Aliyev è andato a calpestare la bandiera dell’Artsakh spopolato con la forza

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.10.2023 – Vik van Brantegem] – Hunan Tadevosyan, Portavoce del Ministero degli Interni della Repubblica di Artsakh ha riferito ad Azatutyun, il programma armeno di Radio Free Europe/Radio Liberty, ha riferito che 8-10 persone hanno scelto di rimanere volontariamente nell’Artsakh. Alcune di queste persone desideravano restare nelle loro città natali e durante l’evacuazione hanno detto: “Questa è la mia terra e voglio morire qui”. Tra loro ci sono sia persone mentalmente sane che altre che hanno problemi mentali e psicologici.

«Quando scende la sera mi siedo con il prete [Armeno] alla porta della sua tenda, e loro raccontano le loro sofferenze; circa 800 famiglie della città che lasciarono, circa molte migliaia seppellì nel deserto, tra cui 23 sacerdoti e 1 vescovo» (Armin T. Wegner, 15 ottobre 1916).

Un gruppo degli ultimi funzionari del Servizio statale di emergenza del Ministero degli Interni, della Polizia stradale, con il Ministro degli Interni della Repubblica di Artsakh, il 2 ottobre 2023 nella cattedrale dell’Intercessione della Santa Madre di Dio a Stepanakert.

Come abbiamo riferito, dopo aver completato il loro lavoro di emergenza, tra cui la ricerca delle persone scomparse nell’Artsakh, il 4 ottobre gli ultimi funzionari, guidati dal Presidente Samvel Shahramanyan, hanno lasciato la Repubblica di Artsakh per l’Armenia. Il gruppo includeva il Ministro degli Interni, Karen Sarkisyan, il Direttore del Servizio per le situazioni di emergenza, due squadre di soccorso e una squadra di polizia sono stati gli ultimi a lasciare Stepanakert attraverso il ponte Hakari. Il 3 ottobre erano arrivati in Armenia Artur Harutyunyan, attuale Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh; Karen Sargsyan, attuale Ministro degli Interni; e Ararat Melkumyan, attuale Capo del Servizio di Sicurezza Nazionale. Hunan Tadevosyan ha lasciato l’Artsakh il 1° ottobre, quando quasi tutti i residenti dell’Artsakh già erano stati sfollati con la forza dalla loro patria ancestrale, dichiarando che i civili rimasti a Stepanakert potevano essere contati «sulle dita di una mano».

L’agenzia 301 riferisce che il Presidente della Repubblica di Artsakh, Samvel Shahramanyan, ha tenuto oggi un incontro presso la rappresentanza dell’Artsakh in Armenia (foto sopra) con funzionari e forze politiche della Repubblica di Artsakh.

L’apparato statale dell’Artsakh, guidato dal Presidente dell’Artsakh, è attualmente ospitato nell’ufficio di rappresentanza dell’Artsakh in Armenia, ha detto Armine Hayrapetyan, Portavoce dell’ufficio di rappresentanza. «L’ufficio di rappresentanza dell’Artsakh in Armenia è la divisione del Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh che da anni attua alcune direzioni della politica estera dell’Artsakh in Armenia. Oltre a ciò, la risoluzione di molte questioni dei cittadini dell’Artsakh è affidata all’ufficio di rappresentanza dell’Artsakh. Dopo la guerra dei 44 giorni [nel 2020], il quartier generale operativo del governo dell’Artsakh opera in via Abovyan 9 [a Yerevan], e la maggior parte di queste funzioni sono attualmente svolte dal quartier generale stesso. Si occupa di questioni relative ai documenti dei cittadini, alle pensioni, ai passaporti, ai sfollati dell’Artsakh», ha affermato Hayrapetyan. «Al momento gli sviluppi in corso nell’ufficio di rappresentanza dell’Artsakh non sono effettivamente all’ordine del giorno della rappresentanza. Come lei stesso sa, il Presidente, il Capo del governo e i Parlamentari dell’Artsakh sono nell’ufficio di rappresentanza, che non coordina le loro riunioni e le loro funzioni, quindi non posso dire cosa sta accadendo nell’edificio dell’ufficio di rappresentanza”, ha aggiunto Armine Hayrapetyan.

Con l’occasione possiamo anche confermare che l’agenzia stampa Artsakhpress, dopo l’interruzione dal 19 settembre, dal 29 settembre ha lentamente ripreso le attività.

Secondo i social media azeri, l’Azerbajgian sta ancora negoziando a Evlakh la delegazione del Nagorno-Karabakh composta da Davit Melkumyan, Capo del Partito Democratico dell’Artsakh del Parlamento della Repubblica di Artsakh, e Sergey Martirosyan, Vice Segretario del Consiglio di Sicurezza della Repubblica di Artsakh. Da parte azera, nei “negoziati” in passato erano coinvolti il Deputato del Parlamento azero, Ramin Mammadov, Vice Rappresentante speciale del Presidente dell’Azerbajgian, e Ilkin Sultanov, funzionario dell’Ufficio del Rappresentante speciale.

