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Da Trieste un lessico per la democrazia

“Carissimi, Gesù ha vissuto nella propria carne la profezia della ferialità, entrando nella vita e nelle storie quotidiane del popolo, manifestando la compassione dentro le vicende, e ha manifestato l’essere Dio, che è compassionevole. E per questo, qualcuno si è scandalizzato di Lui, è diventato un ostacolo, è stato rifiutato fino ad essere processato e condannato; eppure, Egli è rimasto fedele alla sua missione, non si è nascosto dietro l’ambiguità, non è sceso a patti con le logiche del potere politico e religioso. Della sua vita ha fatto un’offerta d’amore al Padre. Così anche noi cristiani: siamo chiamati a essere profeti, testimoni del Regno di Dio, in tutte le situazioni che viviamo, in ogni luogo che abitiamo”.

Partiamo dall’omelia di papa Francesco, che domenica scorsa ha chiuso a Trieste la 50^ Settimana sociale dei cattolici italiani sul tema ‘Al cuore della democrazia’, per riepilogare ciò che è stato, attraverso alcune parole-chiave, che hanno caratterizzato quei giorni, innanzitutto dall’invito del vescovo della città, mons. Enrico Trevisi, che nel ringraziamento conclusivo ha invitato a costruire relazioni nelle città, come sta avvenendo nel capoluogo friulano:

“Siamo una famiglia, una città che si è costruita attraverso l’apporto di tante culture e di tanti popoli ma anche di tante sofferenze e violenze: e noi vogliamo raccogliere la sfida di essere un laboratorio di pace e di dialogo anche per altre terre che ancora sono attraversate da tensioni e guerre. Intercedano i martiri Francesco Bonifacio, Mirolslav Bulešić, Lojze Grozdè (un italiano, un croato e uno sloveno). Proprio a partire dal Vangelo, anche attraverso il dialogo ecumenico e inter-religioso, vogliamo partecipare con determinazione a costruire relazioni diverse tra i popoli e i Paesi”.

In egual modo ai congressisti il papa aveva chiesto ai cattolici di non accontentarsi di una fede ‘privata’, non capace di ‘salare’ il mondo: “Come cattolici, in questo orizzonte, non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico.

Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Tanti, tanti non hanno voce. Tanti. Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico”.

Solo da una fede ‘solida’ può nascere la ‘passione’ civile, che si può trasformare in carità ‘politica’: “Dobbiamo riprendere la passione civile, questo, dei grandi politici che noi abbiamo conosciuto. Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte.

E questa è una cosa importante nel nostro agire politico, anche dei pastori nostri: conoscere il popolo, avvicinarsi al popolo. Un politico può essere come un pastore che va davanti al popolo, in mezzo al popolo e dietro al popolo. Davanti al popolo per segnalare un po’ il cammino; in mezzo al popolo, per avere il fiuto del popolo; dietro al popolo per aiutare i ritardatari. Un politico, che non abbia il fiuto del popolo, è un teorico”.

Una passione ‘civile’, che costringe ad eliminare gli ‘analfabeti della democrazia’ secondo il monito del presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, nel discorso di apertura: “Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della ‘alfabetizzazione’, dell’inveramento della vita della democrazia. Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea. Ebbene, battersi affinché non vi possano essere più ‘analfabeti di democrazia’ è causa primaria e nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere. Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme”.

Ecco il motivo, per cui i cattolici sono chiamati a compiere un percorso, come è stato delineato dal papa nella conclusione dell’omelia in piazza ‘Unità d’Italia’ attraverso l’invito di ‘sognare’ una civiltà fraterna: “Fratelli e sorelle, da questa città di Trieste, affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità; per favore, non scandalizziamoci di Gesù ma, al contrario, indigniamoci per tutte quelle situazioni in cui la vita viene abbruttita, ferita, uccisa; portiamo la profezia del Vangelo nella nostra carne, con le nostre scelte prima ancora che con le parole.

Quella coerenza fra le scelte e le parole. E a questa Chiesa triestina vorrei dire: avanti! Avanti! Continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza, specialmente verso coloro che arrivano dalla rotta balcanica e verso tutti coloro che, nel corpo o nello spirito, hanno bisogno di essere incoraggiati e consolati. Impegniamoci insieme: perché riscoprendoci amati dal Padre possiamo vivere come fratelli tutti. Tutti fratelli, con quel sorriso dell’accoglienza e della pace dell’anima”.

E da Trieste ritorna valido anche per il nostro tempo il testo anonimo (forse perché era una scrittura comunitaria) ‘A Diogneto’, datato tra il II ed il III secolo dopo Cristo, in cui si descrive molto chiaramente la vita dei cristiani nella città: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere…

Risiedono in città sia greche che barbare… Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri… Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… I cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”.  

Da Trieste l’impegno dei cattolici per una riscoperta della ‘tensione costituente’

Pregando per la pace nelle zone martoriate dalla guerra ieri a Trieste papa Francesco ha concluso la 50^ Settimana Sociale dei cattolici italiani con l’invito a raccogliere la sfida della democrazia: “Trieste è una di quelle città che hanno la vocazione di far incontrare genti diverse: anzitutto perché è un porto, è un porto importante, e poi perché si trova all’incrocio tra l’Italia, l’Europa centrale e i Balcani. In queste situazioni, la sfida per la comunità ecclesiale e per quella civile è di saper coniugare l’apertura e la stabilità, l’accoglienza e l’identità.

Ed allora mi viene da dire: avete le ‘carte in regola’. Grazie! Avete le ‘carte in regola’ per affrontare questa sfida! Come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; come cittadini avete la Costituzione, ‘bussola’ affidabile per il cammino della democrazia. Ed allora, avanti! Avanti. Senza paura, aperti e saldi nei valori umani e cristiani, accoglienti ma senza compromessi sulla dignità umana. Su questo non si gioca”.

Quindi un impegno molto importante raccolto subito dalle associazioni con le ‘carte in regola’, presenti nella città (Azione Cattolica Italiana, ACLI, Associazioni, Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani, Comunità di Sant’Egidio, Fraternità di Comunione e Liberazione, Movimento Cristiano Lavoratori, Movimento Politico per l’Unità Focolari, Rinnovamento nello Spirito e Segretaria della Consulta nazionale delle aggregazioni laicali), che hanno inviato una lettera agli italiani, sottolineando il loro impegno a difesa della democrazia, che sia sempre più partecipata dal basso e sostanziale, al servizio degli ultimi e dei deboli:

“Siamo una realtà plurale, accomunata dall’appartenenza ecclesiale, e riconosciamo tale condizione come una ricchezza che ci anima ancora di più nella ricerca quotidiana di ascolto attento, confronto leale, dialogo paziente e collaborazione costruttiva. Siamo altresì consapevoli che in questo tempo, attraversato dalla violenza della guerra e dalla crescita delle disuguaglianze, la democrazia è un bene sempre più fragile che esige una cura che non può escludere nessuno”.

Ed hanno raccolto ben volentieri, dopo la lettera di ‘intenti’ dello scorso maggio, le sfide del papa: “Mantenere viva la democrazia è, come ci ha ricordato papa Francesco, una sfida che la storia oggi ci pone, incoraggiando tutti a lavorare perché l’impegno a rigenerare le istituzioni democratiche possa sempre più essere a servizio della pace, del lavoro e della giustizia sociale”.

Per questo hanno chiesto di escogitare soluzioni di pace per fermare le guerre: “Non possiamo innanzitutto tacere la nostra viva e crescente preoccupazione per la guerra. La guerra continua a mietere vittime e a produrre distruzioni in Ucraina, in Terra Santa, nel Sudan, in Congo e in altre regioni del mondo. La guerra, che si insinua anche nella nostra società, si fa cultura, modo di pensare, di parlare, di vedere il mondo”.

