Chiesa di Corea, cosa brucia sotto la cenere

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L’hanno definita una Chiesa di martiri e di missionari. Sofferente per la divisione in due blocchi e allo stesso tempo viva, piena di vocazioni. Una Chiesa nata sull’impulso dei martiri, che radunerà i giovani dell’Asia a dimostrare che la gioia della fede ha davvero casa in Corea. Ma c’è anche l’altra faccia della Chiesa sud-coreana. Ed è quella di una Chiesa profondamente divisa, con un dibattito interno durissimo che ha portato persino un gruppo di sacerdoti molto attivo e molto presente in Corea (rappresenta, secondo le loro cifre, il 48 per cento di tutti i sacerdoti coreani)  ad inviare una lettera in Segreteria di Stato. Mentre gli intellettuali di Corea hanno firmato in 18 una lettera a Papa Francesco, colorando la visita di significati politici, e chiedendo le scuse di Stati Uniti, Cina e Giappone per l’ingerenza negli affari della penisola.

È il volto nascosto di una Chiesa che Giovanni Paolo II volle visitare due volte, probabilmente per equilibrarne gli eccessi dialettici. Tanto che Bosco Youm Seong, ambasciatore di Corea presso la Santa Sede dal 2003 al 2007, sottolinea come Giovanni Paolo II “nominava di solito le persone conservatrici al posto dei vescovi, secondo le informazioni spesso unilaterali dei nunzi. Per esempio uno di loro, monsignor Morandini, aveva avuto onorificenze della Repubblica di Corea quando ancora era incaricato degli affari coreani in Segreteria di Stato”.

Una commistione che mal si attaglia con la presenza della Chiesa in Corea. “La crescita dei fedeli cattolici in Corea viene, in assoluta maggioranza, dalla conversione di adulti che sono sia senza alcuna religione sia evangelici. I bambini battezzati sono un numero precario,” dice l’ambasciatore Seong. Che aggiunge poi che “per il popolo in generale le persone più rispettate ad affidabili sono sempre i preti cattolici. E quando gli viene chiesto perché, gli intervistati rispondono che con il Cardinal Stefano Kim, già deceduto, i sacerdoti cattolici (di un particolare gruppo) erano sempre accanto al popolo più povero e miserabile negli anni passati sotto la dittatura militare. L’autenticità della fede cattolica viene proprio dalla partecipazione sociale della Chiesa per difendere dei lavoratori, promotori della giustizia sociale, eccetera.”

Tra i laici piu’ attivi e partecipanti per la promozione della democrazia  e dei diritti umani del paese c’e’ un particolare gruppo cui si riferisce l’ambasciatore Seong: quello della Catholic Action for Justice, Peace and Democracy (CAJPD). I quali hanno inviato una lettera al Cardinal Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, lo scorso 15 maggio, con la richiesta di mettere sotto ispezione il cardinale Andrew Yeom Sou-jung, arcivescovo di Seoul, per “lo scisma e la violazione del magistero sociale del Papa”.

Sotto accusa, da parte dei laici attivisti della CAJPD, il comportamento del cardinale, troppo vicino alla gerarchia. La CAJPD si fa scudo di un documento dellla Commissione Nazionale Giustizia e Pace Coreana, intitolato “Il Potere dello Stato non può violare i diritti e la libertà dei cittadini”, nel quale era scritto che “viola sicuramente la dignità dei diritti socio-politici degli esseri umani che il governo continui a nascondere la verità mentre molti stanno discutendo dell’intervento illegale delle agenzie di governo nelle elezioni presidenziali”.

In pratica, l’istituzionalizzazione delle accuse di broglio elettorale, alle quali si aggiungevano “le costruzioni di torri elettriche a Miryiang, l’oppressione dei cittadini che si oppongono e la costruzione di una base navale nel villaggio Gangjeong di Jeju”. Una dichiarazione siglata da 15 vescovi ordinari su 16 delle diocesi coreane (non ha firmato solo l’ordinario militare), sconfessata – è sempre la CAPJD a parlare – dal cardinal Yeom nella sua omelia di chiusura dell’Anno della Fede, in cui “volente o nolente ha dato l’impressione che l’opinione della Chiesa sia divisa, e in questo modo facendosi ascrivere al partito del governo e dei suoi media conservatori”.

La tensione dialettica è arrivata alle stelle, e tutte le accuse mosse da alcuni prelati al gruppo di sacerdoti attivisti col nome Association of Catholic Priests for Justice ACPJ (“sono irrazionali”, “sono falsi profeti”) sono riportate e confutate nella lettera a Parolin, con tanto di fotografie a corredo. A onor del vero, l’arcivescovo di Seoul non è l’unico a finire sotto attacco. La missiva fa anche altri nomi, come quello del reverendo Luke Park. E così via.

Ovviamente, è solo un punto di vista della storia. Il cardinale Yeom è stimatissimo in altri ambienti, il suo equilibrio lodato, anche perché vive in una situazione difficile, e la deve gestire rimanendo in equilibrio tra rapporto con il governo e ministero pastorale. Ma il fatto che un gruppo cattolico chieda al Vaticano di metterlo sotto ispezione mostra il fuoco sotto la cenere della Chiesa di Corea.

Sono tensioni inevitabili, in una Chiesa sì viva, ma soprattutto giovane come struttura, che vive una crescita incredibile che la porterà – secondo un istituto di ricerca buddhista – ad rappresentare più del 50 per cento della popolazione a partire dal 2044. Tensioni che nascono proprio nel momento in cui la Chiesa comincia a darsi una struttura, e dalle polarizzazioni (date anche dalla crescita economica, enorme, tanto che la Corea unificata sarebbe l’ottava forza al mondo) che ci sono proprio quando il dibattito è vivo.

Ma sono anche queste le tensioni latenti che deve affrontare Papa Francesco nel suo viaggio apostolico. Tensioni che lui dovrà affrontare godendo di un immenso credito da parte della popolazione. “Le cito solo un esempio – dice l’ambasciatore Seong – Di solito quando viene pubblicata un’enciclica pontificale in lingua coreana, La Conferenza episcopale coreana la stampa 2 milla copie incirca, e ci tengono circa 5 anni per essere consumata. L’esortazione apostolica Evangelii gaudium, però secondo l’informazione a me arrivata, ha venduto 25 mila copie in soli due mesi! Un bestseller papale!”

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