Per lo sviluppo della città occorre una relazione tra Eucaristia, società, famiglia

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Per mons. Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente della Caritas Italiana c’è una stretta relazione tra eucaristia, società e famiglia, in vista della costruzione del bene comune, pur sapendo ben distinguere la sfera civile e la sfera religiosa: “Cogliamo questa occasione per contribuire alla riflessione sul nesso tra un gesto religioso posto all’interno di una fede, o, più specificamente, la celebrazione dell’eucaristia da una parte, e, dall’altra, la vita di tutti i giorni negli ambiti familiari e sociali. Nella logica di una laicità correttamente intesa, riteniamo giusto che dell’eucaristia si parli, come stasera, anche di fronte ai responsabili della vita civile. Che ci sia distinzione fra l’ecclesiale e il civile, fra la parrocchia e il Comune, fra lo Stato e la Chiesa, non esime l’istituzione pubblica dall’interrogarsi sulle convinzioni profonde dei cittadini che rappresenta, né esime la comunità ecclesiale dall’impegno di testimoniare in modo credibile la propria fede nella vita sociale, partecipando ai dibattiti comuni, dando ragione delle proprie scelte e chiedendo la libertà, per sé e per tutti, di celebrare e manifestare la propria fede”.

Nel decennio dedicato dalla Chiesa all’educazione è necessario per il vescovo di Lodi interrogarsi sulle relazioni che si creano tra l’eucaristia, la società e la famiglia a favore di una cittadinanza attiva e solidale: “Voglio riferirmi alle relazioni che nella società, nella città, nel quartiere, sul lavoro, nella scuola, al mercato, nello sport e nella cultura, nei cortili, si vivono giorno dopo giorno, con l’attenzione e la prossimità nei confronti degli altri, forse, come auspichiamo, ispirate al Vangelo; voglio riferirmi, in altre parole, alla vita quotidiana della gente, fatta di gioie e di dolori, di speranze e di timori, di successi e di insuccessi, come pure ai grandi valori, la vita e la pace, la libertà e la giustizia, il confronto rispettoso e la coesione sociale, che a partire dalla vita quotidiana possono essere meglio percepiti e vissuti per il bene di tutti, nella prospettiva del ‘bene comune’ di cui parla la dottrina sociale della Chiesa”.

Partendo dal rapporto di vicinato occorre ripensare il rapporto tra eucaristia e società per riscoprire il termine della testimonianza: “Da questo rapporto tra eucaristia e società nasce un duplice movimento, dalla comunità cristiana verso la società civile nel suo insieme e dalla società nei confronti della comunità ecclesiale, ma di per sé nei confronti di ogni realtà cosiddetta di tendenza, rispettosa della legge, che nasce da una opzione culturale o filosofica o appunto religiosa”. Perciò, seguendo il principio di sussidiarietà, che non può essere disgiunto da quello di solidarietà, il compito delle istituzioni è quello di favorire libertà di pensiero e riunione, occasioni di dialogo, di promozione della partecipazione e dell’autonomia delle realtà associate, mentre alla società civile spetta la costruzione di uno spazio pubblico in cui tutti i cittadini possano offrire il proprio contributo:

“Spazio in cui la comunità cristiana può, da parte sua, partecipare in modo disinteressato alla promozione del bene comune a partire dalle proprie convinzioni che vengono dal Vangelo e dall’eucaristia, in una prospettiva di interazione e di arricchimento reciproco… Dal punto di vista della società civile nel suo insieme e delle sue istituzioni, il punto di partenza è l’impegno della promozione del ‘bene comune’, che, come ricorda la costituzione apostolica ‘Gaudium et spes’, è l’impegno perché tutti possano realizzare il proprio fine, il proprio obiettivo nell’ambito delle regole condivise”.

Da qui deriva anche una responsabilità verso la famiglia delle autorità civili: “ C’è innanzitutto una responsabilità di carattere culturale ed educativo, che riguarda anche le scuole e le stesse istituzioni civili. Pur nel rispetto di ogni convinzione legittima, mi sembra importante che nel cammino di formazione, la socializzazione a cui educare le giovani generazioni debba partire o almeno fondarsi sulla famiglia, cellula fondamentale della società, con le conseguenze che ciò comporta in termini di simpatia e di rispetto per la famiglia e per le responsabilità primarie dei genitori. E poi nel contesto e con i problemi della vita sociale di oggi, l’impegno perché la famiglia venga promossa e aiutata innanzitutto al momento della sua costituzione (penso ai temi della casa, dell’occupazione, del lavoro femminile e di quello giovanile sempre difficile), e poi nei momenti successivi del suo sviluppo, con la promozione concreta della natalità, nel rispetto della libertà e della responsabilità dei coniugi (penso al favore anche fiscale per la procreazione dei figli, penso ai soggetti che operano nel campo della socializzazione, della cultura: oratori, società sportive, gruppi di solidarietà, centri culturali e ambientalistici)”.

Certo, afferma mons. Merisi, le Istituzioni pubbliche non sono tenute a guardare tali problemi dal punto di vista religioso, ma certamente lo devono vedere dal punto di vista sociale e culturale, come l’apertura dei negozi nei giorni festivi: “Non tocca a noi ovviamente entrare nel merito dei vantaggi e degli svantaggi economici delle diverse soluzioni indicate su questo tema, come neppure aggiungere parole alle osservazioni legittime dei sindacati sulla materia. Una parola però la possiamo e la dobbiamo dire per le conseguenze che l’apertura degli esercizi pubblici in certi giorni, la domenica ad esempio, ha sulla vita della famiglia e sulla possibilità di distinguere un giorno che la maggioranza dei cittadini considera ‘giorno del Signore’, con la celebrazione di un gesto religioso per loro significativo, che chiamano eucaristia e che per lunga tradizione risale agli albori della vita della Chiesa.

 

Il tema interessa anche la possibilità per la famiglia di stare insieme, di vivere serenamente tempi adeguati di dialogo, di riposo, di svago, tenuto conto anche, dice la Lega nazionale dei consumatori, della prevalenza in questi esercizi commerciali del lavoro femminile. Le istituzioni civili possono anche non guardare il tema dal punto di vista confessionale, ma dal punto di vista degli interessi legittimi dei cittadini, o almeno mettere in conto queste considerazioni, ricordando che le difficoltà frapposte alla vita ordinata delle famiglie si ripercuotono, presto o tardi, sulla vita ordinata della società, a partire dalla educazione dei figli oltre che dalla stabilità del matrimonio”.

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