Esclusi e diritti umani: la pastorale della Chiesa

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Il sottosegretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, padre Gabriele F. Bentoglio, ha svolto, giovedì 8 maggio, una conferenza alla Pontificia Università Antonianum di Roma, sul tema ‘Esclusi e diritti umani: pastorale per i migranti e i rifugiati’.

L’intervento si è sviluppato all’interno del corso accademico su ‘Giustizia, pace e integrità del creato’, promosso dall’Ateneo stesso per gli animatori degli Uffici GPIC (giustizia, pace e integrità del creato) dell’Ordine dei Frati Minori. Professori, esperti e studiosi hanno proposto argomenti interessanti nel quadro attuale del fenomeno delle migrazioni, che coinvolge circa 232.000.000 lavoratori migranti internazionali, mentre si calcolano almeno 16.000.000 rifugiati (tra cui i richiedenti asilo e i Palestinesi sotto l’Agenzia di soccorso e lavoro delle Nazioni Unite); 28.800.000 sfollati interni a causa di conflitto; 15.000.000 profughi a motivo di pericoli e disastri ambientali e 15.000.000 profughi a causa di progetti di sviluppo.

A questi bisogna aggiungere tutti quelli che vivono e lavorano sulle strade, nei traffici via mare e via aria. Dinnanzi a queste cifre padre Bentoglio, tracciando alcuni elementi descrittivi del fenomeno prima di passare in rassegna le principali risposte pastorali della Chiesa, nella linea degli orientamenti del Magistero e della Dottrina sociale della Chiesa, ha sottolineato: “Si tratta di masse di genti in movimento, che hanno bisogno di una cura pastorale specifica, da sempre riconosciuta dalla Chiesa, anche per combattere piaghe orrende come il traffico di esseri umani”.

Nell’introdurre il tema il relatore ha citato alcune importanti encicliche sociali – Rerum Novarum (1891), Populorum Progressio (1967), Sollicitudo Rei Socialis (1987), Centesimus Annus (1991) e Caritas in Veritate (2009): “Più specificamente, dobbiamo ricordare l’intuizione profetica di Pio XII, che si espresse nella Costituzione Apostolica Exsul Familia (1952), considerata la magna charta del pensiero della Chiesa sulle migrazioni.

Paolo VI, poi, in continuità e attuazione dell’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II, emanò il Motu proprio Pastoralis migratorum cura (1969), promulgando l’Istruzione della Congregazione per i Vescovi De Pastorali migratorum cura, dello stesso anno”. Chi emigra è animato dall’istinto di sopravvivenza:

“Nessuno diventa rifugiato per scelta. Eppure i civili sono le prime vittime dei conflitti regionali del nostro tempo. Milioni di curdi, afgani, bosniaci, serbi e kosovari sono stati costretti a fuggire dai loro villaggi e dalle loro città. E al pari dei palestinesi, che vivono da decenni in campi profughi, il loro sogno è tornare a casa. Ma per alcuni la rottura con il passato diventa irreversibile: da rifugiati divengono esuli, e da esuli migranti”.

Davanti a questo enorme esodo, il sottosegretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti ha evidenziato le risposte pastorali: “Le risposte della Chiesa alla sfida delle migrazioni vanno per diversi cammini. Possiamo sicuramente notare la sensibilizzazione a favore di tutti i migranti e i profughi a livello diocesano e nazionale, con crescenti esempi di collaborazioni anche tra Conferenze episcopali di diversi Paesi. Vi è poi il positivo influsso sugli organismi di Governo e la collaborazione con essi, l’orientamento e l’accompagnamento dei migranti e l’aiuto umanitario ai richiedenti asilo.

Così, sono ormai numerose le opportunità offerte ai fedeli di celebrare la Liturgia e i Sacramenti nella propria lingua, come pure diventa più comune l’attenzione alle minoranze cattoliche di rito diverso da quello latino. In aggiunta, molti sono gli organismi che, sotto l’egida delle relative Conferenze Episcopali, si dedicano alla pastorale della mobilità umana. Loro compiti sono, tra altri, il soccorso immediato e l’accompagnamento, anche tramite apposite strutture di accoglienza per la tutela dei diritti umani e per l’aiuto ai singoli e ai nuclei familiari, soprattutto in dimensione pastorale”.

Ed ha citato gli Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica che si mettono a disposizione i loro membri per l’assistenza pastorale: le Suore del Buon Pastore, i Fratelli de La Salle, la Compagnia di Gesù, i Domenicani e i Francescani, le Missionarie e i Missionari Scalabriniani, la Società di Cristo, le Figlie della Carità e le Suore Francescane Missionarie di Maria…

In questo senso la Dottrina Sociale della Chiesa indica come strada maestra la carità, che è collegata alla giustizia ed al bene comune, in base al quale la Chiesa cattolica propone alcuni principi per il regolamento legittimo dei flussi migratori da parte dei Governi: il loro impegno a far sì che non sia necessario a chi vive in Paesi poveri il dover emigrare per vivere conformemente alla propria dignità umana (diritto a non emigrare); il diritto a emigrare; il diritto delle pubbliche autorità nazionali a regolare i flussi migratori (con rispetto dei diritti umani fondamentali dei migranti e della distinzione, nei loro flussi misti, fra quelli ‘economici’ e i rifugiati e richiedenti asilo), tenendo presente il bene comune della nazione. Concludendo l’intervento, ha delineato alcune piste di lavoro:

“Ecco le urgenze e le sfide che sollecitano la Chiesa a individuare rinnovate forze attive nell’ambito della sua missione di dialogo, di promozione e di evangelizzazione a dimensione universale. E di fatto, nuovi germogli stanno fiorendo. Tra questi va maturando oggi una nuova fioritura del volontariato dei laici, maturo e responsabile, desideroso di offrire il suo servizio a favore della dignità e della centralità di ogni persona anche nel campo della mobilità umana”.

Citando il paragrafo 210 dell’Esortazione Apostolica ‘Evangelii Gaudium’ il relatore ha concluso dicendo: “La sollecitudine pastorale della Chiesa anzitutto tende all’annuncio del Vangelo ai milioni di persone che non l’hanno mai sentito e che si inseriscono sempre più numerosi nei Paesi di antica tradizione cristiana. Poi, si impegna per la preservazione della fede per coloro che l’hanno, ma vengono a trovarsi in un contesto sociale e culturale diverso, in cui rischiano di perderla. Compiti, dunque, che superano la mera difesa dei diritti umani, in vista di coniugare la promozione umana e l’evangelizzazione”.

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