Solo con la pace si costruisce la democrazia: “Vogliamo quindi affermare nuovamente il grande desiderio di pace che ci muove a chiedere di restituire all’Italia e all’Europa una missione di pace. La pace è il fondamento della democrazia. La guerra corrode e corrompe la democrazia. Oggi per noi andare al cuore della democrazia significa confermare e chiedere alla società, alla politica, alle istituzioni una scelta per la pace che si faccia azione concreta”.

Hanno richiamato il valore che ancora oggi è vivo della Costituzione italiana, nata dalla condivisione di tutte le esperienze democratiche: “La nostra Costituzione è nata da uno spirito di condivisione, che ha consentito di superare le barriere ideologiche per costruire la casa comune e promuovere un ampio sviluppo del Paese, facendo tesoro della libertà conquistata dopo la dittatura fascista e l’esperienza distruttiva della Seconda guerra mondiale”.

E’ stato un servizio che i cattolici hanno offerto a tutti gli italiani: “I cattolici si sono messi al servizio di quest’opera civile di straordinario valore. Vi hanno contribuito con la loro fede, con il loro impegno, con le loro idee. Lo hanno fatto camminando insieme a donne e uomini di cultura diversa, cercando di dare alla comunità un destino migliore e un ordinamento più giusto, convinti che la solidarietà accresce la qualità della vita e che la prima prova di ogni democrazia sia l’attenzione a chi ha maggior bisogno”.

E’ un invito a riscoprire quello ‘spirito’ che ha permesso la democrazia in Italia anche oggi: “Di questo spirito costituente e costituzionale di condivisione abbiamo ancora bisogno oggi. Per questo sentiamo la necessità di interrogarci su come infondere ancora una volta questo spirito nel tessuto della nostra società, della nostra patria e della nostra Europa.

La crisi della rappresentanza e della partecipazione richiede uno sforzo condiviso per aggiornare le istituzioni repubblicane e ripensare la politica al fine di riavvicinare alla partecipazione democratica i cittadini, le nuove generazioni e le periferie, geografiche ed esistenziali, del Paese”.

E chiedono una collaborazione tra le forze politiche per sconfiggere l’astensionismo ed il ‘malessere’ democratico, che si attua attraverso percorsi condivisi: “Per questo motivo, in un contesto di astensionismo allarmante, e in un quadro europeo e internazionale caratterizzato da spinte che mettono in discussione il senso stesso della democrazia, sentiamo il dovere di favorire in ogni modo il dialogo sulle riforme costituzionali.

Desideriamo affermare che ogni riforma della Costituzione, nata da istanze sociali plurali e concorrenti, debba essere frutto di una comune responsabilità nell’incontro, che crediamo sempre possibile, tra le argomentazioni e le ragioni di ciascuna parte”.

Quindi le associazioni invitano a riscoprire una ‘tensione costituente’ per la dignità umana: “E’ necessaria oggi più che mai quella tensione costituente, che recuperi con magnanimità un desiderio di confronto reciproco nelle differenze, che superi il rischio di radicali polarizzazioni e che diventi impegno a realizzare, a ogni livello, quella ‘democrazia sostanziale’, la quale consiste nella piena concretizzazione dei diritti sociali per i poveri, per gli ‘invisibili’ e per ogni persona nella sua infinita dignità che rappresentano (come ha ricordato papa Francesco) il cuore ferito della democrazia perché la democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e dell’ecologia integrale”.

Ed infine un impegno per il bene degli italiani: “Ci sentiamo impegnati, a partire dall’ambito educativo, a dare vita ad una democrazia partecipata e dal basso, garantita dall’equilibrio di pesi e contrappesi dell’assetto istituzionale della Repubblica, e sostenuta dalla promozione delle autonomie locali in una prospettiva sussidiaria e solidale. Nella consapevolezza che, come ci ha ricordato il capo dello Stato: la democrazia non è mai conquistata per sempre”.

Da Trieste papa Francesco invita a cercare l’infinito di Dio

“Trieste è una di quelle città che hanno la vocazione di far incontrare genti diverse: anzitutto perché è un porto, è un porto importante, e poi perché si trova all’incrocio tra l’Italia, l’Europa centrale e i Balcani. In queste situazioni, la sfida per la comunità ecclesiale e per quella civile è di saper coniugare l’apertura e la stabilità, l’accoglienza e l’identità. E allora mi viene da dire: avete le ‘carte in regola’. Grazie! Avete le ‘carte in regola’ per affrontare questa sfida! Come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; e come cittadini avete la Costituzione, ‘bussola’ affidabile per il cammino della democrazia”: così papa Francesco nell’Angelus ha salutato chi era presente a Trieste per la 50^ Settimana Sociale sul tema della democrazia.

Mentre nella celebrazione eucaristica in piazza dell’Unità a Trieste papa Francesco ha incentrato l’omelia sulla profezia dalla lettura del profeta Ezechiele: “Per ridestare la speranza dei cuori affranti e sostenere le fatiche del cammino, Dio sempre ha suscitato profeti in mezzo al suo popolo. Eppure, come racconta la Prima Lettura di oggi narrandoci le vicende di Ezechiele, essi hanno trovato spesso un popolo ribelle, ‘figli testardi e dal cuore indurito’, e sono stati rifiutati”.

Purtroppo i profeti non sono ascoltati, come è successo anche a Gesù: “Ascoltando i discorsi dei suoi compaesani, vediamo che si fermano solo alla sua storia terrena, alla sua provenienza familiare e, perciò, non riescono a spiegarsi come dal figlio di Giuseppe il falegname, cioè da una persona comune, possa uscire tanta sapienza e perfino la capacità di compiere prodigi. Lo scandalo, allora, è l’umanità di Gesù. L’ostacolo che impedisce a queste persone di riconoscere la presenza di Dio in Gesù è il fatto che Egli è umano, è semplicemente figlio di Giuseppe il carpentiere: come può Dio, onnipotente, rivelarsi nella fragilità della carne di un uomo?”

La fede, in tutti i tempi ha provocato sempre scandalo: “Non abbiamo bisogno di una religiosità chiusa in se stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra e celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere che scorre sulle nostre strade. Ci serve, invece, lo scandalo della fede, (abbiamo bisogno dello scandalo della fede) una fede radicata nel Dio che si è fatto uomo e, perciò, una fede umana, una fede di carne, che entra nella storia, che accarezza la vita della gente, che risana i cuori spezzati, che diventa lievito di speranza e germe di un mondo nuovo”.

La fede tiene sveglie le coscienze: “E’ una fede che sveglia le coscienze dal torpore, che mette il dito nelle piaghe, nelle piaghe della società (ce ne sono tante), una fede che suscita domande sul futuro dell’uomo e della storia; è una fede inquieta, e noi abbiamo bisogno di vivere una vita inquieta, una fede che si muova da cuore a cuore, una fede che riceva da fuori le problematiche della società, una fede inquieta che aiuta a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo”.

E’ stato un ammonimento sul consumismo: “Il consumismo è una piaga, è un cancro: ti ammala il cuore, ti fa egoista, ti fa guardare solo te stesso. Fratelli e sorelle, soprattutto, abbiamo bisogno di una fede che spiazza i calcoli dell’egoismo umano, che denuncia il male, che punta il dito contro le ingiustizie, che disturba le trame di chi, all’ombra del potere, gioca sulla pelle dei deboli. E quanti usano la fede per sfruttare la gente. Quello non è la fede”.

Citando il poeta triestino Umberto Saba il papa ha invitato a cercare l’infinito di Dio: “L’infinito di Dio si cela nella miseria umana, il Signore si agita e si rende presente, e si rende una presenza amica proprio nella carne ferita degli ultimi, dei dimenticati, degli scartati. Lì si manifesta il Signore…

Fratelli e sorelle, da questa città di Trieste, affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità; per favore, non scandalizziamoci di Gesù ma, al contrario, indigniamoci per tutte quelle situazioni in cui la vita viene abbruttita, ferita, uccisa; portiamo la profezia del Vangelo nella nostra carne, con le nostre scelte prima ancora che con le parole. Quella coerenza fra le scelte e le parole”.

