John Allen su Crux: l’auspicio di una riforma strutturale del sistema giudiziario vaticano

Sulle sfide che attendono Papa Leone XIV a livello del sistema giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, riportiamo di seguito nella nostra traduzione italiana dall’inglese il contributo del vaticanista statunitense di lunga corsa John Allen.
La profonda riforma strutturale che attende Leone XVI sotto la Becciu soap opera
di John L. Allen Jr.
Crux, 1° giugno 2025
Per il mondo esterno, sono forse le richieste di Papa Leone per il cessate il fuoco a Gaza e in Ucraina ad aver attirato maggiore attenzione dalla sua elezione, avvenuta poco più di tre settimane fa. Per gli addetti ai lavori Cattolici, ogni sorta di atto papale ha suscitato reazioni, dai suoi tocchi sartoriali, all’uso del latino cantato nelle preghiere pubbliche, fino ai suoi pochi spostamenti di personale.
Per gli Italiani, tuttavia, un momento in particolare nell’agenda del nuovo pontefice ha destato perplessità: l’Udienza del 27 maggio con il Cardinale Angelo Becciu [QUI], le cui vicissitudini negli ultimi cinque anni, incluso il suo riluttante ritiro dal recente Conclave, hanno dato vita alla soap opera nazionale del Vaticano in prima serata più avvincente.
Sebbene l’interesse del pubblico sia stato rivolto principalmente a ciò che avrebbe potuto presagire sul destino personale di Becciu, l’evento indica anche una decisione su una riforma strutturale fondamentale con profonde radici storiche.
È stato Becciu, ovviamente, a essere costretto da Francesco a dimettersi da Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi nel 2020, privandolo fatalmente dei suoi diritti e privilegi cardinalizi, pur consentendogli di mantenere il titolo, sulla scia di voci di illeciti finanziari. Becciu è stato successivamente incriminato dal Tribunale civile dello Stato della Città del Vaticano e condannato a cinque anni e mezzo di carcere per varie forme di frode finanziaria e corruzione.
L’appello di Becciu contro tale condanna si aprirà il 22 settembre presso la Corte d’appello vaticana composta da sei giudici.
Nel frattempo, l’equità del processo legale contro Becciu è stata oggetto di profonda controversia, anche durante le discussioni tra i cardinali che hanno portato al recente Conclave. Molti hanno espresso l’opinione, che ha anche un ampio seguito nei media italiani e tra i principali giuristi italiani, secondo cui Becciu è stato vittima di un processo ingiusto. Diversi cardinali hanno persino simpatizzato con la sua iniziale insistenza sul fatto che avrebbe dovuto essere in grado di partecipare alle elezioni per scegliere il successore di Francesco.
Quando Becciu si è finalmente ritirato dopo aver ricevuto la visione di documenti con le iniziali di Francesco che lo elencavano tra i non elettori, i suoi colleghi cardinali gli hanno dato quella che equivaleva a una dimostrazione di sostegno. La Congregazione Generale del 30 aprile ha rilasciato una dichiarazione in cui esprimeva “apprezzamento per il gesto compiuto” di fare un passo indietro e auspicava che “gli organi giudiziari competenti possano accertare definitivamente i fatti” del suo caso – un chiaro segnale che molti nutrono dubbi sul fatto che tali fatti siano stati chiariti fino a questo punto.
Mentre Leone riflette sul suo prossimo passo nei confronti di Becciu, non gli sfuggirà che, al di là dei dettagli personali spinosi, il caso solleva una profonda questione strutturale sul sistema giudiziario dello Stato della Città del Vaticano.
Ovvero: è possibile che un’azione penale o civile possa soddisfare le aspettative contemporanee di equità e giusto processo in un sistema in cui non esiste separazione dei poteri e in cui il capo dell’esecutivo è anche la suprema autorità legislativa e giudiziaria?