Abbiamo riferito che l’altro giorno i media azeri hanno pubblicato un video, affermando che a Stepanakert è stato aperto un centro di supporto per 30 persone e 11 persone hanno utilizzato i suoi servizi. Hunan Tadevosyan ne ha riconosciuto alcuni nel filmato pubblicato: «Conosco una persona di lì, si tratta di Gipsy Mishik, famoso a Stepanakert, faceva dei bellissimi lavori con i gessi, era anche una persona che amava bere, i miei connazionali dicono che la maggior parte di quelle persone che soggiornavano lì, erano amanti dell’alcol. C’era un’anziana e mi hanno detto che è di nazionalità russa».

Tadevosyan ha detto di non essere a conoscenza della verità dell’informazione secondo cui Sargis Galstyan, che ha ricoperto diversi incarichi nell’Artsakh, è stato nominato dalle autorità azere governatore di Stepanakert. Tadevosyan ha solo confermato che Galstyan è rimasto con sua moglie a Stepanakert per sua volontà.

Il 5 ottobre abbiamo riportato che Sargis Galstyan, che in precedenza ha ricoperto posizioni di rilievo nel sistema politico e di sicurezza del Nagorno-Karabakh, era stato nominato nella squadra di Stepanakert dal governo Aliyev. Galstyan ha legami di padrino-figlioccio con Bako Sahakyan, Presidente della Repubblica di Artsakh dal 2007 al 2020. Galstyan ha lavorato nel Servizio di Sicurezza Nazionale della Repubblica di Artsakh. Il giornalista armeno Tatul Hakobyan ha riferito che Galstyan ha iniziato a costruire un’amicizia con Sahakyan quando questo era il Direttore del Servizio di Sicurezza Nazionale dell’Artsakh dal 2001 al 2007. Galstyan aveva buoni rapporti anche con Samvel Shahramanyan, l’attuale Presidente che firmò il decreto di scioglimento della Repubblica di Artsakh. Dopo le elezioni del 2020, Shahramanyan era stato nominato Ministro del patriottismo militare dell’Artsakh e Galstyan era diventato il Capo dello Staff del Ministero. Galstyan è stato anche Vice Capo di Gabinetto del Ministero dell’Istruzione del Nagorno-Karabakh e, in precedenza, funzionario del governo della regione di Shushi e Direttore dell’Hotel Shushi Plaza. Il giornalista Tatul Hakobyan aveva riferito che Galstyan era stato contattato il 4 ottobre dai suoi parenti da Yerevan che si erano trasferiti lì. Ha dichiarato esplicitamente di essere «a Khankendi e di servire l’Azerbajgian contro Nikol [il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan]». Hakobyan ha notato che Galstyan chiama Nikol Pashinyan Effendi nei post precedenti sulla sua pagina Facebook. C’è una manifestazione dolorosa nel discorso politico armeno quando si vuole insultare qualcuno; lo chiamano Turco o Effendi, cosa che riprovevole. È una manifestazione fascista.

È interessante notare che una persona che ha ricoperto una posizione di leadership in una istituzione statale con un nome così patriottico come Ministero del patriottismo militare ha iniziato a fornire servizi all’Azerbajgian lo Stato che ha sottoposto il suo popolo alla pulizia etnica, ci si aspetta di tutto da lui, soprattutto quando una volta gli veniva data fiducia e veniva nominato a posizioni elevate nella sfera politica e del Servizio di Sicurezza Nazionale. Non c’è dubbio che i servizi speciali dell’Azerbajgian abbiano reclutato quest’uomo decenni fa.

Un giornalista azerbajgiano ha pubblicato un video mentre passeggia per Stepanakert e lo sottotitola: “Vuoto, Khankendi senza Armeni…” È tra loro arrivato il più vicino ad ammettere che l’Azerbajgian ha effettuato la pulizia etnica» (Lindsey Snell).

Con decisione di Catherine Colonna, Ministro dell’Europa e degli Esteri, la Francia versa un contributo di 1 milione di euro al Programma Alimentare Mondiale per soddisfare i bisogni dell’Armenia in seguito allo sfollamento forzato di +100.000 Armeni dall’Artsakh.

Leyla Mammadli-Bernstein reagisce con un post su Twitter: «Mi chiedo solo fino a quando i contribuenti francesi continueranno a dar loro da mangiare. Una buona scusa per il governo armeno per incamerare aiuti finanziari extra all’Armenia. Tuttavia, la trasparenza dei flussi di denaro è importante. Non ci sono informazioni pubbliche su quanto di questi aiuti vengono spesi per soddisfare i bisogni degli Armeni di Qarabağ».