Però in mattinata, appena giunto a Trieste, papa Francesco aveva incontrato i delegati alla 50^ Settimana Sociale, ricordando un episodio familiare, che ricollega le stesse alla storia d’Italia: “La prima volta che ho sentito parlare di Trieste è stato da mio nonno che aveva fatto il ‛14 sul Piave. Lui ci insegnava tante canzoni e una era su Trieste: Il general Cadorna scrisse alla regina: ‘Se vuol guardare Trieste, che la guardi in cartolina’. E questa è la prima volta che ho sentito nominare la città.

Questa è stata la 50^ Settimana Sociale. La storia delle ‘Settimane’ si intreccia con la storia dell’Italia, e questo dice già molto: dice di una Chiesa sensibile alle trasformazioni della società e protesa a contribuire al bene comune”.

Ed ha ripreso l’idea originaria del beato Toniolo: “Il beato Giuseppe Toniolo, che ha dato avvio a questa iniziativa nel 1907, affermava che la democrazia si può definire ‘quell’ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche, nella pienezza del loro sviluppo gerarchico, cooperano proporzionalmente al bene comune, rifluendo nell’ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori’. Così diceva Toniolo. Alla luce di questa definizione, è evidente che nel mondo di oggi la democrazia, diciamo la verità, non gode di buona salute. Questo ci interessa e ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo, e niente di ciò che è umano può esserci estraneo”.

Ma la realizzazione della democrazia in Italia si è affermata grazie anche al contributo dei cattolici: “In Italia è maturato l’ordinamento democratico dopo la seconda guerra mondiale, grazie anche al contributo determinante dei cattolici. Si può essere fieri di questa storia, sulla quale ha inciso pure l’esperienza delle Settimane Sociali; e, senza mitizzare il passato, bisogna trarne insegnamento per assumere la responsabilità di costruire qualcosa di buono nel nostro tempo”.

Quindi il centro della democrazia è il cuore: “Se la costruzione e l’intelligenza mostrano un cuore ‘infartuatoì’, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi. Questo è la cultura dello scarto. Il potere diventa autoreferenziale (è una malattia brutta questa), incapace di ascolto e di servizio alle persone”.

Citando Aldo Moro il papa è molto preoccupato per la scarsa partecipazione alla vita democratica: “Non è il voto del popolo solamente, ma esige che si creino le condizioni perché tutti si possano esprimere e possano partecipare. E la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va ‘allenata’, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”.

Per rendere vitale la democrazia il papa ha ricordato le basi essenziali, quali sono la sussidiarietà e la solidarietà: “Infatti un popolo si tiene insieme per i legami che lo costituiscono, e i legami si rafforzano quando ciascuno è valorizzato. Ogni persona ha un valore; ogni persona è importante. La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal ‘fare il tifo’ al dialogare…

Mi fermo alla parola assistenzialismo. L’ assistenzialismo, soltanto così, è nemico della democrazia, è nemico dell’amore al prossimo. E certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale. Non dimentichiamo questo. E cosa c’è dietro questo prendere distanze dalla realtà sociale? C’è l’ indifferenza, e l’indifferenza è un cancro della democrazia, un non partecipare”.

L’altra riflessione ha riguardato la partecipazione con creatività: “Se ci guardiamo attorno, vediamo tanti segni dell’azione dello Spirito Santo nella vita delle famiglie e delle comunità. Persino nei campi dell’economia, della ideologia, della politica, della società. Pensiamo a chi ha fatto spazio all’interno di un’attività economica a persone con disabilità; ai lavoratori che hanno rinunciato a un loro diritto per impedire il licenziamento di altri; alle comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale, facendosi carico anche delle famiglie in povertà energetica; agli amministratori che favoriscono la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti. Tutte queste cose non entrano in una politica senza partecipazione. Il cuore della politica è fare partecipe”.

Per questo i cattolici non possono accontentarsi di una fede ‘marginale’: “Ciò significa non tanto di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Tanti, tanti non hanno voce. Tanti. Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni, queste polarizzazioni che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide. A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi”.

E’ stato un invito a riscoprire la ‘passione sociale’:  “Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile. Dobbiamo riprendere la passione civile, questo, dei grandi politici che noi abbiamo conosciuto. Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte. E questa è una cosa importante nel nostro agire politico, anche dei pastori nostri: conoscere il popolo, avvicinarsi al popolo. Un politico può essere come un pastore che va davanti al popolo, in mezzo al popolo e dietro al popolo. Davanti al popolo per segnalare un po’ il cammino; in mezzo al popolo, per avere il fiuto del popolo; dietro al popolo per aiutare i ritardatari. Un politico che non abbia il fiuto del popolo, è un teorico. Gli manca il principale”.

(Foto: Santa Sede)

Da Trieste un invito a stare nelle città secondo la lettera ‘A  Diogneto’

In attesa della visita di papa Francesco a Trieste per la chiusura della 50^ Settimana Sociale,  oggi i delegati hanno riflettuto sul testo di ‘A Diogneto’, grazie all’intervento della prof.ssa  Arianna Rotondo, docente di Storia del cristianesimo all’Università degli Studi di Catania, che ha sottolineato che è un documento che “rappresenta la novità rivoluzionaria della fede in Cristo sul piano etico, spirituale e sociale… Appare una nuova mentalità, una verità paradossale. La fede in Cristo porta non già a estraniarsi dal mondo, ma a condividerne appieno le sorti”.

Infatti il testo, datato tra il II ed il III secolo dopo Cristo, descrive molto chiaramente la vita dei cristiani nella città: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere… Risiedono in città sia greche che barbare… Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri… Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… I cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”.

E papa Francesco, ha richiamato la docente, ha rivolto molte volte l’invito ad una partecipazione civica dei cristiani: “Dio li ha posti in un luogo tanto elevato, che non è loro permesso di abbandonarlo. Quindi il posto dei cristiani nel mondo è in prima linea, perché assegnato direttamente da Dio… La cittadinanza celeste non contempla la diserzione da quella terrestre, anzi richiede di essere fecondi proprio nelle vicende del mondo. L’adesione al cristianesimo impegna tutto l’essere umano, tutta la vita, in grado di trovare il terreno per la propria testimonianza secondo il Vangelo”.

Per questo è necessaria una presenza nuova dei cristiani nelle città: “Tutto questo comporta oggi nuove forme di presenza cristiana, linguaggi adeguati, una coscienza consapevole della propria fede per poter essere coscienza nel mondo”.

Ed incontrando i giornalisti per un consuntivo della settimana, il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi ha raccontato l’attesa della città per il papa in un luogo dove 32 anni fa venne accolto san Giovanni Paolo II: “C’è gioia perché, dopo 32 anni da quando era venuto Giovanni Paolo II, ritorna a Trieste un Pontefice a celebrare nello stesso luogo, piazza Unità d’Italia; una piazza che è un simbolo, macchiata della storia, ma che invece vuole diventare una piazza di fraternità, che abbraccia tutti. E che domani sarà idealmente aperta a tutti. In realtà, purtroppo, alcune persone hanno fatto la richiesta ma essendo già tutta piena non potranno entrare perché non ci sono più posti”.  

Mentre il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha ringraziato i giornalisti per la narrazione di queste giornate: “Far conoscere tanta vita vera, tanta gente vera, tante esperienze concrete in cui la dottrina sociale della Chiesa è esperienza di tanti ragazzi, uomini e donne, tante donne come abbiamo visto..Vera partecipazione, il cui tema è stata la persona: sono convinto che produrrà anche tanta consapevolezza e tanta vita… In un momento di tanta disaffezione, di disillusione, non abbiamo fatto la predica: abbiamo raccolto e fatto parlare tutte le nostre comunità”.

