Ebola: la testimonianza di un missionario salesiano

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Con un ritmo quasi incalzante, le epidemie di Ebola, più o meno ogni anno, colpiscono i Paesi dell’Africa Subsahariana. L’ultima risale al gennaio scorso ed è ancora in corso. Interessa il versante occidentale del continente e al momento ha causato più di 1.000 morti, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). La Guinea, focolaio dell’epidemia, non è più il Paese della regione maggiormente colpito dalla pandemia, sebbene sia quello che ha registrato più decessi (680 casi e 444 morti).Il virus si è, infatti, esteso soprattutto in Sierra Leone, con 454 casi accertati di cui 219 mortali, mentre in Liberia sono stati rilevati 650 casi e 413 morti ed uomini armati hanno fatto irruzione in un centro di cura del virus a Monrovia, saccheggiandolo e provocando la fuga di 29 malati tra sabato e domenica, convinti che sia una montatura governativa.

Identificato per la prima volta nel 1976 nell’ex Zaire, Ebola è uno dei virus più contagiosi che si conoscano e anche uno dei più letali. Causa emorragie interne, e a volte anche esterne, che provocano la morte fino al 90% delle persone infette. L’incubazione può andare dai 2 ai 21 giorni (in media una settimana), a cui fanno seguito manifestazioni cliniche come febbre, astenia profonda, cefalea, dolori delle articolazioni e dolori muscolari, vomito e diarrea.

Per cercare di capire meglio la situazione abbiamo contattato il missionario salesiano, don Nicola Ciarapica, direttore della comunità salesiana ‘Don Bosco – Matadi’ a Monrovia, capitale della Liberia: “I cittadini si stanno organizzando. All’ingresso dei negozi e delle chiese o anche ai distributori di benzina, si trovano secchi con acqua mescolata a sapone e cloro. Prima di entrare infatti, è obbligatorio lavarsi le mani.

Purtroppo l’infezione, che in Liberia era iniziata lo scorso marzo con alcuni casi circoscritti ad un’area ben definita, è sfuggita al controllo umano ed è arrivata anche nella città di Monrovia. In poco tempo la situazione è diventata pericolosa tanto da trovare impreparati non solo i cittadini, che hanno preso con superficialità le comunicazioni trasmesse alla radio, ma anche le strutture sanitarie. Proprio gli ospedali sono stati i centri di maggiore diffusione  dell’epidemia.

Alla notizia dei primi medici che avevano contratto l’Ebola assistendo i malati, sono seguiti periodi in cui è stato difficile trovare un medico al posto di lavoro insieme alla chiusura di alcuni ospedali dove si erano registrati casi di contaminazione. Inoltre il panico e la preoccupazione si stanno sempre più diffondendone tra la popolazione allarmata dal suono delle sirene delle ambulanze che attraversano la città trasportando le persone contagiate”.

Ora come è la situazione?
“La situazione è ancora grave e la gravità è data non solo dal numero dei morti ma ancor più direi dal fatto che non è ancora sotto controllo. L’infezione in Liberia è iniziata con alcuni casi in Lola, un piccolo ‘angolo’ della Liberia. Ora si è diffusa anche nella capitale Monrovia dove vivono  1.500.000 dei poco più di 3.500.000 di Liberiani. Inoltre quando i primi malati di Ebola sono stati ricoverati negli ospedali, hanno trovato le strutture totalmente inadeguate e impreparate a riceverli e prendersene cura.

I medici, infermieri e addetti alle pulizie hanno contratto il virus a loro insaputa.  La conseguenza immediata è stata la chiusura forzata di ospedali e il rifiuto dei medici di presentarsi al posto di lavoro per mancanza di attrezzature, strutture e organizzazione. Tutta la comunità dei tre confratelli dell’ordine ospedaliero ‘FateBeneFratelli’  don Miguel, fratel Patrick, fratel George che dirigevano l’ospedale Cattolico di Monrovia e Suor Chantal della Congregazione delle Missionarie dell’Immacolata Concezione sono morti per aver contratto la febbre emorragica mentre curavano i malati; tre altre suore della  comunità e  diversi loro collaboratori sono morti o risultati positivi. Il ‘gioiello’ ospedaliero che in 50 anni avevano creato è ora chiuso e non si sa fino a quanto. Purtroppo non è il solo ospedale chiuso”.

Come si è diffuso il virus?
“Il virus tra gli uomini si è diffuso per contato con animali di bosco malati di questa infezione o con le loro secrezioni o per aver mangiato frutta infettata da animali con virus. Poi una volta entrato nel corpo umano, il virus che causa forti febbri ed sudorazioni, vomito, diarrea, perdite di sangue, raffreddore, tosse, si trasmette tramite contatto con i pazienti, con i loro indumenti sporchi, anche con il contato con il corpo dei morti.

Le cure dei familiari per chi è malato, l’ignoranza dei minimi accorgimenti da tenere nei confronti di chi contrae questa infezione, il movimento delle persone da un posto all’altro anche in cerca di punti dove poter essere ricoverato, la totale inadeguatezza dei centri medici e ospedalieri, già molto carenti in questi paesi, fanno tutto il resto”.