Sicuramente, durante il blocco di 9 mesi imposto dall’Azerbaigian al Nagorno-Karabagh, i contribuenti azeri non hanno dovuto spendere molti soldi per nutrirli, come dici Mammadli-Bernstein. E ora che “loro” sono stati costretti ad andarsene, ai contribuenti azeri viene risparmiato il peso.

Mammadli-Bernstein, il cui despota “eletto” con elezioni truccate ruba miliardi al suo popolo, chiede trasparenza alla Francia che fornisce assistenza alimentare umanitaria tramite il Programma Alimentare Mondiale ai +100.000 Armeni che Aliyev ha condannato alla fame per 10 mesi. Il cinismo dei sostenitori del corrotto e genocida regime azero è semplicemente incredibile. L’Azerbajgian è il benvenuto a lasciare l’Artsakh e lasciare l’Artsakh in pace. Gli Armeni dell’Artsakh possono nutrirsi come fanno da secoli.

Leyla Mammadli-Bernstein scrive che è «nata a Kalbajar in Azerbajgian, occupata nel 1993, liberata dall’occupazione armena nel 2020». Solo dalla sua biografia si capisce con chi abbiamo a che fare. Che si inventa una storia per se stessa e lascia stare la storia dell’Armenia.

Il nome armeno del distretto è Karvacar, corrispondente all’antico distretto di Vaykunik, uno dei dodici cantoni che formavano l’antica regione dell’Artsakh. Era anche conosciuto come Khachen superiore o Tsar (dal nome del suo capoluogo) e fu governato da uno dei rami del Principato di Khachen fino agli inizi del XIX secolo allorché finì sotto controllo russo.
Agli inizi del XVII secolo buona parte della popolazione armena era stata deportata ed il suo posto preso da comunità curde. Al tempo del Kurdistan Rosso, distretto amministrativo sovietico in vigore tra il 1923 ed il 1929, quasi tre quarti della popolazione era composta da curdi. Dopo le deportazioni di Stalin la regione rimase prevalentemente abitata da Azeri.
A seguito delle vicende politiche che portarono alla nascita della Repubblica di Nagorno-Karabakh (dopo il 2017 Repubblica di Artsakh), l’Azerbajgian si attivò militarmente a fine gennaio 1992 per conquistare il controllo del territorio. Prese avvio così la prima guerra del Karabakh che, dopo alterne vicende, si conclude con l’Accordo di Biškek e la firma del cessate il fuoco a maggio del 1994. Al termine della battaglia di Kalbajar dal 27 marzo al 3 aprile 1993, l’intero territorio fu conquistato dall’esercito di difesa della Repubblica di Nagorno-Karabakh e fu diviso tra le regioni di Martakert e di Shahumian. L’accordo sul cessate il fuoco che ha posto fine alla guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian contro l’Artsakh del 2020, ha previsto la consegna di gran parte del distretto, ad eccezione dell’area orientale che costituiva una parte dell’ex Oblast Autonomo di Nagorno-Karabakh, al controllo dell’Azerbajgian dal 25 novembre 2020.

I media statali azeri hanno celebrato i 20 anni del governo autocratico di Ilham Aliyev. Dopo l’uscita dall’URSS, un’elezione truccata ha reso Presidente suo padre, il Generale della KGB Heydar Aliyev. Dopo un decennio, il 31 ottobre 2003 suo figlio divenne Presidente con altre elezioni truccate e nominò la sua moglie Vicepresidente.

L’autocrate Ilham Aliyev stesso ha celebrate i suoi 20 anni al potere con una visita al territorio occupato della Repubblica di Artsakh, alle sue principali città e alla sua capitale Stepanakert, dove gli Armeni hanno vissuto per 3.000 anni ma sono stati sfollati con la forza solo due settimane fa, che Il Parlamento europeo non ha esitato a definire pulizia etnica.

I media statali azeri si sono rallegrati del fatto che «gli influenti mass media ucraini abbiano ampiamente coperto la visita del Presidente Ilham Aliyev a Khankendi».

«Mentre il Papa invita l’Azerbajgian a rispettare l’eredità cristiana armena nel Nagorno Karabakh, Aliyev ordina la rimozione delle croci dalle chiese di Stepanakert prima della sua visita nella città occupata. Un altro esempio dell’odio anti-armeno e del comportamento anti-cristiano di Aliyev» (Tatevik Hayrapetyan, già Deputato dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Armenia).

Ieri, in occasione della sua prima visita in assoluto in Artsakh, ormai spopolata con la forza, Ilham Aliyev ha incontrato gli abitanti della capitale Stepanakert (ribattezzata Khankendi), come si può vedere sopra nelle sequenza di foto.

Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, durante il suo tour in tenuta militare nell’Artsakh ha baciato e alzata la bandiera dell’Azerbajgian nelle città spopolate con la forza che ha visitato.

Ilham Aliyev in tenuta militare è arrivato a Stepanakert… Questa dovrebbe essere la prima e ultima foto dell’autocrate di Baku sotto il simbolo statale della Repubblica di Artsakh.

Arrivato a Stepanakert ha fatto una foto con l’emblema nazionale dell’Artsakh. I commenti al post sui social in estasi. Ha celebrato la sua vittoria con la sua forza degli armi gigantesca contro una minuscola forza di difesa di un piccolo popolo secolare.

C’è qualcosa di estremamente imbarazzante nel riferire a se stesso con il suo nome e cognome quando descrive le sue azioni sul sua account Twitter.

Ilham Aliyev, con i media statali azeri al seguito, ha visitato anche il palazzo del Parlamento e i palazzi governativi deserti, calpestando la bandiera nemica a Stepanakert [QUI], la capitale dell’Artsakh fatta diventare fantasma, spopolate con la forza. Ha pronunciato anche un discorso di rito per festeggiare la sua vittoria dell’odio raziale, della corruzione e dell’autocrazia, con la consueta minaccia di una nuova guerra contro l’Armenia.

«Non basta vincere una guerra, fare migliaia di morti e fare una pulizia etnica. È importante che il dittatore Aliyev venga filmato e fotografato mentre calpesta la bandiera di una minoranza che ha appena cancellato» (Simone Zoppellaro).

«Mi chiedo se esiste un Presidente di un Paese che cammina sulla bandiera di un altro Paese? Anche se fosse uno Stato non riconosciuto. Anche se non esiste più…» (Marut Vanyan).

«Il terrorista Aliyev è già così folle da dimostrare di essere un aggressore davanti ai media. Il mondo continua a tacere su questo aggressore. Caro popolo armeno, avete dimenticato le atrocità commesse dagli Aliyev contro gli Armeni? L’Azerbajgian di Aliyev è uno Stato terrorista e Aliyev è un terrorista, punto» (Suleyman Suleymanli).

Un ringraziamento alla propaganda azera per aver dimostrato il punto: era ed è impossibile per gli Armeni vivere sotto il dominio razzista azero, ecco perché è nato il movimento per l’autodeterminazione. Guardate cosa sta facendo questo regime guerrafondaio psicotico.

«Il Presidente dell’Azerbajgian: I tre clown che si autodefiniscono “presidente” aspettano oggi la loro meritata punizione» (News.az).

«“I tre clown che sedevano qui e si chiamavano ‘presidente’ aspettano oggi la loro meritata punizione. Mi chiedo se l’uomo che sedeva in uno di questi edifici e si faceva chiamare ‘primo ministro’ oserà minacciarci di nuovo adesso? Anche il suo tè viene servito adesso nel centro di detenzione [il riferimento è al Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Ruben Vardanyan]”, ha detto il Presidente Ilham Aliyev nel suo discorso dopo aver issato la bandiera nazionale della Repubblica di Azerbajgian nella città di Khankendi.
Il Capo dello Stato ha osservato: “Un separatista che si autodefinisce “ministro degli esteri” ha detto sarcasticamente che se l’Azerbaigian volesse alzare la sua bandiera a Khankendi, dovrebbe aprire un’ambasciata nel nostro paese. Ora il suo tè viene servito anche lì, nel centro di detenzione [il riferimento è a Davit Babayan]. La nostra bandiera è qui. Questa dovrebbe essere una lezione per loro. Sfortunatamente, le parole che ho detto 20 anni fa e ripetuto molte volte non sono state registrate da loro. Pensavano che fossero solo parole. No, faccio quello che dico, lo sanno tutti, compresa l’Armenia, e neanche loro dovrebbero dimenticarlo. Non dimenticare la guerra patriottica! Non dimenticare l’operazione antiterrorismo!”» (News.az, 15 ottobre 2023).

Il clown Aliyev – il bue che dice cornuto all’asino – ha chiamato “clown” tre dei quattro Presidenti della Repubblica di Artsakh. Questo è l’autocrate corrotto, la cui dinastia è al potere da 30 anni (lui stesso da 20 anni), che definisce “clown” i tre ex Presidenti della Repubblica di Artsakh democraticamente eletti, che ha fatto arrestare illegalmente. L’ultimo ha fatto andare in Armenia, dopo aver firmato il decreto di scioglimento della Repubblica di Artsakh e dei suoi organi statali, illegittimo e illegale (quindi non si è meritato il titolo onorifico di “clown”, oltretutto non era stato eletto dal popolo dell’Artsakh, ma dal Parlamento). Del resto, come nel caso dei “regimi autoritari consolidati”, prima dei processi farsa a Baku ha già definito che saranno puniti.