Infatti il presidente della Cei ha ricordato che al centro dei lavori c’è stata sempre la dottrina sociale della Chiesa, ma ‘non come giustificazione o come pretesto per qualche altra operazione’, come dimostra la presenza delle 1.200 persone, di cui 368 donne, 310 giovani e altre 80 uomini; mentre sono state circa 70 le ‘buone pratiche’ che hanno animato gli omonimi villaggi in tutta la città.

Ed a proposito delle ‘buone pratiche’ è stata molto interessante la testimonianza di Carla Barbanti, responsabile della Cooperativa Sociale di Comunità ‘Trame di Quartiere’ di Catania: “Il nostro lavoro inizia proprio a partire dall’abitare il quartiere, conoscere chi lo abita e costruire relazioni, tessere ‘Trame di un quartiere’.

Nel 2011 abbiamo avviato una mappatura di comunità dando voce a chi vi abitava e a chi era stato costretto ad andare via, recuperando il patrimonio culturale materiale e immateriale e raccontando il quartiere e le sue molteplici voci tramite diverse iniziative. Vivere questa quotidianità ci porta a capire che è necessario offrire dei servizi, creare opportunità lavorative e, al contempo, creare un punto di riferimento per coloro che restano abbandonati dalle politiche pubbliche. Oggi San Berillo racchiude una serie di vulnerabilità: un quartiere come tanti altri nelle città italiane, dove è facile esaltare il degrado ma molto più difficile ritrovare opportunità”.

Inoltre anche a Matera è sorta un’altra buona ‘pratica’, come ha raccontato Simone Ferraiuolo, responsabile della cooperativa sociale ‘Oltre l’Arte’, che trae origine da una frase di mons. Mario Operti: “La cooperativa, che oggi mi onoro di rappresentare in questo contesto, è qui a testimoniare che è possibile investire nel cuore e nell’intelligenza delle persone, facendo in modo che giovani desiderosi di creare da sé stessi un’opportunità di lavoro, possano dare vita ad una impresa sociale capace di sviluppare una progettualità di fruizione del patrimonio culturale su misura di tutti i visitatori perché il diritto alla cultura non abbia limiti”.

Settimana Sociale: la democrazia cresce con la partecipazione

Anche oggi sono proseguiti a Trieste i lavori della Settimana Sociale sul tema ‘Al cuore della democrazia’, declinati sulla partecipazione e sulla collaborazione con le relazioni del prof. Filippo Pizzolato, giurista dell’Università di Padova e della Cattolica di Milano, e della prof.ssa Mara Gorli, docente di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha rilevato che “il ‘noi’ è una relazione che si ciba della grande ricchezza costitutiva delle relazioni. Ma facciamo attenzione all’idea di un noi sociale armonico, pacifico, dove ciascuno trova il proprio posto e da lì può gestire il bene comune. E dobbiamo avere in mente che nelle relazioni noi ci mettiamo tensioni, interazioni e solitudini”.

Ed ha detto di prestare attenzione a due rischi: “L’ ‘io’ che si mangia il ‘noi’ ed il ‘noi’ che si mangia l’ ‘io’… E’ una bella tensione che ci mette in scacco: da un lato c’è la tendenza a fare, a concentrarsi su milioni di attività e progetti, lottiamo contro il tempo riempiendo l’agenda; dall’altro c’è la spinta a mollare tutto, con depressioni, dipendenze. E rispetto a questa doppia tensione dobbiamo trovare un equilibrio”.

Quindi per la docente occorre “rifondare un immaginario del ‘noi’, avendo a cuore nuove capacità responsive, sapendo che il gruppo può sostenere la forza di tanti ma può anche imprigionare, imbrigliare, affaticare le persone per la mancanza di respiro”.

Mentre il prof. Pizzolato ha parlato di una democrazia trasformativa: “La Costituzione ci porta al cuore della democrazia: fonda la Repubblica sul lavoro, non sul voto. Al cuore della democrazia c’è la partecipazione quotidiana dei cittadini alla costruzione della società. Quindi la Costituzione è garanzia della sovranità del popolo”.

Inoltre ha sottolineato la necessità di ‘promuovere la partecipazione, che è il fine personalista della Costituzione’, citando gli articoli 3 e 5 della Carta costituzionale, che insistono sulla partecipazione democratica: “La partecipazione ha bisogno del rapporto con le istituzioni per la sua efficacia trasformativa” ed ha bisogno della sussidiarietà; sul ruolo dei ‘cittadini che fanno la loro parte prendendosi cura del bene comune’: “Il rapporto tra cittadini e politica è fortemente malato, i leader politici vogliono ‘catturare il consenso’ mentre alcuni di loro diffondono semi di discordia nella società”.

In apertura di giornata la prof.ssa Isabella Guanzini, docente di teologia fondamentale all’Università di Graz, ha introdotto la riflessione biblica: “Nel cuore della democrazia batte una fiducia di base in una parola dello Spirito che può anche venire da altrove, e che esige la volontà di rinunciare a qualcosa per il bene del popolo… Nella democrazia batte un cuore che non è solo di governo, ma è l’effetto del desiderio di una forma di presenza nello spazio pubblico, di ripresa della parola in uno spazio in cui si sa di essere ascoltati e rispettati”.

A questo punto è bene riprendere il discorso sulla partecipazione democratica, pronunciato nella giornata inaugurale dalla vicepresidente del Comitato Scientifico ella Settimana Sociale, prof.ssa Elena Granata, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano: “La partecipazione accade, spontanea, come fosse una reazione chimica, quando si riesce a superare il confronto faticoso e dogmatico, o a superare la tentazione di pensare che il dialogo non serva a nulla; quando cominciamo a fidarci gli uni degli altri superando le diffidenze reciproche, riconoscendo senza timore conflitti e posizioni antagoniste, superando le paure e le ansie.

Accade quando l’ambiente improvvisamente si scalda e si accende un confronto che non è solo mentale o intellettuale, ma anche fisico, fatto di empatia, fatto di calore umano. La partecipazione accade, spontanea, dopo ogni alluvione, dopo ogni catastrofe, quando vediamo le persone unirsi in nome di una comune rinascita. Abbiamo negli occhi le immagini della Valle d’Aosta…”.

E ricordando le storie di Adriano Olivetti, Maria Montessori e Maria Montessori, ha ribadito che la democrazia è chiamata a diventare ‘luogo’ fisico per incontrarsi: “Ed infine, la partecipazione ha un legame ineludibile con i luoghi. Senza luoghi veri, reali, senza quello spazio-tra-le-case, senza i paesi o i quartieri, senza quelle piazze dove le persone si incrociano, la comunità non comunica, e si trasforma in una semplice, passiva spettatrice.

La democrazia è tale se ‘si fa luogo’, se si incarna nelle storie locali, che poi diventano domande, servizi e istituzioni per tutti. E’ questa la storia di Maria Montessori, di Adriano Olivetti, di Franco Basaglia, di Danilo Dolci, per ricordare solo qualcuno tra i grandi. E’ nei luoghi che abbiamo ritrovato il senso della prossimità durante la pandemia; è nei luoghi che dobbiamo trovare le soluzioni alla sfida energetica, attivando comunità capaci di collaborare per la produzione e la condivisione dell’energia; è nei luoghi che torna centrale la produzione alimentare (che significa anche cura della terra e del paesaggio); è nei luoghi che affrontiamo la sfida climatica, promuovendo azioni concrete di mitigazione ambientale, di contenimento degli effetti della siccità e delle inondazioni. Ed è quindi, ancora nei luoghi che possiamo ricostruire le condizioni della partecipazione popolare e del confronto, come elemento di salute del corpo sociale”.