Si è agito subito?
“Quando la notizia che in Guinea Conakry e anche nella loro capitale c’erano stati  casi di la Febbre Emorragica (Ebola), in Liberia si è creduto che come per il passato si sarebbe tutto aggiustato nel giro di poche settimane.  Purtroppo non è stato così e quasi subito si sono manifestati casi anche il Liberia e Sierra leone ma in posti confinanti con la Guinea Conakry. In Sierra Leone la situazione è sfuggita dal controllo quasi subito e anche li presto ha raggiunto Freetown.

In Liberia sembrava che la situazione in Lola, dove si erano manifestati primi casi, fosse quasi risolta. Per di più essendo la nazione ancora sotto il controllo delle forze delle Nazioni Unite, ci si illudeva che si poteva facilmente circoscrivere. Soprattutto per la non informazione su come comportarsi e la lentezza nell’isolare l’area, i casi di persone infette e morte per Ebola si sono manifestati anche nella provincia della capitale, nelle sue periferie e poi nella città stessa.

La radio e la stampa, prima in forma non allarmante ma pressante aveva cominciato a diffondere notizie sulla gravità del fatto ma non sono state prese sul serio dalla popolazione, le informazioni non erano adeguate, né sono state date precise indicazioni su dove andare e come comportarsi. Questo unito alle inadeguatezza di strutture e di mezzi delle strutture ha fatto si che la febbre emorragia infettasse medici, personale addetto agli ospedali e anche personale governativo.

Quando si è dichiarato lo stato di emergenza era troppo tardi e comunque non si è ancora risolto il problema delle strutture e degli strumenti forniti per non essere infettati. Solo ai primi di agosto  si è cercato di fare informazione capillare sulla prevenzione, con l’aiuto della organizzazioni internazionali. Fino allora chi aveva aiutato sono stati i ‘Medici senza frontiere’ presenti fin dall’inizio dell’insorgere dell’epidemia e un gran numero di loro sono stati infettati e sono morti”.

Quali sono state le precauzioni adottate?
“Ora che la situazione è fuori controllo, si insiste molto sulla informazione della malattia e su come prevenire il contagio. Sono stati chiusi ministeri e scuole per evitare il movimento non necessario della popolazione. Si sono cancellati e vietati raduni non necessari.

E’ stato coinvolto l’esercito (che tra l’altro è ancora in formazione dato che la nazione è sotto il controllo delle forze dell’ONU) per controllare gli spostamenti da una provincia all’altra, e per isolare le comunità dove si manifestano casi. Si cerca di riaprire gli ospedali fornendoli delle attrezzature necessarie per i primi ricoveri (la gente stessa non va più negli ospedali per curarsi per paura di contrarre l’epidemia).  Si insiste nell’educare la popolazione a riportare immediatamente i casi che si verificano, affinché persone addette vengano a prelevare i cadaveri dei morti.

Ogni banca, negozio, chiesa, ufficio aperto deve mettere a disposizione acqua con sapone e cloro perché chi entra si lavi le mani. Si insiste sulla informazione su come cucinare i cibi, su come comportarsi in caso di contagio o di contatto con persone anche sospette di aver contratto la Febbre Emorragica”.

Cosa fate come missionari per arginare il fenomeno?
“L’azione dei missionari è quella di vivere con la gente e di condividere con loro anche questi momenti particolarmente difficili. Innanzittutto ci si adegua per collaborare alla informazione, alla prevenzione, a mettere in atto tutte le norme date. Per quanto è possibile si cerca di mantenere i servizi di cui ogni congregazione è portatrice come le suore di Madre Teresa continuano a ricevere e sostenere i più poveri e i malati di TBC.

I medici ospedalieri hanno cercato di mantenere aperto l’ospedale ed non si sono tirati indietro anche a costo d elle loro vite. Tutta la loro comunità è deceduta di febbre Emorragica e purtroppo anche alcuni loro collaboratori. Noi salesiani abbiamo cercato di continuare le attività educative (scuola e Campo Estivo) in un ambiente igienicamente migliore di quello dove vivono quotidianamente i ragazzi fino a quando non sono state emanate norme per evitare assembramenti non necessari.

Collaboriamo nell’informare i nostri parrocchiani. Mettiamo a disposizione le nostre strutture  perché la comunità del quartiere di Matadi fosse informata capillarmente. Continuiamo ad essere presenti per assicurare la celebrazione dei sacramenti. Ci sarebbe dovuta essere l’ordinazione sacerdotale del secondo salesiano della Liberia dopo 35 anni  di presenza, ma abbiamo dovuto decidere di rimandarla a data da precisare per evitare spostamenti di persone.

Stiamo programmando e preparando per il prossimo anno. Questo sembrerebbe surreale e inopportuno data la situazione ma è certamente un motivo di speranza e di ottimismo in più! Preghiamo per chi lavora per arginare la situazione, per chi si rende disponibile a curare i malati, e perché questa piaga finisca presto e si possa ritornare a lavorare per uscire anche dalle tante altre situazioni di sofferenza e di carenza in cui la Liberia si trova.

E’ un momento in cui la nostra Fede è provata. La situazione è per noi come il fuoco che scioglie i metalli e li purifica dalle scorie. Anche quando le soluzioni sembrano essere inadeguate e infruttuose, abbiamo bisogno di dare testimonianza della Speranza che è in noi. Anche quando chi si dedica con amore ne paga le conseguenze, abbiamo bisogno di credere che l’Amore vince tutto. Anche se attorno a noi la vita sembra troppo fragile, abbiamo bisogno di credere che c’è sempre la Vita”.

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