Il messaggio di Papa Francesco al meeting di Anversa: le religioni cooperino per la pace

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Domenica mattina ad Anversa si è aperto il XXVIII Incontro Internazionale della Comunità di Sant’Egidio sul tema ‘La pace è il futuro: religioni e culture in dialogo 100 anni dopo la Prima Guerra Mondiale’ con una celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo della città ospitante nella cattedrale ‘Nostra Signora’, mons. Johan Bonny, che ha salutato i delegati:

“Questo incontro internazionale si svolge ad Anversa esattamente 100 anni dopo che la nostra regione e la nostra città sono state tormentate dai terribili eventi della prima guerra mondiale. Un gran numero di soldati morirono sul campo e ancora più numerosi cittadini lasciarono la città, in lunghe catene di sofferenza e di incertezza. Alcuni giorni dopo iniziò la battaglia assassina che sarebbe durata per quattro anni, in un’unica lunga linea del fronte che partiva da Ijzer fino alla Somma.

In questi giorni commemoriamo devotamente tutte le vittime della prima guerra mondiale. Ma non solo loro. Ci sentiamo vicini a tutte le vittime delle guerre e della violenza dei nostri giorni, attraverso così tante linee del fronte sparse in tutto il mondo”. Nell’omelia Ignatius Aphrem II, patriarca siro ortodosso di Antiochia e di Tutto l’Oriente, ha sottolineato il valore della pace, partendo da una citazione di un Padre della Chiesa del V secolo, san Giacomo di Sarough, un grande dottore della Chiesa siro-ortodossa, che descrive così l’idea della pace:

‘La compassione si mescolò con gli esseri umani che si erano smarriti; con tale commistione, Tu li ha trovati per ricondurli indietro: sei diventato [uno] di noi e qui Tu sei il nostro compagno; Emanuele, che è venuto a liberare gli schiavi di Suo Padre’: “Oggi, è diventato difficile essere consapevoli della presenza di Dio tra noi, in mezzo a tutti i problemi e le difficoltà della vita.

In realtà, le nostre vite quotidiane sono cariche di esperienze travagliate tali che talvolta diventiamo incapaci di vedere le piccole cose che mostrano chiaramente che Dio è presente in mezzo a noi e con la Sua divina provvidenza si prende cura di noi… Dio è presente in mezzo a noi, fratelli e sorelle, quando vediamo la speranza negli occhi di un bambino costretto a lasciare la sua casa e la sua città di Mosul in Iraq per un destino sconosciuto.

Tale speranza questo bambino conserva perché crede che Gesù Cristo è con lui ed egli non sarà deluso, proprio come Dio camminava innanzi al popolo di Israele in una colonna di nube e di fuoco durante il suo esodo dall’Egitto”. Ed ha concluso con una domanda piena di speranza: “E cosa succede quando siamo in grado di vedere che Dio è in mezzo a noi? Siamo in grado di raccogliere i frutti dello Spirito Santo: ‘amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé’.

In verità vi dico: noi siamo in grado di celebrare, nonostante la miseria che possiamo incontrare e la disperazione che ci potrebbe circondare. I frutti dello Spirito Santo sono dolci e portatori di vita. Anzi, ci permettono di rivelare il vero significato della nostra vita, che è quello di celebrare Dio e la Sua presenza in mezzo a noi”.Nel pomeriggio, prima della sessione plenaria, è stato letto il messaggio inviato da papa Francesco, che ha sottolineato il ruolo fondamentale delle religioni per la pace:

“Il tema dell’Incontro di quest’anno, ‘La Pace è il futuro’, richiama il drammatico scoppio della Prima Guerra Mondiale cento anni fa, ed evoca un futuro in cui il rispetto reciproco, il dialogo e la cooperazione aiuteranno a bandire il sinistro fantasma del conflitto armato. In questi giorni in cui non pochi popoli nel mondo hanno bisogno di essere aiutati a trovare la via della pace, questo anniversario ci insegna che la guerra non è mai un mezzo soddisfacente a riparare le ingiustizie e a raggiungere soluzioni bilanciate alle discordie politiche e sociali.

In definitiva ogni guerra, come affermò Papa Benedetto XV nel 1917, è una ‘inutile strage’. La guerra trascina i popoli in una spirale di violenza che poi si dimostra difficile da controllare; demolisce ciò che generazioni hanno lavorato per costruire e prepara la strada a ingiustizie e conflitti ancora peggiori… E’ giunto il tempo che i capi delle religioni cooperino con efficacia all’opera di guarire le ferite, di risolvere i conflitti e di cercare la pace. La pace è il segno sicuro dell’impegno per la causa di Dio.

I capi delle religioni sono chiamati ad essere uomini e donne di pace. Sono in grado di promuovere una cultura dell’incontro e della pace, quando altre opzioni falliscono o vacillano. Dobbiamo essere costruttori di pace e le nostre comunità devono essere scuole di rispetto e di dialogo con quelle di altri gruppi etnici o religiosi, luoghi in cui si impara a superare le tensioni, a promuovere rapporti equi e pacifici tra i popoli e i gruppi sociali e a costruire un futuro migliore per le generazioni a venire”.