Da Trieste i cattolici rendono viva la democrazia

“Il tema della settimana è ‘Al cuore della democrazia’ e la riflessione che mi è stata affidata ha per titolo ‘Amare la democrazia nelle sfide del presente’. Un po’ come dire: ‘se vogliamo andare al cuore della democrazia, dobbiamo avere la democrazia nel cuore’. Se siamo qui, la abbiamo”: con queste parole, dopo la giornata inaugurale, il prof. Michele Nicoletti, docente di filosofia della politica all’Università di Trento, ha introdotto i partecipanti al tema della Settimana sociale, in svolgimento a Trieste.

Nella riflessione il relatore ha richiamato ‘le principali sfide che il tempo presente lancia alla democrazia’: “Dallo stato di salute delle democrazie nel mondo emergono elementi di preoccupazione. Se dobbiamo paragonare il momento presente a quello della fine del secolo e del millennio scorso, è facile notare la differenza, soprattutto in termini di ‘aspettative’ nei confronti della democrazia.

Dopo la caduta del muro di Berlino, il successo della democrazia come forma di governo pareva affermarsi in ogni continente… Oggi, il numero delle democrazie nel mondo tende a decrescere e anche là dove i regimi rimangono formalmente democratici la loro sostanza e la loro qualità democratica pare indebolirsi. E soprattutto diminuisce il favore di cui la democrazia sembrava godere. Insomma la democrazia pare in affanno, sfidata da più parti”.

Quindi ha spiegato il motivo per cui è necessario ‘amare’ la democrazia: “Se la democrazia fosse solo una forma di governo tra le altre, una procedura o una tecnica, sarebbe difficile dire che la dobbiamo amare. Se usiamo questa parola impegnativa è perché essa porta con sé l’idea di una forma di vita. E’ l’idea dell’autogoverno. L’idea della libertà intesa come il non essere schiavi. Il non essere cose di proprietà di altri. Ma persone aventi una dignità. E questa dignità è data dal fatto che in ciascuna persona non vi è solo una realtà di cui avere cura, perché unica e insostituibile, ma vi è una soggettività, cioè una capacità di essere soggetto, di guidare la propria vita, di affermare non solo se stesso, ma tutto l’essere”.

Quindi la democrazia non risponde solo all’efficienza della produzione: “Per questo la democrazia non si misura in primo luogo sull’efficienza. Ci sono altri regimi che possono essere, in determinate situazioni più produttivi dal punto di vista economico e magari anche più capaci di fornire servizi e assistenza. Ma la democrazia è quella forma del vivere assieme di persone che si vogliono libere e che vogliono essere protagoniste nel determinare le scelte fondamentali della loro esistenza e il destino delle loro comunità”.

La democrazia è nata dalla filosofia greca, ma anche dalla libertà insita nel cristianesimo: “Quanto c’è qui dell’orgoglio greco della libertà? Ma quanto c’è qui della libertà cristiana! Di quella consapevolezza che le scelte fondamentali della nostra esistenza possono essere prese solo nella libertà. Dio stesso, creatore della libertà umana, ne ha un sacro rispetto. Decide di far passare la salvezza dell’umanità dal ‘sì’ libero di Maria. Pensate politicamente alla potenza di questa scena: il Signore degli eserciti che si premura di raccogliere il sì di una donna per fare il bene dell’umanità. E ogni società umana che viene istituita (a partire dalla famiglia fondata sul matrimonio) richiede il rispetto della libertà”.

Perciò occorre amare la democrazia in quanto riconosce la libertà a tutti: “Ma c’è una seconda ragione per cui amare la democrazia. Perché essa ambisce a riconoscere questa libertà a ogni essere umano e non solo ad alcuni e produce così non solo degli esseri che vogliono vivere da soggetti liberi e sovrani ma anche delle relazioni umane e sociali tra esseri che sono liberi ed uguali. Ci fa sperimentare non solo il gusto della mia libertà, ma il gusto della libertà dell’altro. E questa è la cosa più dura. Guai a non capire questa difficoltà e la necessità di una pratica educativa al rispetto della libertà dell’altro, a una vera e propria ascesi”.

La democrazia è ‘frutto’ di una lotta durata secoli, sovvertendo le abitudini sociali: “Per secoli era considerato naturale che ci fossero schiavi. Era considerato naturale che le donne fossero in posizioni subordinate. Che i poveri avessero meno diritti. E così via. Non è un processo spontaneo il far sì che in una comunità dove ci sono patrimoni diversi, lavori diversi, intelligenze diverse, ognuno abbia un uguale potere di determinare con il proprio voto la vita della comunità. E’ il frutto di una scelta e di una scelta complessa e impegnativa. E’ il frutto di innumerevoli lotte e sacrifici. Va rifatta.

Dobbiamo rispiegare a noi stessi e a chi ci sta intorno l’uguale dignità di ciascuno. Il suo essere soggetto e non solo oggetto. La necessità di rispettare la libertà dell’altro. E di sperimentare, e qui sta l’elemento nuovo, che dentro questo amore per la libertà dell’altro, dentro questo desiderio di costruire una convivenza tra pari si apre una forma di vita più ricca della vita della dominazione in cui uso l’altro come un oggetto per il soddisfacimento dei miei bisogni o piaceri. E’ di nuovo l’amore a indicarci la strada”.

Però oggi il compito è quello di dare nuova linfa alla democrazia: “Se l’esperienza dell’oggi è quella di un diffuso senso di insicurezza, legata a un sentimento di spossessamento di sé, di essere nelle mani di altri, di un essere espropriati delle proprie radici, del proprio futuro, della propria identità, è facile la tentazione di voler offrire protezione a basso prezzo. La gente si sente insicura, dunque il nostro compito è proteggerla.

Nessuno nega la necessità di proteggere i più deboli dal prevalere della violenza e dello sfruttamento, ma la ricostruzione del soggetto democratico si basa su un movimento opposto, ossia il rafforzamento del proprio potere di governo di sé, la capacità di pensare con la propria testa, il senso di indipendenza e la forza del carattere… Qui, inutile dirlo, c’è un immenso lavoro educativo da svolgere”.

E la democrazia si difende non prevaricando i diritti delle persone, secondo il pensiero rosminiano: “Dentro questa gelosa custodia della dimensione di mistero di ogni persona, si colloca una più vigorosa difesa dei diritti delle persone. Questo rapporto tra diritto e persona è stato espresso da Rosmini in modo lapidario. La persona non ha diritti ma è il diritto umano sussistente. La nostra passione per i diritti non è una passione per i principi astratti ma per le persone in carne ed ossa. Per questo i diritti fondamentali sono unici e indivisibili. I diritti civili e i diritti sociali sono parte di un’unica realtà”.

Quindi occorre non soffocare le comunità locali: “La tradizione dei cattolici italiani è stata una grandissima tradizione di attenzione e impegno nelle comunità locali. Non sempre gli interventi recenti del legislatore hanno saputo valorizzare la ricchezza di questa dimensione, ma rimangono ancora straordinari spazi di partecipazione e impegno”.

E’ necessario, in fin dei conti, la struttura della democrazia: “Bisogna ridare vita alla dimensione deliberativa della democrazia. La democrazia non è solo elezione di capi. E’ anzitutto discussione e formazione discorsiva della volontà collettiva. La democrazia come spazio di discussione reale e di decisione si sta atrofizzando schiacciata da un lato dal prevalere della tecnocrazia dall’altro dall’invadenza della vuota chiacchiera. Servirebbero in ogni realtà locale dei centri studi politici che potessero mettere a disposizione della discussione pubblica le competenze di esperti”.

La democrazia deve poi accogliere la sfida di una democrazia “riparativa” che “proviene dal mondo ambientalista. Si tratta di dare voce a chi non ha nessuno che si faccia interprete delle sue istanze: di persone invisibili o sommerse o anche di realtà naturali che hanno bisogno del nostro ascolto e della nostra cura per poter sopravvivere. Non c’è politica ambientalista che si possa attuare senza partecipazione”.

