare uomini d’ogni razza, lingua e cultura in un’armoniosa e perenne Pentecoste in cui lo Spirito, pur nella “diversità delle lingue”, dà a ciascuno il potere di esprimersi e di farsi comprendere (Cf. At 2, 4). E’ lo Spirito il centro unificatore e propulsore del Corpo ecclesiale. E’ lo Spirito che raduna, non per un’assemblea statica, muta, inerte spettatrice anonima di una scena sacra cui assistere, ma per un’assemblea che crede, che vive ciò che crede, che canta con la voce e con il cuore ciò che crede e vive.

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