Suor Cristina e il dono banalizzato

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Lo ammetto. La davo per perdente. Pensavo che il copione prevedesse la sua eliminazione nell’ultima sfida. Ma mi sono sbagliato. Suor Cristina Scuccia da Ragusa ha vinto The Voice. L’orsolina della Sacra Famiglia sbaraglia la concorrenza e porta a casa il premio, il contrattone milionario con la casa discografica. Vince ma non (mi) convince né (mi) convincerà mai, la strana storia di questa religiosa che ricalca corsi e ricorsi storici di un certo stereotipo del credente: ribellione, distanza da Dio e poi la svolta improvvisa della conversione. Ce ne fossero di persone così, capaci di scontrarsi, confrontarsi con le sfumature del mondo e di incontrare, poi, la Verità. Suor Cristina lo ha fatto e siamo davvero contenti. Ma la contentezza man mano scema quando la vediamo sul quel palco impacciatamente disinvolta che canta di tutto e di più con quella vocina gorgheggiante che la rende (suo malgrado) evidentemente ordinaria rispetto ai tanti talenti veri che la trasmissione ha proposto. Ma vince lei. Chiedersi il perché e darsi risposte è operazione banale. Si sa, i meccanismi televisivi sono perversi. Il potere banalizzante della Tv sbiadisce le tonalità autentiche di senso e rende tutto disponibile e manipolabile. Così quell’abito e quel velo diventano il feticcio sul quale concentrarsi e sprecare parole in salsa gossip. E quel Padre nostro, da lei sollecitato con entusiasmo appena dopo la vittoria, da momento di Grazia e riconciliazione, diventa tempo sgraziato, inopportuna deviazione di una narrazione costruita ad arte per fare ascolti.

Non c’è prodotto televisivo che non miri a questo, compresi quelli del servizio pubblico. Se non si vende non si campa. E se (deo gratias) sono passati gli anni delle cosce all’aria, si cerca altro e la nuova trasgressione assume i connotati di una piccola grande suora innamorata di Gesù e che sa cantare. Suor Cristina diventa prodotto. Forse lei non lo sa. Il suo agente crediamo di si. E lo sanno certamente gli autori di un programma in prima serata che ha vinto per ascolti e introiti pubblicitari, caso sempre più raro in una televisione frammentata e specialista. Detto questo, grazie Suor Cristina per aver(mi) dato la possibilità di riflettere su qualcosa di infinito e bellissimo che è la Fede, che, come dici tu, è un dono e va condiviso. Ma non in tutti i “palcoscenici”.

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