Un grande regista per un grande missionario

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A Macerata è stato presentato un promo di un docufilm su padre Matteo Ricci dello scrittore e regista Gjon Kolndrekaj, che è stato aiuto regista del più grande documentarista del cinema, Ivens: “Matteo Ricci, un gesuita nel regno del Drago”, edito dalla Rai-Eri. Il tentativo del documentario, afferma il regista, è “soprattutto quello di cogliere tra le mura della Città Proibita, aggirandosi tra le sculture, gli arredi, gli ornamenti preziosi, lo spirito libero di un uomo superiore al suo tempo”.

Ci può spiegare meglio come è nata l’ idea di produrre un docufilm su padre Matteo Ricci?
“E’ nata nel 1976 visitando per la prima volta la Cina ed ho visto che i cinesi conoscevano questo personaggio di origine italiana, che io non sapevo… Tornando in Italia mi sono interessato di questo personaggio ed ho scoperto che era un gigante. Mano a mano ho incominciato ad interessarmi a questo personaggio ed ho cercato di fare qualche reportage sulla figura di padre Matteo Ricci. Venendo a Macerata ho contattato il prof. Corradini, mons. Gentili, che era un ‘patito’ di padre Matteo Ricci, e mons. Carboni. Insieme abbiamo detto se si poteva fare qualcosa per questo personaggio grandioso che poche persone in Italia lo conoscono. Con un reportage che ho realizzato per Rai 1 ed andato in onda anche sulla televisione cinese si è realizzato questo programma e da allora ho pensato come rendere questo personaggio e farlo conoscere a livello internazionale”.

Ci sono state difficoltà durante le riprese?
“In tutti i lavori ci sono le difficoltà; l’importante è riuscire”.

Lei è stato un aiuto regista del grandissimo documentarista Joris Ivens…
“E’ stato colui che ha inventato il documentario”.

Nella giornata conclusiva il papa Benedetto XVI ha inviato un messaggio al Vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, in occasione delle diverse iniziative – fra le quali un anno giubilare – per commemorare il IV Centenario della morte di Padre Matteo Ricci, della Compagnia di Gesù (Pechino, 11 maggio 1610). “Considerando la sua intensa attività scientifica e spirituale, scrive il Papa, non si può non rimanere favorevolmente colpiti dall’innovativa e peculiare capacità che egli ebbe di accostare, con pieno rispetto, le tradizioni culturali e spirituali cinesi nel loro insieme. E’ stato in effetti tale atteggiamento a contraddistinguere la sua missione tesa a ricercare la possibile armonia fra la nobile e millenaria civiltà cinese e la novità cristiana, che è fermento di liberazione e di autentico rinnovamento all’interno di ogni società, essendo il Vangelo, universale messaggio di salvezza, destinato a tutti gli uomini, a qualsiasi contesto culturale e religioso appartengano… Nonostante le difficoltà e le incomprensioni che incontrò, Padre Ricci, volle mantenersi fedele, sino alla morte, a questo stile di evangelizzazione, attuando, si potrebbe dire, una metodologia scientifica e una strategia pastorale basate, da una parte, sul rispetto delle sane usanze del luogo che i neofiti cinesi non dovevano abbandonare quando abbracciavano la fede cristiana, e, dall’altra, sulla consapevolezza che la Rivelazione poteva ancor più valorizzarle e completarle. E fu proprio a partire da queste convinzioni che (…), come già avevano fatto i Padri della Chiesa nell’incontro del Vangelo con la cultura greco-romana”, l’Autore del “Trattato sull’amicizia” “impostò il suo lungimirante lavoro di inculturazione del Cristianesimo in Cina, ricercando un’intesa costante con i dotti di quel Paese”.

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