Nell’introdurre i lavori il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, prof. Andrea Riccardi, ha descritto il quadro mondiale attuale: “La pace non sembra il futuro. Non lo sembra anche in grandi città, specie nelle periferie, dove domina la violenza diffusa delle mafie o delle criminalità, che educano i giovani al culto della violenza. Quasi una guerra civile. In tanti paesi del mondo, ho in mente alcuni Paesi africani, lo Stato non protegge il cittadino, che si ritrova nelle mani violente di gruppi criminali o pseudoreligiosi…”.

Ed ha ricordato tre uomini del dialogo religioso: “Ho in mente uomini di dialogo e religione: due vescovi cristiani siriani, Mar Gregorios Ibrahim e Paul Yazigi, e Paolo Dall’Oglio, rapiti da più di un anno in Siria, di cui non si ha notizia… Le religioni sono attratte talvolta dal culto della violenza, capace di sollecitare un fanatismo disumano e semplificatore.

Non solo le religioni debbono resistere, ma riandare alla loro profonda forza di pace. Questo avviene nell’incontro e nel coltivare con generosità la dimensione spirituale dell’amicizia. La forza di questo cammino nello spirito di Assisi è confermare che non c’è guerra e violenza in nome di Dio: lo diciamo all’interno delle tradizioni religiose stesse, avvertendo che la violenza in nome di Dio è bestemmia.

Tutte le tradizioni religiose parlano di un Dio paziente, misericordioso, lento all’ira, compassionevole… Così quella ebraica, cristiana e musulmana. Bisogna che, in questo tempo difficile, gli uomini e le donne di religione trovino l’audacia di ricordare che la pace è il nome di Dio. Trovarci insieme, in quest’anniversario della prima guerra mondiale, di fronte allo scenario conflittuale del nostro tempo, ci dà la forza di affermare che la pace è il futuro”.

Dopo i saluti di Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Europeo, che ha ricordato il padre fondatore dell’Europa unita, Robert Schumann, che ha affermato che l’Europa è un concetto generoso, perché è l’attuazione pratica di perdono e riconciliazione, si è avuta la testimonianza di Vian Dakheel, membro del Parlamento irakeno, componente della comunità yazida, che ha ricordato quello che sta avvenendo:

“Ci sono  400.000 migranti Yazidi, di cui  300.000 nel Sinjar.  Ci sono stati finora circa  3000 morti: le vittime sono state in parte uccise dall’Isis (l’Organizzazione dello Stato Islamico in Irak e nel Levante), in parte sono morte di fame e sete nei primi giorni di fuga sulla montagna del Sinjar. Circa 5.000 persone sono state rapite : uomini, donne, bambini, famiglie. La maggior parte di loro sono stati rapiti dall’Isis in diverse zone del  Sinjar.

Centinaia di ragazze sono state violentate e centinaia sono state vendute, sono considerate come schiave e secondo l’Isis si ha il diritto assoluto di trattarle così. Dozzine di ragazze sono state vendute nei mercati della città di Mossul per 150$. Circa 300 ragazze sono state vendute in Siria e i casi di violenza continuano”. Il rabbino Abraham Skorka ha fatto un excursus biblico della parola pace:

“La pace è lo stato sublime al quale devono aspirare e per il quale devono lavorare tenacemente gli uomini. Sebbene la sua realizzazione ultima dipenda dalla volontà di Dio, è una sfida dell’umanità di tutti tempi costruire una realtà che forzi lo stesso Creatore a benedire le sue creature con la pace, così come la stabilisce nell’alto dei cieli”. E Shawki Ibrahim Abdel-Karim Allam, Gran Muftì della Repubblica Araba d’Egitto, ha portato il contributo dell’Islam alla pace:

“Uno dei problemi delle comunità religiose oggi è la questione dell’autorità… Questo atteggiamento eccentrico e ribelle verso la religione apre la porta a interpretazioni estremiste dell’Islam, che gli sono estranee. Infatti, nessuno di questi estremisti ha studiato l’Islam in un centro  di istruzione religiosa affidabile, ma sono il prodotto di ambienti pervasi da problemi, si affidano a interpretazioni distorte e perverse dell`Islam che non hanno fondamento nella dottrina tradizionale islamica. Il loro obiettivo è puramente politico e non ha fondamento religioso, ed è quello di diffondere scompiglio e caos nel mondo”.

Infine di nuovo il patriarca Ignatius Aphrem II ha ricordato la drammaticità del Medio Oriente, in quanto senza la pace nella terra delle tre fedi in Dio, non c’è futuro per l’umanità: “…la situazione esplosiva del Medio Oriente, con la recente violenza a Gaza, spezza il cuore; tuttavia le speranze di pace, l’ottimismo che spinge a pensare all’alba di un giorno migliore, ancora albergano nel cuore della gente. Con l’occasione facciamo appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà perché lavorino per la promozione della pace nel mondo”.

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