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Teresio Olivelli: un giovane meraviglioso,  la persona forse più intelligente che io abbia mai conosciuto

Il 25 dicembre 1944, giorno di Natale, nel lager di Hersbruck non si lavora. Vitto abbondante: ben cinque piccole patate, che Teresio divide tra i compagni. Proprio il giorno di Natale, come racconta un compagno di prigionia: ‘Teresio venne in infermeria ad augurarci buone feste, sollevando il nostro spirito depresso con parole di vivissima fede. Per noi fu una visione del cielo. Ma egli era entrato in infermeria arbitrariamente allo scopo di sollevare le nostre anime. Era proibito a tutti entrare. Ma a Teresio importava consolare i compagni di sventura. Nell’uscire fu picchiato, schiaffeggiato, preso a calci’.

Questo episodio ci illustra bene come Teresio Olivelli nel lager sia stato pienamente un ‘uomo per gli altri’, per usare un’immagine cara al grande martire di Flossenbürg, Dietrich Bonhoeffer. Il Dio di Gesù Cristo, nel lager è pienamente anche per Olivelli, come lo era per Bonhoeffer, è il Dio dell’essere ‘per gli altri’, che cammina sulle strade degli uomini, che aiuta e serve, che condivide, che si schiera con i più svantaggiati e oltraggiati. Il Dio dunque che di fronte alle aberrazioni della storia non può non schierarsi dalla parte delle vittime.

Il 31 dicembre 1944, mentre tenta di difendere un giovane picchiato ferocemente da un kapò, Olivelli riceve un bestiale calcio allo stomaco. Su suo corpo martoriato, questa ennesima violenza produce un effetto devastante. Trasportato in infermeria, vi trascorre due settimane in agonia. Muore il 17 gennaio 1945. Aveva solo 29 anni.  

Il corpo di Teresio Olivelli finisce nel forno crematorio, poi le sue ceneri sono disperse. Di lui non c’è dunque nessuna tomba, nessuna stele che indichi il luogo del suo martirio, nessuna pietra sepolcrale, nessuna scritta che ricordi il suo sacrificio. Lo stesso destino di milioni di altre persone.

Il lager di Hersbruck è stato la tappa finale di un cammino di maturazione e di crescita: cresciuto in Azione cattolica, nella Fuci e nella San Vincenzo, il giovane Olivelli abbracciò il fascismo, nell’ingenua convinzione che fosse possibile una sua coniugazione con il cristianesimo, e partecipò alla seconda guerra mondiale sul fronte russo con gli alpini, dove comprese la follia della politica del regime.  

Tornato in Italia, nella frequentazione dell’Oratorio della Pace di Brescia maturò la sua definitiva fuoriuscita dal fascismo e dopo l’8 settembre 1943 divenne esponente di primo piano della Resistenza nelle file delle Fiamme Verdi, con il compito di tenere i contatti fra i vari gruppi e di contribuire alla realizzazione e diffusione della stampa clandestina, soprattutto del foglio ‘Il Ribelle’.

Arrestato a Milano il 27 aprile 1944 a seguito di una soffiata, Olivelli nei lager in cui si trovò detenuto giunse alla completa offerta di sé, vittima sacrificale della barbarie nazista, agnello immolato per i propri compagni di prigionia e, più in generale, per tutti coloro che si trovavano coinvolti nel dramma della guerra.

Teresio Olivelli, indicato da padre David Maria Turoldo come ‘una persona meravigliosa, uno degli uomini più intelligenti che io abbia mai conosciuto’, il 3 febbraio 2018 a Vigevano è stato beatificato. La Chiesa lo indica così come modello da imitare, come persona che nel sacrificio supremo ha compiuto il senso della sua vita, immolandosi per gli altri. La testimonianza di Teresio Olivelli è dunque quanto mai preziosa anche oggi, in un tempo in cui pare risuonare solamente il rumore assordante delle armi.

