“Far conoscere Francesco, non ideologizzarlo”

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In questi giorni ho letto e riletto il fondo di Avvenire di venerdì 5 luglio, sperando ogni volta di cancellare gli interrogativi, i dubbi, che mi nascevano dentro. E siccome non ci sono riuscito, anzi, questi interrogativi e questi dubbi si sono ingigantiti, ho sentito il bisogno di manifestarli, di condividerli con altri. Forse, avrei dovuto farlo direttamente con Avvenire, ma non ho voluto mettere in imbarazzo il suo direttore, e di proposito ho chiesto ospitalità agli amici di Korazym. Nella convinzione che nella Chiesa di papa Francesco ci sia nuovamente spazio per la libertà e il confronto delle idee.

Vado al problema. L’occasione immediata dell’articolo era l’imminente viaggio del Papa in Molise. Ma, da lì, l’autrice, Stefania Falasca ha preso lo spunto per allargare il discorso. E scrivere che le visite e i viaggi pastorali di Francesco rappresentano sostanzialmente “la forma di un sensus Ecclesiae estraneo al progetto di una Chiesa protagonista, tesa ad attestare e a realizzare da sé anche la propria rilevanza nello spazio geopolitico”.

Questi viaggi della cercanìa, della prossimità, portano anche a far emergere – continuava Stefania Falasca – come “l’approccio attuale della Chiesa alle urgenze del tempo reale e agli scenari globali prenda silenziosamente congedo da tutte le linee di pensiero ecclesiastico che disegnano o hanno disegnato in passato la Chiesa come entità geopolitica pre-costituita…”.

Il linguaggio è un po’ criptico, ma chiaramente allusivo. E’ una critica ai pontificati immediatamente precedenti, o quanto meno alla strategia “geopolitica” che, durante questi pontificati, avrebbe caratterizzato una delle maggiori novità del ministero del vescovo di Roma, e rappresentata appunto dalle visite e dai viaggi pastorali. Come dire insomma che i Papi avrebbero cominciato a salire sugli aerei, a viaggiare per il mondo, anzitutto per “acquisire margini di influenza concorrenti con i poteri costituiti” (sempre la Falasco).

Ma è giusta, una critica del genere? Ha veramente un fondo di obiettività? Rileggiamo la storia di questi anni.

Si può accusare Paolo VI, l’”inventore” dei viaggi fuori d’Italia, e che li ha pensati proprio in funzione di quanto dichiarato dal Concilio Vaticano II, e dunque di una Chiesa che mostrasse nei fatti come vivere realmente e visibilmente la propria cattolicità, e uscisse così dai “sacri recinti”, aprendosi autenticamente a tutti i popoli, a tutte le culture, come si può accusarlo di essersi messo a viaggiare, non per la sua profonda ansia missionaria, evangelica, ma per ri-occupare spazi di quel potere che la Chiesa aveva perso al tempo dei Lumi?

Si può accusare Giovanni Paolo II, che ha fatto sette volte il giro della terra per portare il Vangelo in ogni angolo del pianeta, e che considerava le sue visite come pellegrinaggi al “santuario vivente del popolo di Dio”, ed è riuscito in questo modo a rafforzare le Chiesa locali e insieme a ridimensionare il centralismo romano, e a pronunciare parole di libertà sia nei regimi di destra che di sinistra, come si può accusarlo di neotemporalismo, proprio lui che di fronte al Parlamento europeo liquidò per sempre ogni tentazione di ritorno al vecchio integralismo religioso?
Si può accusare Benedetto XVI, che pur poco propenso a viaggiare ha sviluppato questa nuova dimensione del ministero pontificio come segno di solidarietà, di vicinanza alla gente, di testimonianza personale, come per i tanti incontri con le vittime di abusi sessuali da parte di chierici, come si può accusarlo di mire geopolitiche, proprio lui che è andato nelle più prestigiose, e spesso anche ostili, istituzioni laiche, non solo per ricucire il dialogo tra fede e ragione, ma prima ancora per parlare di Dio alla coscienza dell’uomo moderno?

E qui ritorna la domanda: era una critica giusta? Una critica obiettiva? O non risentiva del vizio, tipicamente italico, secondo il quale, appena eletto un Papa, si deve per forza contrapporlo al predecessore, ai predecessori? O non risentiva, quella critica, del nuovo clima di conformismo che si avverte in giro, diverso da quello di prima che voleva mettere tutto sotto silenzio, ma non meno pericoloso, perché rischia di far di papa Francesco una sorta di mito, di super-eroe?

Questi laudatores-ad-ogni-costo sembrano non rendersi conto che, invece di aiutare papa Francesco, gli creano maggiori difficoltà. Intanto, prima considerazione da fare, perché possono, anche se involontariamente, rendere sempre meno percettibile quel senso di continuità che, pur tra alti e bassi, attraversa la storia della Chiesa, perlomeno dall’apertura del Vaticano II a oggi. E poi, seconda considerazione, possono indurre molta gente a credere adesso a un Francesco “miracolistico”, disposto cioé alle riforme più azzardate, e poi un domani a voltargli le spalle, quando Francesco dovrà necessariamente ricordare che la misericordia di Dio è sì infinita ma non può rinunciare a segnare i confini tra il bene e il male.

Ed ecco perché, soprattutto in questo momento, c’è bisogno di far conoscere le parole di Francesco, le sue vere parole, e non di ideologizzarle.

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