Potere e servizio nel magistero di Papa Francesco

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“Si segue Dio per amore o per qualche vantaggio? … Sempre c’è qualcosa di interessato che deve essere purificato nel seguire Gesù e dobbiamo lavorare interiormente per seguirlo per Lui, per amore”. Le parole di Papa Francesco contro il carrierismo ecclesiastico, la vanagloria del potere e gli abbagli delle ricchezze, quando parla ai cristiani e in particolar modo ai sacerdoti e ai vescovi si fanno sempre più forti e chiare, tanto da diventare uno dei temi principali del suo pontificato.

In varie occasioni di discorsi e omelie quotidiane il Santo Padre non perde occasione di richiamare l’attenzione sui pericoli di una fede o di un ministero non vissuto veramente: “Quando un prete, quando un vescovo va dietro ai soldi, finisce male: se andiamo sulla strada delle ricchezze, diventiamo non pastori ma lupi”. “Il carrierismo”, afferma, “rende noi religiosi colpevoli di tradire l’essenza del nostro compito. Quando un vescovo o un prete va sulla strada della vanità, entra nello spirito del carrierismo e fa tanto male alla Chiesa”.

 

Con molta probabilità, il prossimo 12 maggio Papa Francesco, quando incontrerà tutti i sacerdoti e seminaristi, studenti e professori, delle pontificie università di Roma, proprio all’indomani della Domenica di Gesù Buon Pastore in cui ordinerà 13 nuovi presbiteri, avrà modo di allargare ulteriormente questa riflessione.

Infatti, proprio qualche giorno fa a Santa Marta, ha ripreso questo tema. La «ricchezza», la «vanità» e il «potere» sono le tre tentazioni dalle quali devono guardarsi vescovi e preti, poiché “il vero potere è il servizio” sottolinea a voce più alta. L’atteggiamento che il Papa indica spesso con forza è quello della «libertà interiore» e spiega: “Soprattutto, significa vigilare per essere liberi da ambizioni o mire personali, che tanto male possono procurare alla Chiesa, avendo cura di mettere sempre al primo posto non la vostra realizzazione, o il riconoscimento che potreste ricevere dentro e fuori la comunità ecclesiale, ma il bene superiore della causa del Vangelo e il compimento della missione che vi sarà affidata”.

In particolare quando parla del potere usa l’immagine degli arrampicatori che quasi si rendono ridicoli: “Alcuni seguono Gesù … un po’ inconsciamente, ma cercano il potere, no? Nella Chiesa ci sono arrampicatori! … Ma se ti piace, vai a Nord e fai l’alpinismo: è più sano! Ma non venire in Chiesa ad arrampicarti!” ecco quindi che Francesco pone l’aut aut “Soltanto quando viene lo Spirito Santo i discepoli sono cambiati. Ma il peccato nella nostra vita cristiana rimane e ci farà bene farci la domanda: io, come seguo Gesù? Per Lui soltanto, anche fino alla Croce, o cerco il potere e uso la Chiesa un po’, la comunità cristiana, la parrocchia, la diocesi per avere un po’ di potere?».

Da ciò si capisce che la vera riforma che il Papa intende fare è quella del cuore del fedele credente ma intuisce che il bandolo della complessa matassa fatta di intrighi, tradimenti, difficoltà, arroganze di cui la Chiesa soffre, consiste principalmente nella corruzione del ministero sacerdotale. La Chiesa porta con se l’immagine di Cristo, ma questa può essere corrotta quando chi la guida ha smarrito l’essenza della sua vocazione.

Ecco perché il Santo Padre anche agli studiosi di teologia ricorda che “non si può capire un cristiano senza che sia testimone” e “noi non siamo una “religione” di idee, di pura teologia, di cose belle, di comandamenti”. La Chiesa, che siamo noi, è “un popolo che segue Gesù Cristo e ne dà testimonianza e alcune volte arriva a dare la vita” e perciò diventa feconda. Al contrario, continua Papa Bergoglio, “quando la Chiesa si chiude in se stessa, si crede – diciamo così – una “università della religione”, con tante belle idee, con tanti bei templi, con tanti bei musei, con tante belle cose, ma non dà testimonianza, diventa sterile. Il cristiano lo stesso. Il cristiano che non dà testimonianza, rimane sterile, senza dare la vita che ha ricevuto da Gesù Cristo».

Agli avvertimenti, però, il Papa non fa mancare ai suoi sacerdoti anche le parole dell’invito alla gioia missionaria propria del ministero presbiterale, “che si irradia a tutti e attira tutti, cominciando alla rovescia: dai più lontani” È questo ciò che ha consegnato il giovedì santo scorso durante la messa del crisma, in cui ha indicato come «tre sorelle» proteggono la gioia sacerdotale: «sorella povertà, sorella fedeltà e sorella obbedienza».

Una povertà che deve essere colmata dalla identità propria del Cristo, una fedeltà alla Chiesa viva, sua sposa che è fatta di volti, storie e vite a noi affidate, una obbedienza oltre che alla gerarchia, anche a quella del ministero del farsi prossimo perché “dove il popolo di Dio ha un desiderio o una necessità, là c’è il sacerdote che sa ascoltare (ob-audire)”.

Tali insegnamenti e avvertimenti non sono nuovi, già in passato Benedetto XVI, durante l’incontro con il clero della diocesi di Roma, nel febbraio del 2012, mentre in Vaticano si faticava a scrollarsi di dosso veleni, accuse di corruzione e lettere anonime, diceva ai sacerdoti: “dobbiamo liberarci di questa vanagloria che alla fine è contro di me e non mi rende felice”. “Debbo saper accettare la mia piccola posizione nella Chiesa”, continuava il Papa Emerito, “la superbia è arroganza, è la radice di tutti i peccati, la ricerca del potere, apparire agli occhi degli altri, non preoccuparsi di piacere a se stessi e a Dio. Essere cristiani vuol dire superare questa tentazione, essere veri, sinceri, realisti. L’umiltà è soprattutto verità, vivere nella verità, imparare che la piccolezza ci fa grandi. Riconoscere che io sono unico, un pensiero di Dio”.

L’allora Cardinal Bergoglio, dopo quelle parole di Benedetto XVI, dichiarava in una intervista: “la vanità, il vantarsi di se stessi, è un atteggiamento della mondanità spirituale, che è il peccato peggiore nella Chiesa, e il carrierismo, la ricerca di avanzamenti, rientra pienamente in questa mondanità spirituale.” Oggi, anche alla luce di questo anno così intenso in compagnia e sotto la guida del nuovo successore di Pietro, colpisce veramente la frequenza con cui Papa Francesco richiami vescovi e sacerdoti a non lasciarsi vincere dalle tentazioni del mondo.

Per questo raccomanda il Papa “vescovi e preti devono pregare, ma hanno anche bisogno della preghiera dei fedeli. E se il primo compito di un vescovo e di un prete”, aggiunge Francesco, “è pregare e predicare il Vangelo… tutti dobbiamo chiedere al Signore che custodisca proprio noi vescovi e i preti, perché possiamo pregare, intercedere, predicare con coraggio il messaggio di salvezza”. Non è un caso quindi che il Papa non smette di chiedere preghiere per se e per tutti i sacerdoti quando afferma: “vedete qual è la nostra difficoltà e anche le nostre tentazioni; perciò dovete pregare per noi, perché siamo poveri, perché siamo umili, miti, di servizio del popolo… chiediamo al Signore la grazia che ci dia lo Spirito Santo per andare dietro a Lui con rettitudine di intenzione: soltanto Lui. Senza vanità, senza voglia di potere e senza voglia dei soldi”.

 

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