Mons. Enrique Angelelli ricordato a Montegiorgio, paese di suo padre

Nelle scorse settimane il vescovo argentino della diocesi di La Rioja, mons. Dante Braida, accogliendo la richiesta di una reliquia da intronizzare nella parrocchia della città, si è recato a Montegiorgio, in provincia di Fermo, città di 7000 abitanti, che diede i natali al padre, mentre la madre era originaria di Cingoli: Enrique, insieme ai fratelli Juanito ed Elena nati tutti in Argentina, sono figli di Giovanni Angelelli originario di Montegiorgio che è partito dall’Italia a soli 15 anni per cercare fortuna in Argentina; proprio lì conobbe Celina Carletti, originaria di Cingoli con cui si sposò. Mons. Angelelli fu trucidato dalla dittatura militare il 4 agosto 1976 ed il 27 aprile 2019 papa Francesco lo ha dichiarato beato. 

Mons. Dante Braida ha sottolineato in quale modo è avvenuto l’invito: “Sono stato invitato dal parroco della Chiesa fermana, don Pierluigi Ciccarè, tramite don Mario Moriconi, sacerdote italiano che ha prestato servizio in Argentina dal 1973 al 1984, nella diocesi di Morón. In questa visita mi accompagna mons. Marcos Pirán, vescovo ausiliare di Holguín a Cuba, originario dell’Argentina (diocesi di San Isidro)”.

All’incontro ha partecipato anche il vescovo di Fermo, mons. Rocco Pennacchio,sottolineando che la testimonianza di mons. Angelelli è un messaggio attuale per la Chiesa. Durante l’omelia della celebrazione eucaristia mons. Dante Braida ha ringraziato la comunità montegiorgese per l’invito: “Ringrazio Dio per questa opportunità di testimoniare non solo la vita del beato martire Enrique Angelelli e dei suoi compagni, ma anche la sua eredità che oggi alimenta la nostra vita e le nostre azioni pastorali”.

Ed ha raccontato l’azione pastorale del beato argentino: “Nella sua azione pastorale, mons. Angelelli confidava in quella presenza di Dio che abita in tutti gli uomini; per questo invitava tutti a partecipare attivamente alla vita sociale, con la certezza che ciascuno ha qualcosa da offrire al bene comune, alla bene degli altri. E quella presenza include soprattutto i più piccoli, i più poveri e i più vulnerabili, tutti coloro che, agli ‘occhi dell’efficienza’ del mondo, possono essere insignificanti”.

Mentre nell’incontro cittadino mons. Braida ha valorizzato le esortazioni di mons. Angelelli ai laici: “Per questo mons. Angelelli nel suo primo messaggio ai laici ha detto: ‘Pensate, riflettete, dialogate, date la vostra opinione, partecipate, ascoltate, imparate, obbedite, intervenite, preoccupatevi, preoccupatevi per gli altri, siate partecipi solidarietà… sentirci corresponsabili insieme al vescovo, ai sacerdoti e alle suore della missione della Chiesa’. Allo stesso tempo, il nostro vescovo ci ha esortato a riconoscere che lo Spirito Santo opera in ogni persona che lavora per la giustizia e la pace, per il bene degli altri, con i quali dobbiamo camminare insieme, siano essi credenti o non credenti, membri delle organizzazioni più diverse anche se non siamo d’accordo su tutto”.

Chi era mons. Enrique Angelelli?

“Mons. Enrique Angelelli era un pastore, che ha cercato in tutti i modi di prendersi cura delle sue pecore, testimoniando il Vangelo, ed ha portato il messaggio del Concilio Vaticano II a tutte le persone della sua diocesi”.

Quale era il suo amore per la Chiesa?