Chi sono i “clown”? Coloro che vengono eletti democraticamente o che mantengono il potere con dinastie, clan, corruzione e frodi elettorali? Coloro che lottano per i diritti e le libertà o che sono tra i maggiori carnefici di diritti al mondo? Coloro che proteggono il loro popolo o che commettono genocidi e crimini? Difficile immaginare un’autocrazia più corrotta, che non quella degli Aliyev. Che si guarda nello specchio.

La faccia di Aliyev guardandosi nello specchio, mentre si rallegra come un clown di aver raggiunto il “sogno della sua vita” (dixit): di aver effettuato con successo la pulizia etnica di un popolo dalla sua terra natale e nessuno gli ha fatto nulla perché ha del petrolio, del gas e del caviale. Questo mostro è stato generato dall’indifferenza e la complicità della comunità internazionale.

Con l’occasione della sua visita ai fantasmi dell’Artsakh, Aliyev ha nominato il Generale Sardar Safarov, in precedenza Capo del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno dell’Azerbajgian, Capo della polizia di Stepanakert. Secondo i dati disponibile, sono rimasti meno di una dozzina di Armeni in tutto l’Artsakh, quindi Səfərov sarà responsabile dell’ordine di una città fantasma. Potrebbe andare alla ricerca di cani randagi, visto che non ci sono più “cani Armeni” da perseguire.

«L’ultimo abitante della città… Stepanakert» (Marut Vanyan).

Infatti, ad accogliere Aliyev a Stepanakert c’era un cane, non letteralmente. Un cane vero, non un Armeno che come promesso ha “cacciato come cani”.

Agitando il pugno (che definisce “di ferro”) Aliyev ha lanciato anche nuove minacce agli Armeni. Parole, Parole, Parole… Parole inutili, che Aliyev ha rivolto alla piazza del Risorgimento di Stepanakert deserta, dove ha fatto sventolare la sua bandiera. Le parole sono potenti, data l’enorme possibilità della parola, ma anche inutile nella sua bocca, visto la grande abilità che dimostra nel manipolarla a proprio uso e consumo fino ad inventare discorsi inesistenti ma apparentemente veri. La domanda non è se, ma quando ordinerà il prossimo massacro.

L’analista del Caucaso Thomas de Waal ha criticato il discorso di Aliyev in un post su Twitter: «È un discorso rabbioso, che si sofferma sulle lamentele passate, senza nulla riguardo al futuro o alla riconciliazione. Niente rami d’ulivo», ha scritto. «Il messaggio è in gran parte “Karabakh senza Armeni”». De Waal continua: «Ciò è di cattivo auspicio per quanto verrà dopo per la Repubblica di Armenia. Nessun segno qui di ciò che gli Occidentali chiedono: che Aliyev inizi a trattare l’Armenia e Pashinyan come partner, piuttosto che come un avversario sconfitto. Invece suggerisce che Aliyev crede ancora di ottenere legittimità dall’opinione pubblica mobilitando il sentimento anti-armeno. Ciò indica chiaramente che continuerà a minacciare la stessa Armenia».

«Non possiamo restare inattivi, non fare nulla e aspettare che l’Azerbajgian attacchi Syunik. L’Armenia non può eguagliare la potenza militare del nemico, ma abbiamo il potere popolare. Non svegliamoci un giorno per apprendere che il monastero di Tatev è stato trasformato in una moschea. Non siamo impotenti. Non dobbiamo accettare nulla come inevitabile. Dobbiamo essere proattivi e difendere la nostra madrepatria. Milioni di Armeni in tutto il mondo, istruiti, intelligenti, multilingue e pieni di risorse possono trovare un modo per difendere la nostra amata Armenia» (Vic Gerami).

Negli ultimi 2 giorni sono stati registrati 4 voli cargo della compagnia area azera Silkway West tra Tel Aviv e Baku. Nonostante la guerra sul proprio territorio, Israele continua a rispettare i propri obblighi contrattuali. Israele invia armi all’Azerbaigian in modo che possa attaccare l’Armenia; i contribuenti statunitensi inviano armi a Israele in modo che possa attaccare Gaza.

«Questa è una guerra su più fronti. Israele è stato determinante nell’occupazione dell’Artsakh, si è ritrincerato sul confine settentrionale dell’Iran e si sta preparando a tagliare il percorso iraniano del Mar Nero attraverso l’Armenia. Questo non andrà senza sfide; ecco perché Baku si sta affrettando per stabilire i “fatti sul campo”» (Alison Tahmizian Meuse).

