Il Concistoro di Papa Francesco. L’identikit dei nuovi cardinali

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Sono conosciuti per il loro lavoro con i poveri o per le loro prese di posizione in favore dei lavoratori. Sono quasi tutti decisionisti, con la caratteristica di prendere le situazioni in mano con vigore. E molti di loro sono stati dei mediatori ascoltati con i governi dei loro Paesi. I 16 nuovi cardinali elettori creati oggi da Papa Francesco rispecchiano un preciso identikit. Papa Francesco non ha voluto solo allargare le periferie del mondo. Ha voluto scegliere in queste periferie coloro che sono più vicini a lui per sensibilità ed idee. Cominciando a costruire, così, una Chiesa a misura di Francesco.

Fare una panoramica dei sedici cardinali elettori aiuta a capire meglio. Orani Joao Tempesta, vescovo di Rio de Janeiro, è conosciuto come “il vescovo lavoratore” in Brasile, perché in ogni diocesi in cui è stato ha sempre lavorato moltissimo. Conosciuto per la sua instancabile presenza nelle parrocchie, Tempesta ha cominciato una lunga visita pastorale nelle parrocchie dell’enorme diocesi di Rio de Janeiro: ha promesso che le visiterà tutte, suscitando grande entusiasmo popolare. Secondo il giornale brasiliano Folha, il profilo di Tempesta è simile a quello di Papa Francesco e ne rispecchia la visione di Chiesa. È probabilmente vero.

È considerato un pastore della gente anche Aurelio Poli, che Papa Francesco ha chiamato come suo successore a Buenos Aires. Poli è nato e cresciuto nella capitale argentina, ma poi è stato anche vescovo di Santa Rosa, nella Pampa. E lì non si è distinto per contatti politici, ma per il basso profilo e per le omelie semplici e tutte puramente di carattere religioso. Ma a volte ha saputo alzare la voce con i politici. Per esempio, quando una statua della Vergine di Luzan era stata rimossa dal crocicchio di una strada perché avrebbe potuto offendere atei e membri di altre religioni. Poli fece battaglia, e presenziò personalmente alla reinstallazione della statua nel suo posto originario. Ma è stato un episodio. Poli preferisce non contrapporsi, ma mediare. Quando si parlava della legge delle unioni civili si scrisse che lui sarebbe stato d’accordo, ma non avrebbe mai accettato il matrimonio omosessuale. Anche Jorge Mario Bergoglio era dello stesso parere, per evitare un conflitto di difficile gestione.

Chibly Langlois viene da Haiti, ed è l’unico vescovo del gruppo (guida la diocesi di Les Cayes). Poco conosciuto, è presidente della Conferenza Episcopale del suo Paese, ed è lì che si è distinto tanto da meritare secondo Papa Francesco la porpora. E, in una delicata situazione anche per l’immagine stessa della Chiesa di Haiti (con forte commistione con il governo: l’ex presidente Aristide è arrivato al potere due volte, e due volte è decaduto, dopo aver iniziato il percorso come sacerdote e teologo della Liberazione), Chibly Langlois si è proposto come mediatore anche nel dialogo tra il presidente Michel Martelly, l’opposizione e il Parlamento, in un tavolo in cui dovevano essere presenti anche le altre rappresentanze religiose, poi messe da parte. Langlois è conosciuto anche per il suo continuo operare in favore dei poveri.

Come Leopoldo José Brenes Solorzano, arcivescovo di Managua, Nicaragua. Non vive in Curia, e la sua immagine impersonifica la “Chiesa poveri per i poveri” voluta da Papa Francesco. “Rimarrò un vescovo del Popolo”, si è affrettato a dichiarare Brenes Solorzano, che ogni giorno instancabilmente gira per la sua diocesi.