“Ha veramente dato la vita per una Chiesa sinodale e per questo, quando è stato beatificato, il card. Angelo Becciu ha detto che era un martire dei decreti conciliari. Cercava questo, una persona che amava molto la Chiesa, e sebbene non fosse ben compreso ai suoi tempi da alcuni ambienti ecclesiastici, andò comunque avanti, unito alla Chiesa e fedele alla missione che gli era stata affidata. Oggi cerchiamo di leggere di più le sue omelie, di rivolgerci di più alla sua testimonianza, perché è una luce enorme per noi che vogliamo vivere la sinodalità”.

In quale modo si fece interprete del Concilio Vaticano II nell’Argentina?

“Cercò di rendere tutti i fedeli partecipi della vita della Chiesa, affinché la fede li aiutasse a crescere in tutte le dimensioni della loro vita familiare, lavorativa, sociale e culturale, perché ogni persona fosse in grado di scoprire la propria vocazione”.

‘Un orecchio al Vangelo, un orecchio al popolo’: in quale modo applicò questa sua ‘regola’?

“Mons. Angelelli ha applicato questo suo lemma prima nell’ascolto del Vangelo, poi nell’ascolto delle persone nella convinzione di renderle più consapevoli nel vivere il cristianesimo”.

Lei è vescovo di La Rioja, diocesi di mons. Angelelli: cosa rimane di questa eredità in quella particolare chiesa?

“E’ molto bello bere dall’eredità che ci ha dato, perché ha vissuto proprio il Concilio Vaticano II, e nel 1968 quando ha assunto la diocesi ha cercato di applicarlo, e in modo concreto incoraggiando i laici nella propria missione, soprattutto nel mondo, ed anche aiutando ad affrontare le situazioni di povertà, in cui vivono tante persone. Anche nei consigli pastorali, organizzando la diocesi per decanati per renderla più partecipativa. Era una persona che amava molto la Chiesa, e anche se non era molto compreso nel suo tempo da alcuni settori ecclesiali, tuttavia, è andato avanti, fedele alla missione a lui affidata. Oggi cerchiamo di leggere di più le sue omelie, di andare oltre alla sua testimonianza, perché è una luce enorme per quelli di noi che vogliono vivere la sinodalità”.

E come si pone il Sinodo nell’ascolto delle persone?

“Il Sinodo sta cercando un modo per ascoltare tutte le persone e renderle partecipe alla vita della Chiesa. Nella Chiesa ogni battezzato ha un ‘valore’ ed ha un’importanza unica: se quella persona ha una necessità o è povera deve essere al centro della comunità cristiana”.  

(Tratto da Aci Stampa)

Il card. Eduardo Francisco Pironio è beato

Il card. Eduardo Francisco Pironio, morto nel 1998, sabato 16 dicembre è stato beatificato nella basilica di Nostra Signora di Luján, dove fu ordinato sacerdote nel dicembre del 1943, dal card. Fernando Vergez Alzaga, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, che per anni è stato segretario particolare del porporato argentino. La festa del nuovo beato sarà celebrata il 4 febbraio.

Papa Luciani beato: il ‘grazie’ del Triveneto

Come in un Santuario all’aperto 2.000 pellegrini hanno cantato il ‘Te Deum di ringraziamento’ per la beatificazione di Giovanni Paolo I, insieme al patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia ed i vescovi dove il papa aveva svolto il suo servizio da prete e da vescovo (mons. Renato Marangoni di Belluno-Feltre, e mons. Corrado Pizziolo di Vittorio Veneto), come ha detto mons. Marangoni:

“Desideriamo affidarci al nuovo beato perché in lui ci è stato donato il Vangelo di Gesù, luce nelle nostre vite, perché ci ha indicato l’amore intramontabile con cui Dio ci salva da paure e difficoltà, perché ha testimoniato lo stile di Dio, perché ha trasmesso la sua bontà. Per questo papa Francesco ha invitato a chiedere a papa Luciani il sorriso dell’anima, quello trasparente e che non inganna”.