Ed ha rilanciato la proposta del card. Zuppi a dare ‘vita’ ad una ‘Camaldoli’ europea: “Dobbiamo chiederci quanto spazio diamo nella nostra formazione sociale e politica alla comprensione dei fenomeni internazionali, delle dinamiche economiche, militari, politiche che governano la pace e la guerra tra gli Stati e che sono così influenti sulla nostra vita personale e collettiva. Le Chiese non possono sottrarsi a questa responsabilità. Sono tra le poche organizzazioni che hanno una storia secolare di lavoro internazionale. L’appello del card. Zuppi a una Camaldoli europea deve essere immediatamente raccolto. C’è bisogno di nuove generazioni di credenti europei innamorati della democrazia che imparino a lavorare assieme fin da giovani studenti”.

Insomma è necessario un ethos democratico: “Le nostre energie devono essere indirizzate alla ricostruzione di un ethos democratico. Dobbiamo ricostruire pratiche politiche fondate sul rispetto del senso delle parole, sulla ricerca razionale delle soluzioni più adeguate ai bisogni di tutti, su uno stile di radicale nonviolenza, sulla consapevolezza dei limiti strutturali della politica, sulla coscienza della parzialità delle proprie proposte, sullo sforzo di comprensione delle ragioni altrui, su uno studio approfondito dei problemi a partire dalla incidenza dei fattori economici e dei rapporti di forza nella vita collettiva. E questo ethos della democrazia deve nutrirsi di determinazione non solo nella difesa delle proprie idee e dei propri valori, ma anche nella difesa appassionata della possibilità per tutti di battersi pacificamente per le proprie idee. Il bene comune è anche questa cornice di principi e di ordinamenti che consentono la libertà di tutti”.

Mentre la docente di filosofia teoretica all’università di Bari, prof.ssa Annalisa Caputo, ha evidenziato ciò che nel 2010 affermava il card. Bergoglio: “Non possono esistere invisibili in un tessuto democratico. Se ciò che desideriamo nelle istituzioni è la giustizia e se ciò che desideriamo nella democrazia è l’universalizzazione di questa giustizia, non possiamo non desiderare la partecipazione di tutti. Si tratta di quella che Bergoglio già nel 2010 chiamava una ‘democrazia ad alta intensità’. Ogni filo che manca è un buco nel tessuto ecclesiale e sociale”.

Ed ecco il motivo dell’importanza dell’enciclica ‘Fratelli tutti’: “Non saremo mai ‘Fratelli tutti’ fino a quando ogni Stato e ogni popolo che è abituato a riconoscersi in una sola storia non farà posto a più storie. Lo vediamo per Palestina e Israele che non riescono ad ascoltare vicendevolmente i propri racconti storici, ma vale anche per la nostra storia’… L’Italia è anche il racconto che gli altri fanno di noi, dai grandi del G7 ai ‘poveracci’ che vorrebbero venire sul nostro territorio o abitarlo umanamente”.

Quindi la democrazia deve ‘ripartire’ proprio dall’ascolto degli ‘ultimi’: “Ogni autentica giustizia, ogni autentico impegno non può non ripartire proprio da chi non ha voce, da chi reclama la sua parte che non significa solo la sua parte di beni, ma l’effettiva possibilità di prendere parte alla costruzione della casa comune”.

Mentre nella riflessione biblica iniziale fratel Sabino Chialà, priore della Comunità di Bose, ha evidenziato che la democrazia ha il bisogno di un buon uso della parola: “Il primo scivolamento verso un’autorità abusante è il cattivo uso della parola. La vera autorità è terapeutica, opera per il bene dell’altro, aiuta l’altro a stare al mondo. Il primo fallimento dell’autorità è quello di chi si serve degli altri anziché servire, di chi opera per la morte invece che per la vita…

Un’autorità autentica ha bisogno della libertà da se stessi: solo gli uomini liberi da sé stessi e dal proprio narcisismo potranno essere davvero autorevoli. L’autentica autorità è oblativa: ogni abuso di autorità implica sempre la non libertà da se stessi”.

(Foto: Settimana Sociale)

Dott. Pedrizzi (UCID) racconta il contributo dei cattolici alla democrazia

“Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”: così affermava san Giovanni Paolo II; e così ribadisce anche il documento preparatorio della 50^ Settimana Sociale, ‘Al cuore della democrazia’, in svolgimento a Trieste: “E la partecipazione alla vita civile assume nomi sempre nuovi: la possiamo riconoscere nella perdurante vitalità dell’associazionismo e del terzo settore; nell’emergere di una nuova economia civile animata da imprese e cooperative orientate alla responsabilità sociale; nell’attività di amministratori capaci di ascoltare e interpretare in modo responsabile e lungimirante i bisogni emergenti da città e territori; nella costruzione di percorsi di progettazione dal basso per una cura condivisa e partecipata del bene comune; nella spinta propulsiva dei giovani per la cura dell’ambiente, a partire dai loro contesti di vita; nell’impegno di tante Chiese locali per la costruzione delle comunità energetiche, preziosa eredità della Settimana Sociale di Taranto”.

Per comprendere meglio il motivo per cui i cattolici si interrogano sulla democrazia abbiamo incontrato il presidente regionale dell’UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) del Lazio, dott. Riccardo Pedrizzi: “La dottrina sociale della Chiesa intende essere un veicolo attraverso il quale portare il Vangelo di Gesù Cristo nelle diverse situazioni culturali, economiche e politiche che gli uomini e le donne di oggi devono affrontare. Il tema scelto per questa edizione della Settimana Sociale ‘Al cuore della democrazia’, rappresenta una questione molto importante per il nostro millennio. Anche se è vero che la Chiesa non offre un modello concreto di governo o di sistema economico (cfr Centesimus annus, n. 43), ‘la Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno’.

La democrazia ai nostri giorni deve affrontare gravi problemi. Il primo fra tutti è la tendenza a considerare il relativismo intellettuale come il corollario necessario di forme democratiche di vita politica. Da tale punto di vista, la verità è determinata dalla maggioranza e varia secondo transitorie tendenze culturali e politiche. Quanti sono convinti che certe verità siano assolute e immutabili vengono considerati irragionevoli e inaffidabili. D’altro canto, in quanto cristiani crediamo fermamente che ‘se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia’ (Centesimus annus, n. 46).

Le altre questioni riguardano le sfide che nell’odierno mondo economico e tecnologico, finanziario e produttivo, organizzativo e creditizio, mediatico e informatico, trovano il terreno fertile per un attacco alle regole democratiche. Il tecnocrate, il bancocrate, il tecnoburocrate, il manager, costituiscono di fatto centri oligarchici che mirano a imporsi nel nome dell’efficienza, della competenza, della produttività, del profitto. Oltretutto nelle società post-industriali oggi non c’è un attacco frontale alla democrazia, agisce però una delegittimazione per vie interne del sistema democratico, che ne svuota progressivamente i presupposti. Predomina cioè l’idea che la politica sia il dominio dell’incompetenza e dell’inefficienza. Per cui occorre porsi la domanda se di fronte alle trasformazioni in atto la ‘democrazia dei moderni’, avrà la forza e la capacità di resistere”.

Quanto è importante per la Chiesa la partecipazione dei cattolici alla vita civile?

“Dinanzi alla pretesa laicista di relegare sbrigativamente nel «religioso» il cristiano e di fronte al pericolo di un pluralismo indifferente, occorre ridare al più presto slancio e contenuti ed una proposta che, partendo dalla fede, proponga una sua concezione dell’uomo, della storia e della società.

Da ciò discende che un impegno sociale efficace e fecondo non sarà possibile senza la ricerca e l’affermazione della verità sull’uomo e dell’uomo. Ma se questa verità non venisse ricercata ed affermata totalmente, se un’antropologia, cioè la dottrina sull’uomo, non esprimesse tutti i valori e non investisse tutti gli ambiti e gli aspetti della vita dell’uomo, si avrebbe come esito inevitabile ‘la mortificazione dell’uomo stesso, e non sarebbe possibile attuare una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio’.

