L’oratorio, luogo di educazione alla vita buona del Vangelo

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“Tutti guardiamo in direzione vostra, poiché noi tutti, grazie a voi, in un certo senso ridiventiamo di continuo giovani. Pertanto, la vostra giovinezza non è solo proprietà vostra, proprietà personale o di una generazione: essa appartiene al complesso di quello spazio, che ogni uomo percorre nell’itinerario della sua vita, ed è al tempo stesso un bene speciale di tutti. È un bene dell’umanità stessa”. Queste sono le dolci parole di Giovanni Paolo II nella Lettera ai giovani Dilecti Amici. Proprio pensando a queste parole, le Commissioni episcopali per la Cultura, per le Comunicazioni Sociali e per la Famiglia e la Vita della Cei, hanno presentato oggi il documento pastorale “ Il laboratorio dei talenti”, che riconosce l’importanza fondamentale dell’educazione alla fede giovanile attraverso il luogo dell’oratorio parrocchiale. Un documento tra memoria e profezia che legge in modo unitario l’esperienza di 450 anni di vita degli oratori e li rilancia verso le sfide poste dalla modernità.

Infatti negli orientamenti pastorali decennali sul tema “educare alla vita buona del Vangelo”, nel quadro del più ampio impegno della Chiesa italiana per affrontare la sfida educativa, si fa esplicito riferimento al peculiare contributo che viene offerto da questi luoghi di fraternità e convivenza dei giovani. Mons. Enrico Solmi, presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita, ha dichiarato nella conferenza stampa di presentazione: “Ogni giovane è portatore di un talento, cioè di una grande ricchezza. L’oratorio è questo luogo costruttivo, di crescita, dove si sperimenta, anche nella relazione, il comporre insieme queste ricchezze”. L’oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità, che impegna animatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita.

“Ponti tra la Chiesa e la strada”, cosi li definiva Giovanni Paolo II. Da 450 anni gli oratori accompagnano la vita delle parrocchie e dei loro giovani fedeli. Non risulta possibile tratteggiare una figura ideale di oratorio e allo stesso modo non è ipotizzabile una narrazione unitaria e lineare della sua storia. Possiamo solo trarne memoria dalle esperienze passate degli oratori più famosi (quello di San Filippo Neri o di Don Bosco per esempio) che hanno tracciato le orme e le modalità degli oratori di oggi. Gli oratori non si sono limitati al recupero, all’istruzione o all’assistenza ( ragione per cui erano nati 450 anni fa), ma hanno saputo valorizzare e abitare la qualità etica dei linguaggi e delle sensibilità giovanili, promuovendo musica, teatro, letteratura e, contemporaneamente gioco, sport e festa , prevenzione sociale, accompagnamento familiare e avviamento al lavoro.

La sfida di questo documento pertanto è quella di far diventare gli oratori spazi di accoglienza e di dialogo, dei veri ponti tra l’istituzionale e l’informale, tra la ricerca emotiva di Dio e la proposta di un incontro concreto con Lui, tra la realtà locale e le sfide planetarie, tra il virtuale e il reale, tra il tempo della spensieratezza e quello dell’assunzione di responsabilità. Due le novità cui l’oratorio deve tener conto. Le ricorda mons. Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per la cultura: “Oggi, i fruitori dell’oratorio cambiano come cambia il volto della società. Quindi, noi ci ritroviamo per esempio con una ‘fetta’ sempre più consistente di figli d’immigrati. C’è, dunque, una multiculturalità e anche una presenza interreligiosa – sono fenomeni nuovi, con cui gli oratori devono fare i conti – e ci sono anche le nuove tecnologie, le nuove forme di comunicazione, che stanno plasmando le nuove generazioni. Gli oratori, dunque, si stanno rinnovando e rimodulando secondo questi nuovi contesti e queste nuove esigenze”.

Forse più che mai adesso c’è bisogno di luoghi reali di incontro. Anche laddove i social network sembrano semplicemente prolungare e rafforzare rapporti di amicizia, appare necessario aiutare i giovani che abitano il mondo della rete a scendere in profondità coltivando relazioni vere e sincere. Le attività dell’oratorio si svolgono in ambienti e strutture di vario genere: pertinenze dell’edificio di culto, sale della comunità, saloni, spazi musicali, biblioteche, campi sportivi, parchi, tanto per citare quelli più comuni.

Anche le attività educative esercitate al suo interno si configurano in diversi modi: spontanee, organizzate, servizi alla persona, incontri, percorsi. L’oratorio deve essere una seconda casa, un punto di ritrovo, una sorta di “bar” dove quei quattro amici si incontrano e si ritrovano a raccontarsi la vita tra gioie e delusioni. L’oratorio però è anche uno snodo importante per incontrare Gesù, in tutte le sue forme di animazione e spettacolarità. Che sia una partita di biliardino, di calcetto o un musical messo su da attori o cantanti improvvisati. L’oratorio deve educare i giovani alla vita e ai valori buoni del Vangelo, a voler bene ai nostri amici, a quelli più diversi da noi, al sacerdote, alla parrocchia e al posto dove siamo nati e cresciuti. E se non risulta possibile definire un modello unitario e omogeneo degli oratori italiani, è comunque necessario e fecondo richiamarne sempre gli aspetti identitari più significativi, attingendoli dalla memoria delle diverse tradizioni e ponendoli in relazione con le molteplici configurazioni degli odierni oratori. Solo così sarà possibile affrontare le sfide educative dell’oratorio di oggi e di domani. Per creare un laboratorio di talenti.

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