Nell’omelia il patriarca di Venezia ha puntualizzato il concetto di umiltà secondo papa Luciani: “L’umiltà non è tirarsi indietro per mancanza di coraggio; la fortezza, infatti, è anch’essa virtù cristiana. L’umiltà è non imporsi, non mettersi in mostra, non autocandidarsi ed anche saper ammettere i propri limiti, accettare incarichi scomodi e assumere scelte difficili che non saranno capite, ma che sono vere e giuste. Umiltà è, poi, affidarsi al Signore”.

Ma umiltà va di pari passo con intelligenza: “E’ la stessa meraviglia, ricolma di gratitudine per le opere che Dio compie nella storia anche ‘minuta’ dei nostri paesi e della nostra gente, che oggi ci pervade nell’acclamare Albino Luciani tra i Beati della Chiesa! Sottolineare la sua umiltà, peraltro, non significa non riconoscerne l’intelligenza, la fortezza e il valore pastorale del suo ministero, nei diversi uffici ecclesiali che gli furono affidati, ed anche del suo magistero”.

Papa Luciani voleva parlare a tutti: “Luciani mai cercò di mettersi in mostra per la sua cultura o per il sapere teologico né, tantomeno, voleva dare l’immagine d’ ‘intellettuale’ o ‘accademico’, poiché non mirava ad essere apprezzato perché dotto o istruito; piuttosto, aveva a cuore il bene delle persone a cui si rivolgeva (nelle omelie, nei discorsi, nelle udienze) e sapeva essere efficace e parlare al cuore e all’anima con riferimenti comprensibili da tutti, presi dall’esistenza di ogni giorno e non per questo meno profondi. Ma questo, presso i sapienti del mondo, non paga mai”.

La sua umiltà era fedeltà a Dio: “La sua umiltà fu un cammino di fedeltà e obbedienza al Signore che lo ha voluto prete, vescovo e papa. Albino Luciani fu un grande catechista ed evangelizzatore, appassionato nel trasmettere il Vangelo, come già si vede nel suo saggio ‘Catechetica in pillole’ pubblicato nel 1949, ricco di consigli e indicazioni per vivere bene quel momento, consapevole della sua importanza…

L’umiltà di Albino Luciani non aveva come criterio il ‘politicamente corretto’ che, oggi come ieri, impone al catechista, al prete o al vescovo di autocensurarsi per non dire parole scomode o affrontare temi sgraditi, diventando così ‘afoni’ rispetto al Vangelo e finendo col proporre se stessi e non Gesù ‘via, verità e vita’. Questa e non altra è l’umiltà coraggiosa e autentica a cui Luciani si rifaceva e che viveva lui stesso prima di indicarla agli altri”.

Ed ha concluso l’omelia ricordando che la sua ‘umiltà’ era fondata sulle tre virtù teologali: “Tre ‘stelle’ guidarono l’umile e grande figlio di Canale d’Agordo lungo tutta la sua vita. Tre stelle che insieme alla parola “Humilitas” sono state presenti nel suo stemma episcopale: queste tre stelle sono proprio le tre virtù teologali…

Tutto ciò era talmente vivo e radicato in Lui al punto che umiltà, fede, speranza e carità furono il tema ricorrente e ripetuto con forza nel suo brevissimo ma intenso magistero di vescovo di Roma e Vicario di Cristo”.

(Foto: Patriarcato di Venezia)

Giovanni Paolo I ha mostrato una Chiesa lieta

Albino Luciani Giovanni Paolo I è beato: lo ha proclamato oggi papa Francesco all’inizio della solenne concelebrazione eucaristica in piazza San Pietro, davanti a migliaia di persone, provenienti specialmente da Venezia, Vittorio Veneto e Belluno-Feltre (diocesi legate al ministero sacerdote ed episcopale del nuovo beato, scegliendo la cui data per la sua memoria liturgica è il 26 agosto, giorno della sua elezione a papa nel 1978.