E’ necessario perciò che il cristiano superi quel complesso di inferiorità creatogli dall’Illuminismo in base al quale la fede sarebbe conflittuale e concorrenziale con la ragione. Tra fede e ragione vi è differenza, ma non alternatività, ed è proprio alla luce della prima che il cristiano conosce l’uomo nella sua pienezza e costruisce un’antropologia non neutra o dimezzata o ad una dimensione. A questa visione dell’uomo il cristiano deve conformare la sua azione politica. Senza rassegnazione e senza compromessi che possano significare cedimenti o mimetizzazioni sulla propria verità dell’uomo.

Se ciò non avvenisse il cristiano si renderebbe clandestino, si mostrerebbe indifferente, si mimetizzerebbe e tornerebbe nelle catacombe, diventando complice dell’aggressione all’avvenimento cristiano. Proprio questo… ‘Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose perché possiamo goderne, perché tutti possano goderne’, ha scritto papa Francesco nell’esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’”.

Quale contributo possono offrire i cattolici alla vita democratica?

“In questo scenario è estremamente importante che siano presenti i cattolici fedeli al Magistero di sempre che dovrebbero sapersi muovere con intelligenza e cautela in modo da poter essere in grado di rilanciare la Dottrina Sociale Cattolica come contributo sempre originale di idee, di programmi e di sentimenti, per affermare che l’unico programma politico, sociale ed economico è quello che ‘diverge radicalmente dal programma del collettivismo, proclamato dal marxismo e realizzato in vari Paesi del mondo…’ ed ‘al tempo stesso differisce dal programma del capitalismo praticato dal liberalismo e dai sistemi politici, che ad esso si richiamano’, cosi come testualmente recita l’enciclica ‘Laborem exercens’ di san Giovanni Paolo II. In particolare bisogna comunicare, applicare, vivere i due principali principi della Dottrina sociale cattolica: quello della solidarietà e quello della sussidiarietà.

Virtù umana e cristiana, la solidarietà (meglio sarebbe dire: la carità) supera ogni individualismo e consente a uomini e famiglie, gruppi e comunità locali, ordini professionali ed associazioni di categoria, nazioni ed organizzazioni internazionali di partecipare per il bene comune alla gestione delle attività economiche, politiche e culturali, senza che ne venga lesa per il principio di sussidiarietà la legittima autonomia dei vari corpi sociali intermedi”.

Cosa può offrire l’UCID all’Italia?

“La consapevolezza innanzitutto della necessità di creare e formare una classe dirigente imprenditoriale eticamente responsabile, applicando il criterio della meritocrazia che significa consentire di essere elites in politica, nella società, nell’economia, nella cultura, nella vita solamente a chi è bravo, studia, è competente e si sacrifica al servizio della comunità. Su questa lunghezza d’onda si mosse anche  papa Benedetto XVI in un’intervista del 26 settembre 2009: ‘Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva. La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace’.  

La Chiesa stessa, in tale contesto, è una minoranza creativa che deve essere presente nel dibattito pubblico con tutta la forza del messaggio di Cristo, anche nella società, auspicando che sopratutto i laici cattolici (dall’esperienza familiare a quelle associative, professionali come l’UCID) saldi nella sana dottrina, devono tornare ad essere quei poli d’attrazione che facciano interrogare nuovamente l’uomo del nostro tempo e convincerlo, con l’esempio, che è meglio vivere scommettendo su Dio piuttosto che farne a meno o metterlo tra parentesi”.

(Foto: UCID)

Dalla Settimana Sociale l’invito a vivere la democrazia

“Dal 1907 a oggi il cattolicesimo italiano non è rimasto a guardare, non si è chiuso in sacrestia, non si è fatto ridurre a un intimismo individualista o al culto del benessere individuale, ma ha sentito come propri i temi sociali, si è lasciato ferire da questi per progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale. Ha pensato e operato non per sé ma per il bene comune del popolo italiano. E il bene comune non è quello che vale di meno, ma è quello più prezioso proprio perché l’unico di cui tutti hanno bisogno e che dona valore a quello personale”: con queste parole, salutando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha aperto a Trieste la 50^ Settimana sociale dei cattolici sul tema della democrazia.

Ripetendo le parole del card. De Lubac, il presidente della Cei ha sottolineato il significato di una città che vive sul confine, quindi di due patrie: “Il Vangelo ci aiuta a capire che siamo fatti gli uni per gli altri, quindi gli uni con gli altri. La nostra casa comune richiede un cuore umano e spiritualmente universale. De Gasperi e gli altri Padri fondatori dell’Europa sono stati animati, sono parole sue, ‘dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa’.

Ed è significativo che lo statista trentino usasse la parola patria sia per l’Italia, sia per l’Europa senza avvertire contraddizioni. I cristiani prendono sul serio la patria, tanto che sono morti per essa, ma sanno anche che c’è sempre una patria in cielo e questo ci rende familiari di tutti e a casa ovunque. Grazie, quindi, alla splendida e accogliente città di Trieste. È bello ritrovarci da ogni Regione e Diocesi d’Italia in una terra che ci parla dell’opportunità e della bellezza di vivere insieme”.

Quindi ha ribadito che la Chiesa non ha preclusioni nell’accoglienza e non si può delimitarla politicamente: “La Chiesa è madre di tutti, perché solo guidata dal Vangelo. Leggere e qualificare le sue posizioni in un’ottica politica, deformando e immiserendo le sue scelte a convenienze o partigianerie, non fa comprendere la sua visione che avrà sempre e solo al centro la persona, senza aggettivi o limiti”.

Per questo ha citato un discorso di san Giovanni Paolo II nel 1994 con l’invito a non sottrarsi dalla responsabilità: “La pace e lo sviluppo non sono beni conquistati una volta per tutte. Richiedono un ‘amore politico’ che deve assumere l’unità come un obiettivo da perseguire, da difendere e da far crescere, perché l’unità non è mai statica, ma sempre dinamica!”

Però la democrazia ha bisogno di partecipazione: “Ben vengano nuove forme di democrazia incentrate sulla partecipazione: questa Settimana Sociale è dedicata in larga parte proprio alle buone pratiche partecipative di democrazia. Siamo contenti quando i cattolici si impegnano in politica a tutti i livelli e nelle istituzioni. Siamo portatori di voglia di comunità in una stagione in cui l’individualismo sembra sgretolare ogni costruzione di futuro e la guerra appare come la soluzione più veloce ai problemi di convivenza. I cattolici in Italia desiderano essere protagonisti nel costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno sia scartato o venga lasciato indietro. Anche, per questo, dobbiamo essere più gioiosamente e semplicemente cristiani, disarmati perché l’unica forza è quella dell’amore”.

Infine ha messo in guardia dai populismi, che annientano la partecipazione: “La partecipazione, cuore della nostra Costituzione, consente e richiede la fioritura umana dei singoli e della società, accresce il senso di appartenenza, educa ad avere un cuore che batte con gli altri, pur tra le differenze. Quando la gente si sente parte, avviene il miracolo dell’umanizzazione dei rapporti sociali ed economici: ciò si realizza nei corpi intermedi, nelle istituzioni, sui territori, nelle grandi aree metropolitane e nelle aree interne, al Nord come al Sud. E’ bello per noi iniziare la Settimana Sociale in questa città di frontiera. Vogliamo incarnare uno stile inclusivo, di unità nelle differenze. Soprattutto vogliamo esprimere tutto l’amore di cui siamo capaci per il nostro Paese. Amiamo l’Italia e, per questo, ci facciamo artigiani di dmocrazia, servitori del bene comune”.