Ricardo Ezzati Andrello, arcivescovo di Santiago, Cile, salesiano, potrebbe essere definito il vescovo sociale. È stato mediatore in diversi tavoli tra i lavoratori e il governo, oppositore forte della statalizzazione dell’educazione, la sua presenza e il suo lavoro di pastore con l’odore delle pecore è conosciuta e amata sin dai tempi in cui era un semplice sacerdote salesiano. Di origine italiana, solo di recente ha ottenuto la cittadinanza cilena. Il procedimento per la cittadinanza fu bloccato nel 1979, quando Monica Maradiaga, allora ministro dell’Educazione, definì pubblicamente lui e i coautori di un piccolo libro pubblicato dal seminario salesiano “traditori della patria”. “Il ministro – ha raccontato Ezzati – aveva considerato che il libro era comunista e sovversivo. Ma io lo leggo oggi, e lo trovo così innocente. Sostenevamo che i soldi andavano usati più per la spesa sociale che per gli armamenti; che l’obiezione di coscienza era un diritto fondamentale; che la pace non poteva essere costruita con le armi, ma con lo sviluppo umano”.

I due cardinali africani sono noti per il loro impegno anche a livello politico. Philippe Nakellentuba Ouedraogo, arcivescovo di Oudadougou, è il secondo cardinale proveniente dal Burkina Faso. Ha rifiutato in nome dei poveri i seggi al Senato offerti dal presidente Blaise Compaoré alle comunità religiose, e ha operato e sostenuto con forza la necessità di includere le persone più svantaggiate nella distribuzione dei beni perché ci sia una crescita economica.

Jean Pierre Kutwa, arcivescovo di Abidjan (Costa d’Avorio) ha detto chiaramente che prima di tutto vuole combattere “la violenza verbale dei politici”, e così impegnarsi per la pacificazione tra le fazioni che resta viva anche a guerra finita, in Costa d’Avorio. La berretta rossa gli darà più peso nei suoi incontri con il governo.

Quando Papa Francesco ha “rimpastato” i membri della Congregazione dei Vescovi, ha inserito nei suoi ranghi Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, e Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia.

Il primo ha fatto una carriera fulminante, ed è stato anche sotto i riflettori. Considerato prima un progressista, poi un conservatore, in realtà Nichols non è né l’uno né l’altro, ma è piuttosto un difensore dell’identità Cattolica, un tema importante da portare avanti in una società secolarizzata. E Nichols lo ha fatto con zelo. Nel 2010 ha attaccato la BBC per lo show “Pope Town”, per esempio. E, quando David Cameron ha presentato il suo modello di Big Society, ne ha elogiato gli aspetti di Dottrina Sociale della Chiesa. Ma è stato capace di cambiare idea, e vederne anche i punti critici.

Gualtiero Bassetti, invece, è il primo arcivescovo di Perugia a diventare cardinale dopo oltre 150 anni, quando l’arcivescovo Pecci fu poi nominato Papa con il nome di Leone XIII. L’ufficio stampa della sua diocesi ha reso noto che ci sono molte somiglianze con il suo predecessore. Se non altro per la costante attenzione che Bassetti ha dato, nelle sue lettere pastorali da vescovo di Massa Marittima, Arezzo e poi Perugia, alla questione delle morti sul lavoro e della droga, dell’alcolismo, del gioco d’azzardo e della prostituzione. Tra le sue iniziative, anche un “patto per l’educazione” tra scuole e istituzioni per affrontare l’emergenza educativa.

E poi ci sono gli arcivescovi asiatici. Orlando Beltran Quevedo è il primo cardinale filippino proveniente da Mindanao, una terra che ha sofferto una delle più lunghe rivolte di un popolo musulmano, i Bangsamoro o Moro. Da 400 anni la questione dei Moro insanguina la regione da cui proviene Quevedo. Minoranza musulmana da sempre sul territorio e in qualche modo discriminata, i Moro hanno chiesto riconosciuta la loro identità. Quevedo ha dedicato molte delle sue attività pastorali alla questione per l’identità nella sua regione, il suo libro più conosciuto è proprio un saggio sulla risoluzione dei conflitti dei Moro. “Il punto di vista Moro – ha detto spesso – ha alterato la mia prospettiva cristiana. E sono arrivato alla conclusione che la causa principale della rivolta nel sud del mio Paese è l’ingiustizia”.

