Un concistoro per tre (e più) nuovi santi
Ci saranno tre nuovi santi da festeggiare nel calendario cristiano. Anzi, più di tre, perché vengono canonizzati anche un gruppo di martiri. Il Concistoro Ordinario Pubblico – riunitosi oggi nella Sala del Concistoro del Palazzo del Laterano – ha dato il via libera alla canonizzazione del Beato Primaldo e Compagni, di Laura di Santa Caterina Montoya y Upegui e di Anastasia Guadalupe Garcia Zayala. Con il concistoro ordinario pubblico – una riunione dei cardinali che sono presenti a Roma, mentre quando è straordinario la convocazione è per i cardinali provenienti da tutto il mondo – termina il complesso iter di canonizzazione. Benedetto XVI ha stabilito che i tre nuovi santi saranno canonizzati il prossimo 12 maggio.
Il cardinal Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, aveva sottoposto i profili di Primaldo e compagni, Caterina e Anastasia lo scorso 20 novembre, insieme ad altri venti personaggi della cristianità – tra i quali Papa Paolo VI – di cui doveva essere autorizzato l’inizio dell’iter di canonizzazione o la beatificazione.
Quali sono le storie dei nuovi santi? Primaldo in realtà si chiamava Antonio Pezzulla. Fu soprannominato Primaldo perché per primo mise la testa sul ceppo, rifiutando, insieme ai suoi compagni, di rinnegare il cristianesimo per convertirsi all’Islam. Era l’11 agosto 1480, e il Pascià Ahmed aveva fatto irruzione nella città di Otranto, massacrato, tutti quelli che avevano pensato di trovare rifugio in chiesa, trasformato la stessa chiesa in moschea, ridotto donne in schiavitù e catturato 812 uomini, con l’intento di farli convertire. Fu chiesto loro, ripetutamente, di abiurare la fede cristiana per aver salva la vita; venti di loro riscattarono la libertà pagando trecento ducati a testa. Un anziano cimatore di panni, Antonio Pezzulla, esortò i compagni a difendere il proprio credo e fu il primo ad essere decapitato. Così iniziò il massacro: le cronache raccontano che il corpo di Antonio, senza testa, rimase in piedi fino all’esecuzione dell’ultimo concittadino. Profondamente scosso, il carnefice Bernabei si convertì e fu impalato poco distante. La resistenza di Otranto durò dodici giorni, abbastanza perché le truppe del sovrano di Aragona – che si trovava in Toscana al momento dell’invasione della cittadina – arrivassero e fermassero l’avanzata ottomana. Ma l’assedio di Otranto (cui parteciparono anche truppe papali) durò 13 mesi. I turchi si ritirarono l’8 settembre 1481. Cinque giorni dopo si poterono recuperare i corpi dei Martiri che, nonostante giacessero, da oltre un anno, abbandonati sul colle, erano per buona parte incorrotti. La maggior parte di essi venne pietosamente sepolta nella cripta della cattedrale, altri, circa duecentocinquanta, furono portati dal Re a Napoli nella chiesa di S. Maria Maddalena, detta dopo dei Martiri (poi definitivamente nella chiesa di S. Caterina a Formiello)
Laura di Santa Caterina da Siena Montoya y Upegui, colombiana del 1874, fu battezzata in fretta e furia perché la mamma si rifiutava di vederla prima del battesimo (e il nome verrà scelto dal parroco, perché i suoi genitori non hanno fatto in tempo ad accordarsi). Ha la vocazione di essere maestra, e nel 1914 fonda le ‘Missionarie di Maria Immacolata e Santa Caterina da Siena’. La sua è la storia di una grande opera di educazione presso le popolazioni indigene, portata avanti con il gruppo delle ‘Missionarie catechiste degli indios’. Un’opera titanica, se si pensa alle discriminazioni razziali del tempo. Perché la sua vocazione di pensare agli indios, decidere di fare qualcosa per la loro promozione umana e per la loro evangelizzazione non trova neppure una congregazione che voglia farsene carico: solo un vescovo la appoggia. La prima spedizione – verso la giungla degli indios catios – è del 1914, e ci sono con lei la sua mamma, ormai settantenne, e alcune amiche, che abbinano all’eroismo un pizzico di follia e che dal nome della loro fondatrice, verranno poi conosciute come “Laurite”. Madre Laura, dopo aver rivoluzionato il concetto di missione con nuovi mezzi pedagogici e nuovi metodi di evangelizzazione, trascorre i suoi ultimi nove anni sulla sedia a rotelle, sempre missionaria con il cuore e, comunque, anima della sua congregazione. Muore il 21 ottobre 1949, quando le sue suore sono ormai quasi 500 e le novizie un centinaio, a servizio di 22 popoli indigeni. Negli anni questi numeri sono più che raddoppiati e la loro presenza è segnalata in 19 stati, mentre Madre Maria Laura Montoya Upeguì – prima donna colombiana – il 25 aprile 2004 è stata proclamata beata.
Una vita tutta dedicata agli altri l’ha portata avanti anche Anastasia Guadalupe García Zavala, Beata Maria Guadalupe. Lupita – come veniva chiamata –, classe 1878, era una giovane carina e simpatica. A 23 anni, era promessa in matrimonio a Gustavo Arreola. Ma la sua vocazione è quella di dedicarsi agli ammalati e ai poveri, e lo confida al suo direttore spirituale, padre Cipriano Iñiguez, suo direttore spirituale, che aveva in animo di fondare una Congregazione Religiosa per prendersi cura degli ammalati dell’Ospedale. Così insieme fondano la Congregazione religiosa delle “Serve di Santa Margherita Maria e dei Poveri.” Madre Lupita si dedicò con passione alla cura degli ammalati. L’ospedale appena costituito mancava di molte cose, ma madre Lupita curava molto l’aspetto spirituale, tanto che l’armonia non venne mai a mancare. Madre Lupita fu eletta Superiora Generale della Congregazione, carica che ricoprì tutta la vita. Proveniva da una famiglia agiata, ma si adattò con gioia ad una vita estremamente sobria ed insegnò alle Suore della Congregazione ad amare la povertà per potersi dedicare meglio agli infermi. Ma in Messico la situazione diventa difficile per i cristiani. Dal 1911, con la caduta del presidente Porfirio Diaz, fino al 1936, la Chiesa è perseguitata dai rivoluzionari Venustiano Carranza, Alvaro Obregòn, Pancho Villa e soprattutto Plutarco Elìas Calles nel periodo più sanguinoso dal 1926 al 1929. E Madre Lupita, rischiando la sua vita e quella delle sue compagne, nasconde all’interno dell’Ospedale alcuni sacerdoti ed anche l’Arcivescovo di Guadalajara, Francisco Orozco y Jimenez. Le suore inoltre danno da mangiare e curano gli stessi soldati persecutori feriti, e per questo i soldati accampati presso l’Ospedale, invece di perseguitare le suore, le difendono. È anche questo un miracolo di misericordia.