Nell’intervento inaugurale il presidente della Repubblica ha declinato la parola democrazia, messa in discussione dai nazionalismi: “Democrazia. Parola di uso comune, anche nella sua declinazione come aggettivo. E’ ampiamente diffusa. Suggerisce un valore. Le dittature del Novecento l’hanno identificata come un nemico da battere. Gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera. Insieme una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendone il nome a sostegno di tesi di parte. Non vi è dibattito in cui non venga invocata a conforto della posizione propria. Un tessuto che gli avversari della democrazia pretenderebbero logoro.

L’interpretazione che si dà di questo ordito essenziale della nostra vita appare talora strumentale, non assunto in misura sufficiente come base di rispetto reciproco. Si è persino giunti ad affermare che siano opponibili tra loro valori come libertà e democrazia, con quest’ultima artatamente utilizzabile come limitazione della prima. Non è fuor di luogo, allora, chiedersi se vi sia, e quale, un’anima della democrazia”.

Ed al centro della democrazia ci sono le persone: “Al cuore della democrazia vi sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali, economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni, della loro umanità: questo è il cardine della nostra Costituzione.

Questa chiave di volta della democrazia opera e sostiene la crescita di un Paese, compreso il funzionamento delle sue Istituzioni, se al di là delle idee e degli interessi molteplici c’è la percezione di un modo di stare insieme e di un bene comune”.

Infine è arrivato l’invito a ‘battersi’ per la democrazia: “La Repubblica ha saputo percorrere molta strada, ma il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue Istituzioni non si esaurisce mai. Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della ‘alfabetizzazione’, dell’inveramento della vita della democrazia. Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea.

Ebbene, battersi affinché non vi possano essere più ‘analfabeti di democrazia’ è causa primaria e nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere. Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme”.

(Foto: Quirinale)

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Mons. Trevisi: a Trieste per vivere la ‘profezia’ della democrazia

“La Settimana Sociale vuole essere un crocevia di persone e progetti diversi, un luogo per condividere il presente e immaginare insieme il futuro, ricercando sempre nuove vie per costruire il bene comune. Per andare ‘al cuore della democrazia’ attiveremo percorsi vivi ed inclusivi al fine di connettere storie e comunità, laboratori creativi per sperimentare metodologie innovative e coinvolgenti. Costruiremo insieme processi di ascolto e di progettazione che partono dalle comunità locali e ritornano nei territori”: dal documento preparatorio alla 50^ edizione della Settimana Sociale, intitolata ‘Al cuore della democrazia’ in svolgimento a Trieste fino a domenica 7 luglio, abbiamo chiesto al vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi di raccontare come si sta preparando la città all’accoglienza del Papa ed alla Settimana Sociale:

“La venuta del Papa ha destato ancora più interesse. Ci si è chiesti con maggiore attenzione il significato della Settimana sociale dei cattolici. Le Istituzioni si sono subito mostrate disponibili a collaborare per l’evento; un gruppo di insegnanti ha animato un percorso in numerose classi (dalle elementari alle superiori) sulla partecipazione con un’iniziativa davvero fantasiosa; e poi alcuni eventi a livello diocesano, parrocchiale e poi di associazioni e movimenti. Emozionanti, potremmo dire gesti di tenerezza che sono iniziati spontaneamente, sono le numerose lettere e disegni che anziani e bambini hanno fatto per papa Francesco”.

‘Trieste è città di confine, proiettata verso l’Europa e aperta verso Est, con una presenza storica di tante Confessioni cristiane e religioni diverse; terra segnata da divisioni politiche che ne hanno attraversato la storia, con luoghi simbolo che ci ricordano dove porta la negazione della democrazia, dalla Risiera di San Sabba alle Foibe. Trieste città multietnica e con diverse presenze linguistiche, laboratorio dove si è osato ripensare la salute mentale e la dignità del malato, crocevia di ingegni e di culture, di letteratura e di arti’: la città come vive la democrazia?

“Siamo terra di frontiera e con una storia di sofferenza. Il confine nel secolo scorso, per colpa di nazionalismi estremi e di guerre fratricide, è diventato una triste separazione tra genti che prima avevano vissuto lungamente fianco a fianco. Oggi si cerca di rielaborare la memoria di quel dolore così atroce, che in qualche modo ha visto tutti come vittime, ma poi anche con svariate forme di complicità dettate dal risentimento, dalle ideologie, dalla paura.

Oggi Trieste ha la responsabilità di vivere nel reciproco rispetto e nell’inventare continuamente forme in cui ciascuno possa sapersi in una terra amata e insieme ad altre comunità linguistiche, culturali e religiose, ma accomunati da una storia comune. E questo sia per evitare che i giovani restino nella gabbia delle colpe delle generazioni precedenti, sia come testimonianza a quei popoli che ora si stanno combattendo: pensiamo per esempio alla guerra fratricida tra russi e ucraini”.

Trieste è anche città di ‘passaggio’ per i profughi provenienti dalla ‘rotta balcanica’: in quale modo la città vive la ‘profezia’ dell’accoglienza e dell’ospitalità?

“Siamo sulla rotta balcanica. Nei giorni scorsi sono stati trasferiti i giovani (per lo più afgani, pakistani, curdi, siriani…) che erano accampati al ‘Silos’, una struttura fatiscente in cui tanti giovani vivevano in situazione indegna, come in una favela senza servizi igienici, luce e acqua. Io ritengo che, dopo una stagione in cui troppo si è aspettato nel dare un’accoglienza umana, questo sia solo l’inizio di un processo che deve vedere tutti a collaborare, perché coloro che arrivano (quotidianamente) siano presi in carico in modo degno e appena possibile trasferiti in altre città.

I nostri dormitori cittadini sono sempre saturi; come Caritas abbiamo aperto un’altra struttura (un dormitorio notturno) per i transitanti che decidono di continuare il loro viaggio e ci stiamo accollando tutte le spese. A dire il vero speriamo di diventare profezia di accoglienza: nonostante i tanti gesti e segni positivi che si sono inventati, spesso il sistema di accoglienza si è inceppato: ed il ‘Silos’ è stato l’emblema di questa difficoltà. E tuttavia mi viene da lodare la generosità di tante persone, gruppi, associazioni che si sono spesi e si stanno spendendo in un’accoglienza che davvero sa di ‘profezia’”.

Però, per quale motivo i cattolici si interrogano sulla democrazia?

“La crisi culturale dei nostri Paesi, spesso smarriti e disorientati, con un’aggressività ed un individualismo pervasivi, che vedono le persone sempre più sole e irritate (pensiamo alle violenze ma anche all’inverno demografico; ad un consumismo sfrenato che porta a stili di vita sempre più nelle briglie di un mercato che detta ogni regola) ci dicono che i cattolici devono contribuire con la loro originalità di valori e testimonianza a costruire la società e la democrazia in cui vivono. La Dottrina sociale della Chiesa ha fatto l’opzione per la democrazia, ma l’ha ancorata a quei valori e stili di vita che scaturiscono dal Vangelo ma che possono essere fecondi per tutti, che possono rigenerare speranza anche per l’intero Paese”.

Quanto è importante per la Chiesa la partecipazione dei cattolici alla vita civile?

“La Chiesa non impone la sua dottrina, ma i laici cattolici sono chiamati a testimoniare e tradurre il Vangelo dentro i linguaggi e le istituzioni del mondo. Di fronte all’efferatezza delle guerre, alla crisi dei legami familiari, alla fragilità che vede tante persone sofferenti, all’ambiente spesso reso una discarica che snatura il progetto di Dio… è evidente che i cattolici hanno tanto da testimoniare ed hanno valori importanti attorno a cui cercare di aggregare tante persone. I cattolici sanno di non poter restare alla finestra e neppure di potersi accontentare a moltiplicare le denunce e le condanne. Da qui la necessità di reinventare forme di partecipazione che possano ancora dire la perenne novità della fede in Cristo anche per realizzare il bene comune e la giustizia”.

(Foto: Settimana Sociale)