E si impegna per la riconciliazione anche Andrew Yeom soo-Jung, arcivescovo di Seoul e quindi amministratore apostolico di Pyongyang, nella Corea del Nord. Il suo impegno per la riconciliazione tra le due Coree è simboleggiato dal fatto che Yeom ha voluto tenere la messa di installazione come arcivescovo di Seoul il 25 giugno, anniversario dell’inizio della guerra di Corea. Proveniente da una famiglia di cattolici (e perseguitati) da cinque generazioni, con due fratelli sacerdoti, Yeom è anche presidente della Peace Broadcasting Corporation, la tv cattolica della Corea, essendo così uno dei pionieri della Chiesa di Corea. Una Chiesa viva, evangelizzata da laici provenienti dalla Cina. Forse Papa Francesco andrà in visita lì presto.

Di certo, il Papa vuole che l’identità cattolica sia rafforzata. E lo ha chiesto a Gerald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Quebec, Canada, quando questi lo ha incontrato lo scorso giugno. “Riprendi il Quebec”, ha detto il Papa. E Lacroix, che già era stato a fianco del card. Marc Ouellet nella lotta contro la “rivoluzione tranquilla” dello Stato francese del Canada, non si è fatto pregare. Da quando Ouellet è a Roma come prefetto della Congregazione dei Vescovi, è lui in prima linea contro lo “tsunami della secolarizzazione”. Parla con toni meno forti o provocatori di Marc Ouellet, ma sa anche prendere posizioni forti.

E poi, ci sono i cardinali di Curia. Hanno la berretta rossa per la loro posizione, ma anche perché Papa Francesco si fida di loro. Pietro Parolin, segretario di Stato, ha conosciuto Bergoglio quando era nunzio in Venezuela. Infaticabile lavoratore, quando era in Segreteria di Stato (dove è arrivato al rango di viceministro degli Esteri) ha gestito personalmente dossier importanti come quelli di Israele, Vietnam e Cina. Ma ha anche una forte identità pastorale, ed è quella che ha convinto Papa Francesco a farlo suo primo collaboratore.

Anche Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, ha una forte identità pastorale. Una carriera diplomatica spesa soprattutto in Sudamerica, che vanta anche lo straordinario successo del viaggio a Cuba di Giovanni Paolo II e una difficile attività di mediazione in Colombia, Stella in Sudamerica è conosciuto con il nomignolo di “monsenor Corazon”. Papa Francesco lo ha preso dall’Accademia Ecclesiastica che dirigeva e che aveva trasformato in un luogo in cui i futuri nunzi si informavano del mondo, ma erano tenuti a non mettere da parte la loro identità pastorale.

Lorenzo Baldisseri anche ha avuto una carriera diplomatica principalmente condotta in Sudamerica. Come nunzio in Brasile (il suo ultimo incarico prima di arrivare a Roma come segretario della Congregazione dei Vescovi) ha portato a termine l’accordo tra la Chiesa e il governo del Brasile, mettendo in campo una difficile opera di mediazione con le 11 amministrazioni della pachidermica struttura governativa brasiliana. Ora è chiamato a mediare tra diversi punti di vista come segretario generale del Sinodo, per dare a questo organo una nuova struttura secondo le volontà del Papa.

Mentre sarà un ponte tra i due pontificati Gehrard Ludwig Mueller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ha dalla sua 400 titoli teologici, e cura l’opera omnia di Benedetto XVI, dal quale ha ereditato l’appartamento in piazza della Città Leonina. Ma è stato anche attaccato per la sua amicizia con il teologo della Liberazione Gustavo Gutierrez, con il quale ha scritto un libro che ora ha la prefazione di Papa Francesco. E forse sarà proprio Mueller ha fare da ponte tra teologia della Liberazione e Roma, depurando la prima dalla struttura marxista e mettendo in luce la base portante della fede. Lo ha fatto prendendo posizioni forti sul tema dei divorziati risposati. Perché sulla dottrina la Chiesa non può tornare indietro.

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