«I media statali azeri in riferimento a Azerbajgian occidentale [=Armenia] affermano che gli Armeni non sono stati espulsi dall’Azerbajgian; volevano solo andare in California. E Aliyev ha detto che gli Azeri restituiranno Zangezur [= Syunik in Armenia], dove l’Azerbajgian vuole costruire il “Corridoio di Zangezur” – nei prossimi tre anni» (Lindsey Snell).

«Il destino delle forze di mantenimento della pace russe nel Nagorno-Karabakh è nelle mani degli Armeni. Per trattenere le forze di mantenimento della pace russe nel Nagorno-Karabakh, Ilham Aliyev ha recentemente affermato falsamente che ci sono ancora Armeni armati in Karabakh che stanno conducendo guerre di guerriglia e contro i quali stanno combattendo.
L’opinione pubblica azera è sotto la propaganda anti-russa organizzata dal governo di Aliyev e chiede l’allontanamento dei Russi dal Nagorno-Karabakh. Per ingannare queste persone, Aliyev ha tirato fuori la “racconta degli Armeni che conducono una guerriglia nelle foreste”. Qualche tempo fa è stata pubblicata la notizia che un cecchino ha sparato contro un convoglio russo-azerbajgiano a Stepanakert. In altre parole, vengono utilizzate misure temporanee per mantenere i Russi in Karabakh.
Pochi giorni fa a Bishkek, Aliyev e Putin hanno discusso del futuro delle forze di mantenimento della pace russe. Non ci sono commenti pubblici su questo. Se i Presidenti avessero deciso che i Russi avrebbero lasciato il Karabakh, lo avrebbero annunciato pubblicamente. Ciò non è avvenuto, il che significa che Aliyev e Putin hanno raggiunto un accordo segreto sulla permanenza delle forze di mantenimento della pace. Tale periodo può durare da diversi mesi fino al 2025.
Aliyev vede il futuro dei negoziati armeno-azerbaigiani nel formato Russia. Nell’incontro con i Capi dei servizi speciali dei Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti, ha elogiato la Russia come mediatore accettabile. Ha definito la Russia l’alleato dell’Azerbajgian. In altre parole, Russia e Azerbajgian (insieme alla Turchia) hanno ancora un piano da attuare durante i negoziati armeno-azerbajgiani. Aliyev ha bisogno delle forze di mantenimento della pace russe in Karabakh.
Non è escluso che Russia e Azerbajgian siano ancora aggiornati sull’attuazione di un’operazione militare speciale contro Syunik e sul piano per ottenere il “Corridoio di Zangezur”. L’Azerbajgian ha bisogno delle forze di mantenimento della pace russe affinché l’Armenia non occupi il Nagorno-Karabakh durante quella guerra. In altre parole, secondo la percezione dell’Azerbaigian, i russi nel Nagorno Karabakh costituiscono un cuscinetto di sicurezza. Non è escluso che dopo la firma del trattato di pace, l’Azerbajgian solleverà la questione del ritiro russo, quando non sentirà la minaccia dell’Armenia.
Le forze di mantenimento della pace russe non sono ancora state ritirate dal Nagorno-Karabakh perché la Russia sta convincendo gli Armeni che si sono trasferiti in Armenia a tornare in Karabakh. In Karabakh sono rimasti sufficienti Armeni per fornire una base per mantenere le forze di mantenimento della pace russe. Anche Aliyev ha bisogno di 1.000-5.000 Armeni in Karabakh per dimostrare al mondo che in Azerbajgian non esiste l’armenofobia e che è in grado di integrare gli Armeni.
La mia previsione è che gli Armeni non torneranno in Karabakh sotto la garanzia dei Russi e degli Azeri. E se non verranno introdotti meccanismi internazionali, il Nagorno Karabakh perderà la sua popolazione armena a lungo termine.
Non so quali falsi discorsi anti-Armeni inventeranno Aliyev e Putin per mantenere i Russi in Karabakh. È anche uno strumento per impedire all’Occidente di entrare nel Nagorno-Karabakh. Penso che non dureranno a lungo» (Robert Ananyan – Nostra traduzione italiana dall’inglese).

«Aliyev ha ricevuto a Baku il leader della parte settentrionale di Cipro occupata dai Turchi. Mi affretto a porgere i miei saluti ai nostri fratelli di Atene, che sono rimasti in silenzio dal dicembre dello scorso anno, credendo che l’importazione e il transito del gas azero siano più importanti del destino dell’Artsakh. O che vale soprattutto la famigerata integrità territoriale. Ora i Greci vedranno in tutto il suo splendore quanto sia un “partner affidabile” l’Azerbajgian. Atene ha scelto il silenzio per il bene dell’integrità territoriale, ma alla fine ha ricevuto vergogna, e poi sarà umiliata quando Baku riconoscerà l’indipendenza di “Cipro del Nord”, senza preoccuparsi della sua amata integrità territoriale.
Non ci sono domande per gli stessi fratelli Greco-Ciprioti; ci sostengono sempre» (George Ivanovich Gurdjieff).

