Alla scuola di fraternità, si lancia un dado, si impara l’amore e si dà scacco matto alla guerra

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“Amare tutti”. “Amare per primi”.  “Farsi uno”. “Vedere Gesù nell’altro”. “Amare il nemico”. “Amarsi a vicenda”. Non sono solo semplici frasi. Sono impegni quotidiani, stampati sulle sei facciate del “dado dell’amore”. Lo ha adottato, in una scuola internazionale egiziana, Carlos Palma, uruguayano trapiantato in Egitto, nella scuola dove insegnava inglese. Il seme di fraternità che ha piantato nei suoi ragazzi ha fatto delle sue classi le migliori della scuola per profitto. E usano il dado dell’amore anche in una scuola del Pakistan, a Dalwal, nel Punjab. Scuola cristiana, frequentata però soprattutto da musulmani. E l’utilizzo del dado dell’amore sta costruendo un tessuto di condivisione che non può che fare bene.

Non serve per forza andare lontano. A Learning Fraternity – il laboratorio sulla fraternità organizzato dal movimento dei Focolari nel Centro Mariapoli di Castel Gandolfo dal 6 all’8 agosto – le storie non sono solo quelle che vengono dal Pakistan, dall’Argentina, dall’Egitto. C’è una fraternità, viva e sperimentabile, anche nel giardino di casa nostra. Tutto sta a vederla. E ad imparare a praticarla.

Così, si scopre che i ragazzi del Liceo Galilei di Catania si sono messi di impegno, hanno rinunciato ogni giorno ad un gelato e con i soldi ricavati hanno acquistato una tastiera per dei ragazzi del Burundi che ne avevano bisogno per mettere su un complesso musicale. Questi hanno ricevuto il dono, hanno scritto una canzone, l’hanno inviata ad un concorso delle Nazioni Unite, hanno vinto… ed ora si è creato un ponte tra Catania e l’Uganda, anche grazie a una professoressa e a suo fratello, missionario laggiù.

In fondo, la fraternità è qualcosa che si impara giorno dopo giorno. A Castelgandolfo arrivano in 650, ognuno con la sua esperienza. Il dado dell’amore è una costante, utilizzato in ogni ambito. Al mattino, nella Scuola Americana del Cairo, ogni ragazzo lo lancia, e si propone di vivere nella giornata la frase che gli capita.

“E’ stato difficile all’inizio – racconta Carlos Palma – perché si deve educare alla mentalità dell’amore. Il dado che usiamo in Egitto, per esempio, ha la frase ‘Vedere Dio nell’altro’ al posto di ‘vedere Gesù nell’altro’, perché così ci avviciniamo al mondo culturale dei ragazzi. Ma anche questo è un concetto difficile da far comprendere. Come per esempio è difficile spiegare come amare il nemico a dei giovani musulmani, dato che il Corano non ha riferimenti di questo genere”.

È un lavoro lungo, un percorso di autoconsapevolezza. Ma i ragazzi lo comprendono. Il clima in classe diventa sereno, disteso. Tutti studiano meglio. I risultati scolastici arrivano, presto. E i professori si chiedono cosa abbia di speciale la classe di Palma.

“A quel punto – racconta Palma – ho spiegato che tutto era dovuto al dado dell’amore. Hanno voluto adottarlo in tutte le classi. Ha funzionato, nelle classi dove gli insegnanti hanno davvero creduto nel dado, e nel modo in cui poterlo applicare. Perché alcuni magari non lo hanno compreso fino in fondo, o lo hanno vissuto come un obbligo, come una cosa da dover fare ogni mattina”.

Eppure, il dado è stato adottato in tre scuole internazionali al Cairo, e il suo utilizzo si sviluppa sempre di più si è fatto promotore per la seconda volta di un Festival per la Pace, con il titolo: “Fai un cambiamento visibile”. È stato un successo, riuscendo a coinvolgere 1500 ragazzi e insegnanti di 82 scuole, di 40 Paesi di vari continenti. “Segno – racconta oggi – che le persone sanno condividere le sofferenze di un popolo”.

E i ragazzi di Carlos sono stati anche a piazza Tahrir. “Eravamo tutti lì, abbiamo manifestato pacificamente per un cambiamento visibile”.

Tra quelli che erano in piazza Tahrir c’è anche Elhamy Naguib. Artista, membro della Fondazione “Koz Kazah” (arcobaleno) ha usato i murales anche lo scorso 7 febbraio, quando il popolo è tornato a riversarsi in piazza Tahrir. “Sono andato in piazza ed ho cominciato a disegnare riproponendo le grandi aspirazioni del popolo egiziano”. Nei disegni di Naguib, la giustizia sociale ha preso la forma di una bilancia e la libertà di un uccello. A simboleggiare, anche lì, la ricerca di un cambiamento.

Un cambiamento che sembra lontano anche in Pakistan, dove la vita è difficile per i cattolici, sempre in bilico tra l’accusa di blasfemia e quella di proselitismo.

Ma a Dawal, nel Punjab, c’è una scuola cattolica che è l’equivalente della nostra scuola media. Era stata confiscata dal governo ai missionari, e poi è stata restituita nel 1999. Ci sono 209 studenti, e solo 4 sono cristiani. Ma nessuno degli studenti vuole andare via. E quando devono, perché magari i genitori si spostano per lavoro, ecco che tutti sentono la mancanza della scuola, della grande fraternità che vi si respira.

Valentina Gomes sottolinea che il loro lavoro è “cercare di formare coscienze aperte a valori universali, come il rispetto dell’altro e la libertà religiosa.” E anche qui, il dado dell’amore ha un ruolo centrale. La scuola ha stilato cinque manuali, tutti strutturati in sei unità come le facce del dado dell’amore, e c’è una materia tutta nuova, la Character Building, dove si sviluppano tematiche legate a valori universali e condivisibili da tutte le classi.

Ma le esperienze di fraternità sono molteplici: c’è il Progetto Pace, fondato a Treviso da Giuseppe Provenzale 23 anni fa, che oggi coinvolge 400 scuole e 100 mila studenti in Italia e in Europa per azioni di solidarietà, viaggi umanitari e campi di solidarietà; c’è anche il progetto sulla prevenzione della violenza negli Stati, nella diocesi di Vicenza; c’è la scuola di formazione politica in Argentina.

Uno sguardo sulla fraternità nel mondo, in attesa del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, dedicato proprio alla fraternità. Al termine del convegno, è stato inviato a Papa Francesco un manifesto in dieci punti. Tra gli impegni quello a “essere testimoni autentici di fraternità”, di “educare con la vita” ed “accogliere il conflitto, il limite personale, relazionale, culturale, sociale per farne un’occasione di crescita e di dialogo, ricominciando sempre”.

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