Formulata in questo modo, la domanda si risponde quasi da sola. La questione, quindi, è: se Leone XVI volesse evitare futuri casi simili a quello di Becciu, quale riforma del sistema giudiziario sarebbe necessaria per proteggerlo dalle accuse di quello che gli Italiani chiamano giustizialismo, ovvero l’imposizione di una giustizia draconiana da parte del potere esecutivo senza le garanzie del giusto processo?
Si presentano due ampie possibilità.
In primo luogo, Leone XVI potrebbe finalmente completare la questione incompiuta del 1870 e privare il Papato di ogni rivendicazione residua sul suo status residuale di monarchia temporale, creando una magistratura veramente indipendente per lo Stato della Città del Vaticano.
Per essere chiari, non stiamo parlando di limitare il potere del Papa sulla fede e sulla morale, che rimarrebbe assoluto. Piuttosto, il suggerimento è che il suo potere temporale verrebbe volontariamente limitato per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia civile e penale sul territorio vaticano, compresi proprio i presunti reati finanziari per i quali Becciu fu condannato.
In un sistema del genere, un Papa potrebbe nominare i giudici, proprio come un Presidente [USA] nomina i giudici federali, ma per il resto opererebbero in modo indipendente. Non potrebbero essere rimossi da un Papa e le loro decisioni non potrebbero essere influenzate da editti papali.
In particolare, dovrebbero avere il potere di rivedere e, ove necessario, annullare gli atti esecutivi. Ad esempio, il Vaticano ha ora una legge che richiede una procedura di gara per l’assegnazione di appalti pubblici. Se un Papa cercasse di abbreviare tale procedura, i giudici dovrebbero avere il potere di esaminare gli appelli e, se giustificato, di annullare l’atto esecutivo.
Solo un tale volontario troncamento delle prerogative papali probabilmente potrebbe convincere gli osservatori imparziali che le carte non sono truccate a sfavore degli imputati e ripristinerebbe la fiducia nell’equità di base del sistema.
Una tale abnegazione non porrebbe alcuna crisi dottrinale. Nemmeno la concezione più radicale dell’infallibilità papale ha mai sostenuto che i Papi siano preservati dall’errore quando si tratta, ad esempio, di bilancio o di diritto del lavoro.
Supponiamo, tuttavia, che un simile passo sia visto come un passo troppo lungo in termini di ricostruzione del papato moderno. Esiste un’altra alternativa che potrebbe rafforzare la fiducia nel giusto processo quando i funzionari vaticani sono accusati di crimini?
A quanto pare, sì. Papa Leone potrebbe finalmente avvalersi di una disposizione contenuta nell’articolo 22 dei Patti Lateranensi del 1929, che regolavano i rapporti tra il Vaticano e il governo di un’Italia unita dopo il crollo dello Stato Pontificio. L’articolo recita: “A richiesta della S. Sede e per delegazione che potrà essere data dalla medesima o nei singoli casi o in modo permanente, l’Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei crimini che venissero commessi nella Città del Vaticano”.
In altre parole, il Vaticano potrebbe effettivamente voltare pagina, delegando la responsabilità della gestione dei processi penali alla giustizia italiana e lavandosi le mani dell’intera vicenda. Di conseguenza, almeno, nessuno potrebbe accusare un Papa o i pubblici ministeri da lui nominati di mettere i pollici sulla bilancia della giustizia per produrre esiti predeterminati.
Certo, data la situazione disomogenea della giustizia penale italiana, alcuni potrebbero chiedersi se questa sia davvero una soluzione auspicabile. Nessun sistema, tuttavia, è perfetto, e almeno questo non esporrebbe il Pontefice all’accusa di predicare una cosa in materia di giusto processo e imparzialità della magistratura, ma di praticarne un’altra.
Mentre Leone XVI riflette sulle questioni sollevate dalla saga Becciu, queste sono le correnti profonde che si muovono sotto la superficie. Resta da vedere come la sua acuta mente giuridica sceglierà di risolverle.
Indice – Caso 60SA [QUI]