Bologna: don Fornasini è beato

Domenica 26 settembre è stata celebrata a Bologna la messa di canonizzazione di don Giovanni Fornasini, presieduta dal card. Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e Delegato Pontificio, e concelebrata dall’arcivescovo della città, card. Matteo Zuppi e mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e compagno di seminario di don Fornasini:

Il giudice Livatino è beato perché si è messo sotto la tutela di Dio

“Oggi, ad Agrigento, è stato beatificato Rosario Angelo Livatino, martire della giustizia e della fede. Nel suo servizio alla collettività come giudice integerrimo, che non si è lasciato mai corrompere, si è sforzato di giudicare non per condannare ma per redimere. Il suo lavoro lo poneva sempre ‘sotto la tutela di Dio’; per questo è diventato testimone del Vangelo fino alla morte eroica. Il suo esempio sia per tutti, specialmente per i magistrati, stimolo ad essere leali difensori della legalità e della libertà. Un applauso al nuovo Beato!”

Giustizia e misericordia nel beato Rosario Livatino

Oggi è il giorno della beatificazione, nella Cattedrale di Agrigento, del giudice Rosario Livatino, socio dell’Azione Cattolica, ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Il 22 dicembre papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che ne riconosce il martirio ‘in odio alla fede’, come ha affermato il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, prima della proiezione del docufilm sul ‘giudice ragazzino’ (‘Picciotti, che cosa vi ho fatto?’) alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella:

Gesù, confido in te! Domenica della divina Misericordia

suor faustina e gesù misericordioso

La prima Domenica dopo la Pasqua, il Papa san Giovanni Paolo II ha voluto che fosse detta: ‘la Domenica della Misericordia’. L’evangelista san Giovanni ci fa cogliere l’emozione provata dagli apostoli nell’incontro con Cristo risorto, in quel gesto divino con il quale il Maestro trasmette ai suoi Apostoli, timorosi e stupefatti, la missione di essere i ministri della divina Misericordia.

Egli mostra loro le mani e il costato con i segni impressi della passione e conferisce il mandato: ‘Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi’; poi alitò su di essi e disse: “Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi … “ . Gesù affida loro il dono di rimettere i peccati, dono che scaturisce dalle ferita delle mani, dei piedi e del costato trafitto. Da qui, scrive il papa, un’onda di misericordia si riversa sull’intera umanità.

Oggi come ieri, il Signore mostra a noi le piaghe gloriose e il suo cuore, fonte inesauribile di luce e verità, di amore e perdono. La realtà sconvolgente della Risurrezione di Gesù aveva trovato gli Apostoli del tutto impreparati ad accoglierlo.

E’ Gesù stesso che cerca subito di dissipare le difficoltà: così a Maria Maddalena, che piange perché hanno portato via il Maestro dal sepolcro, Gesù la chiama per nome, e lei lo riconosce, si prostra e l’adora; agli Apostoli riuniti nel cenacolo  che, al suo arrivo pensano di vedere un fantasma perché entrato a porte chiuse, Gesù li tranquillizza: sono proprio io,  avvicinatevi e mostra loro le mani e i piedi con i segni dei chiodi;

ai due discepoli che si recavano ad Emmaus, angosciati per la morte del Maestro, Gesù si fa loro compagno, spiega le sacre Scritture, poi si fa riconoscere nello spezzare il pane; a Tommaso, che da persona sapiente diceva agli altri Apostoli: siete stupidi, era un fantasma, nessuno di voi l’ha toccato; Gesù ritorna otto giorni dopo, chiama Tommaso: avvicinati, tocca tu le mie mani e i miei piedi, metti la mano nel mio costato e non essere incredulo ma credente.

Poi aggiunge: Tommaso, perché hai visto, hai creduto; beati  quelli che pur non avendo visto, crederanno: sono tutti episodi assai noti ma fondamentali per la nostra fede. Ma cosa significa: ‘credere nella risurrezione di Gesù’? Non significa certamente credere una verità come tutte le altre che noi professiamo, ma significa accogliere in noi la vita nuova portata da Cristo Gesù con la sua risurrezione.