Segue una riflessione di Dalia Scheindlin, stratega politica ed esperta di opinione pubblica israeliana che vive a Tel Aviv, sui fallimenti del processo di pace nel Nagorno-Karabakh e in Israele/Palestina.

I percorsi verso la pace stanno diventando più oscuri
di Dalia Scheindlin
The New York Times, 13 ottobre 2023
(Nell’edizione cartacea il 14 ottobre 2023 con il titolo con il titolo La guerra è all’intorno a noi, ma ho ancora speranza)
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Come molti israeliani in questo momento, sono inconsolabile. Ho osservato per giorni mentre il dolore per le vite perdute e gli ostaggi si accumulava. Questo è l’inferno e i giorni a venire saranno peggiori.
Ma questo momento è straziante per me anche per un altro motivo. In quelle frenetiche prime ore di sabato mentre gli eventi si svolgevano, temevo che potessero significare il fallimento finale di quello che considero il lavoro della mia vita: un impegno per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la riduzione della violenza politica.
Gran parte della mia carriera è stata spesa lavorando su estenuanti campagne politiche per partiti che ritenevo impegnati a porre fine al conflitto israelo-palestinese e a realizzare la pace. Fornisco consulenza a numerose organizzazioni per i diritti umani e la pace, lavorando con persone che amo e rispetto (molto più dei politici). Ho sondato le profondità del conflitto etno-nazionalista e della democrazia nel mio lavoro accademico. Scrivo e promuovo queste cause a chiunque sia disposto ad ascoltarmi e trascorro il mio tempo di volontariato promuovendo ancora un altro piano di pace che a volte sembra destinato a fallire prima della nascita.
Questo non è un segnale di virtù. Se non altro, le mie attività peripatetiche riflettono la disperazione per il fallimento di ogni precedente sforzo volto a raggiungere l’obiettivo di una soluzione politica concordata al conflitto. Eppure, in ogni frangente, sentivo il bisogno inspiegabile di continuare a provare, di continuare a cambiare strada.
Sto combattendo la sensazione che ci siano poche strade rimaste da provare.
La settimana scorsa, quando è scoppiata la guerra in casa mia, ero in Armenia e ho trascorso ore a parlare con persone le cui vite sono state distrutte dalla guerra. A settembre, migliaia di persone provenienti dal Nagorno-Karabakh, un’enclave popolata da Armeni all’interno dell’Azerbajgian, sono state cacciate dal fulminante attacco militare dell’Azerbajgian. In un fatiscente asilo dell’era sovietica frettolosamente riconvertito a rifugio, le persone mi raccontavano del loro opprimente senso di perdita. Un uomo continuava a ripetere: “Senzatetto, senzatetto, senzatetto”.
La guerra è intorno a noi. Ucraina, Azerbajgian, Sudan, Israele: questi non sono solo nomi, sono vite di persone. Alcuni luoghi, come il Nagorno-Karabakh, negli angoli più remoti del Caucaso meridionale, sono tragicamente facili da dimenticare per il mondo, fino a quando non esplodono. Altri, come Israele e Palestina, sono sempre nella mente del mondo, e anch’essi esplodono.
Il feroce attacco di Hamas è stato uno shock, ma non una sorpresa. Abbiamo tutti visto il processo di pace fallire qui, come spesso accade. Questa non è solo una crisi per gli attivisti pacifisti di base, è un grande fallimento sulla scena globale. Ultimamente l’idea stessa di risolvere i conflitti, contenere la violenza attraverso regole e istituzioni internazionali, lo stesso sistema internazionale, appare del tutto inadeguata al compito di proteggere le persone e prevenire le guerre.
Si potrebbe perdonare la domanda: quale sistema internazionale? Le istituzioni globali, costruite così scrupolosamente nel corso di decenni, sembrano non essere affatto all’altezza di ciò che realmente governa il mondo: denaro, petrolio, armi, interessi.
Gli Armeni si sentono traditi dalla comunità internazionale per la sua quasi completa inerzia di fronte al punitivo blocco imposto dall’Azerbajgian al Nagorno-Karabakh per nove mesi a partire da dicembre, che ha lasciato 120.000 persone – per lo più civili – senza cibo, medicine o carburante a sufficienza. Le Nazioni Unite hanno inviato la loro prima missione nell’enclave in 30 anni solo dopo che la maggior parte degli Armeni era stata cacciata a causa della violenza. Anche l’AzerbaJgian è stato frustrato per quasi 30 anni dall’impotenza del diritto internazionale poiché altre sette aree del suo territorio sovrano conquistate dall’Armenia durante la guerra del Nagorno-Karabakh degli anni ’90 sono rimaste sotto il controllo degli Armeni.