La risurrezione, se abbiamo veramente fede, deve trasformare ciascuno di noi in ‘cristiani’, perché chiamati ad accogliere in noi la vita nuova istaurata da Cristo, a risorgere. Si tratta di una nuova nascita che fa di noi dei ‘veri figli di Dio’ testimoniandola con l’amore. Fede e Amore camminano con pari passo.

Con il Battesimo, mentre ci siamo innestati a Cristo e alla sua vita divina, lo Spirito Santo pone in noi tre semi: la Fede, la Speranza e la Carità, tre doni che con il nostro ‘sì’ generoso e responsabile devono crescere e dare senso nuovo alla nostra vita quotidiana. Ecco la risurrezione che trasforma l’individuo e con esso la società stessa.

Amare Dio e amare il prossimo, cioè prendere coscienza che gli altri non sono semplici individui, ma persona umane per la quali Cristo si è offerto in Croce; persone con pari dignità, chiamate a costituire quella comunità che si chiama Chiesa, popolo di Dio, membra dello stesso Corpo mistico di Cristo.

Ecco perché la Chiesa non può accettare né il liberalismo, che inneggia all’individuo, né il marxismo materialistico che inneggia allo lotta di classe. Siamo tutti una grande famiglia. L’uomo (ogni uomo) è un valore e i rapporti sociali non possono essere regolati né dall’arrivismo, né dall’odio, né dalla lotta di classe ma solo dall’amore. L’amore misericordioso è la prima preoccupazione del Signore risorto e dalla piaghe del Crocifisso esce un effluvio di grazie per gli smarriti nella fede.

E Gesù risorto dirà ai suoi discepoli: ‘Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi’. Consapevole della nuova realtà alla quale siamo chiamati, Gesù evidenzia: ‘Io sono la vite, voi i tralci’; l’apostolo Paolo in sintonia afferma: ‘Cristo è il capo, noi siamo le membra’, costituendo così quello che si chiama ‘Corpo mistico di Cristo’. Cosa significa allora ‘risorgere’: Paolo concepisce la risurrezione come un passaggio dalla vita secondo la carne alla vita secondo lo spirito; ed è proprio così.

Risorgere non è infatti uno scoperchiare la tomba, venire fuori possibilmente con una bandiera in mano, come spesso Gesù è rappresentato da pittori e scultori. Anche per noi risorgere è un passare, come insegnava l’apostolo Paolo, un camminare da una vita secondo la carne ad una vita secondo lo spirito, camminare in una vita nuova.

Questa nuova vita rinnovata è il frutto di due componenti: una divina e una umana; la componente divina è frutto dell’azione dello Spirito Santo che nel Battesimo ci inserisce a Cristo come il tralcio è legato alla vite e ci conferisce inoltre i carismi e le tre virtù teologali: (Fede, Speranza e Carità); perché questo si realizzi occorre la componente umana, il nostro ‘sì’ generoso che fa crescere questi semi e vivere ‘la vita secondo lo spirito’.

Da qui la gioia cristiana: come per Gesù il suo sepolcro fu una culla che lo portò alla gloria della risurrezione, così per il cristiano la morte non sarà un licenziamento ma una promozione ad una vita migliore; il cimitero per noi diventa un dormitorio  perché come Cristo è risorto anche noi risorgeremo; Dio non è il Dio dei morti ma dei viventi; non ci ha creato per la sofferenza ma per la risurrezione e una vita beata. Maria, madre di Misericordia, aiutaci a mantenere viva questa fiducia nel tuo Figlio, nostro redentore.

Rosario Livatino sarà beato

Al termine dell’anno papa Francesco ha riconosciuto il martirio del magistrato Rosario Angelo Livatino, ucciso dalla mafia nel 1990 in odio alla fede; era nato il 3 ottobre 1952 a Canicattì ed è stato ucciso da un commando mafioso sulla strada tra Canicattì ed Agrigento il 21 settembre 1990.

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