Per decenni Israele si è fatto beffe del diritto internazionale espandendo gli insediamenti, annettendo territori conquistati in guerra e soffocando la popolazione civile di Gaza attraverso un blocco di 16 anni, con poche ripercussioni. I Paesi a cui non piacciono i tribunali internazionali – compresi gli Stati Uniti – in gran parte li ignorano. Vladimir Putin probabilmente eviterà il processo per la sua invasione dell’Ucraina. Hamas certamente non aveva alcuna preoccupazione per le azioni giudiziarie internazionali o per il destino dell’ordine mondiale basato su regole liberali quando ha massacrato oltre 1.300 Israeliani. Gran parte del mondo considererà giustificata la brutale rappresaglia di Israele – finora, secondo il Ministero della Sanità palestinese, sono stati uccisi più di 400 bambini Palestinesi.
Peggio ancora, agli elettori di tutto il mondo non sembra importare: molti scelgono populisti autoritari invece di un governo democratico. A loro volta, questi leader, da Donald Trump a Viktor Orbán dell’Ungheria e Narendra Modi dell’India, deridono il sistema internazionale, o lo disprezzano apertamente. Orbán si fa beffe dei valori istituzionali dell’Unione Europea. Trump ha cercato di ridurre drasticamente i finanziamenti alle Nazioni Unite. Questi leader trasmettono ai loro elettori che la forza e gli interessi prevalgono, che i valori sono deboli e che il sistema internazionale è una farsa – e molti di loro continuano a essere eletti.
Forse la verità è che molte persone in tutto il mondo preferiscono la guerra e la crudeltà alla pace.
Ma non posso lasciarlo lì. Ho visto anche l’altro lato: la solidarietà che supera le amare divisioni politiche. I miei amici e colleghi Palestinesi e Israeliani si confortano a vicenda nei momenti di escalation; ci uniamo al nostro impegno per porre fine ai sistemi di oppressione e ingiustizia e deploriamo la violenza contro i civili. Sabato scorso, centinaia di attivisti Ebrei e Palestinesi in Israele si sono incontrati su Zoom nel mezzo dell’orrore per organizzarsi contro il terribile spettro della violenza nelle città miste arabo-ebraiche di Israele.
Mentre i vecchi paradigmi di pace crollano, quelli di noi che lavorano su nuovi approcci verso una pace basata sulla partnership (incluso un gruppo chiamato “Un Paese per Tutti”, di cui sono membro del consiglio), piuttosto che sulla dura spartizione che ci alimenta – o – loro competizione, generano nuova energia. La pace politica può essere lontana anni luce, ma queste rare scintille di ottimismo sono il carburante che ci porterà lì.
Questi valori possono informare anche le nazioni. Ho chiesto agli Armeni qual è il ruolo di Israele nell’armamento dell’Azerbajgian. Mi aspettavo rabbia, ma più spesso le persone erano sconcertate, o semplicemente profondamente deluse dalla mancanza di solidarietà di Israele verso un popolo con una storia condivisa di persecuzioni, genocidio, impegno per la sopravvivenza e rinascita nazionale. Di fronte alla purezza della loro logica morale, il mio cinismo da realpolitik sembrava svanire. La solidarietà e le qualità ad essa connesse – moralità, empatia, protezione dei civili, giustizia storica – contano per tutte le persone. I nostri esperimenti globali per la pace e la democrazia non hanno ancora avuto successo, ma i valori che li guidano potrebbero essere tutto ciò che abbiamo.
Lo ammetto: i valori non ci salveranno dalla crudeltà. WH Auden ha scritto che “dobbiamo amarci l’un l’altro o morire”. Ma l’amore sembra scarseggiare di questi tempi. Mi accontenterò della solidarietà, della moralità, dell’uguaglianza e della giustizia. Le persone moriranno ancora, ma queste salveranno la nostra umanità.

Foto di copertina: prima visita in assoluto di Ilham Aliyev a Stepanakert ormai spopolata con la forza. Nel palazzo del governo della Repubblica di Artsakh, la bandiera dell’Artsakh ai suoi piedi per essere calpestata, immaginando gli Armeni che vuole “integrare” come “suoi cittadini” in Azerbajgian. Si potrebbe dire molto su quest’uomo, sul suo stato mentale, sulla sua mancanza di maturità e sulla società che ha creato. Si potrebbe dire che porta con orgoglio dentro di sé un’insicurezza ontologica, rendendolo incapace persino di dimostrare un atteggiamento dignitoso nei confronti del proprio successo. Ma un’immagine vale più di mille parole. Questo uomo può anche camminare nel mondo civile, ma non sarà mai civilizzato. Rimarrà sempre un predatore nomade Tartaro, calpestando la civiltà e la democrazia.

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