Il Papa scrive al G20: “Non rimanete inerti di fronte ai drammi della Siria”

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Il primo punto da comprendere è che la Santa Sede non fa politica. Ma la sua autorità morale, il suo intervento super partes, va a toccare le corde della politica, interroga gli Stati, dà una direzione morale a tutto. E sembra volerlo sottolineare Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati (ovvero, il “ministro degli Esteri” vaticano) in un incontro con gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede che si è tenuto nell’aula Clementina. Mentre d’altro canto, Papa Francesco invia come di consueto un messaggio alla presidenza del G20 che si va a riunire, e – oltre agli scontati temi economici – non manca di inserire una parte consistente e importante sulla Siria.

Si era detto che Papa Francesco aveva persino telefonato al presidente siriano Assad, si era messa in luce una febbrile attività diplomatica di Papa Francesco, una diplomazia informale, come sarebbe nello stile di Bergoglio. Ma in fondo c’è poco da essere informali quando la gente muore. Lo sa bene Papa Francesco, che ha smentito ufficialmente a padre Lombardi di aver mai telefonato ad Assad. Lo sanno gli ufficiali della Segreteria di Stato vaticana, impegnati ormai da due anni ad ascoltare il grido della Siria e a cercare di trovare un modo di preservare integrità territoriale, dialogo tra le religioni, rispetto della libertà religiosa, in una terra martoriata da una guerra che sembra non avere mai fine.

Mentre il mondo occidentale sembrava lasciar passare sotto silenzio quello che accadeva in Siria, Francis Chullikat, nunzio presso la Sede Onu di New York, e Silvano Maria Tomasi, nunzio presso la Sede Onu di Ginevra, lanciavano il loro grido di dolore. Mentre il mondo occidentale lasciava cadere l’accordo sull’embargo delle armi, la Santa Sede, tra le pochissime voci sulla scena internazionale, scendeva in campo per dire che no, non è con più armi che si può risolvere il conflitto in Siria.

La Caritas in Giordania ha raccolto oltre 1 milione 300 mila rifugiati, i vescovi fanno quello che possono per  tenere coesa una comunità che è sempre più a rischio. L’escalation dell’uso delle armi chimiche ha fatto il resto. “Davanti a fatti simili non si può tacere”, dice Mamberti davanti agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede. E spiega: “Fin dall’inizio del conflitto, la Santa Sede è stata sensibile al grido di aiuto che giungeva dal popolo siriano, in particolare dai cristiani, non mancando da subito di manifestare la sua posizione, caratterizzata dalla considerazione della centralità della persona umana”.

Mamberti ripercorre le iniziative che si sono succedute a partire da Benedetto XVI, compreso l’invio di una delegazione del Sinodo dei vescovi in Siria.

La priorità – sottolinea Mamberti – è “far cessare la violenza, che continua a seminare morte e distruzione e che rischia di coinvolgere non solo gli altri Paesi della Regione, ma anche di avere conseguenze imprevedibili in varie parti del mondo”. E poi, il “ministro degli Esteri” vaticano richiamo “l’esigenza e l’urgenza del rispetto del diritto umanitario” e “l’assistenza umanitaria” verso i profughi.

Secondo la Santa Sede, la soluzione generale al conflitto passa per tre principi generali: “il ripristino del dialogo tra le parti e la riconciliazione del popolo siriano”, il mantenere “l’unità del Paese, evitando la costituzione di zone diverse per le varie componenti della società”, e infine “l’integrità territoriale del Paese”. Quella che Mamberti fornisce è una strada per la democrazia, dando la garanzia che “nella Siria di domani ci sarà posto per tutti, anche e in particolare per le minoranze, inclusi i cristiani”. E non manca un accenno alla libertà religiosa, il diritto di tutti i diritti.

Gli ambasciatori hanno ascoltato, hanno posto domande, hanno partecipato al dibattito. C’erano anche gli ambasciatori di Stati Uniti e Francia, le due nazioni che sostengono l’iniziativa militare in Siria. Alcuni hanno chiesto come partecipare alla preghiera e al digiuno indetta dal Papa per il 7 settembre.

Non ci saranno inviti particolari, ma chi degli ambasciatori vorrà partecipare dovrà fare richiesta alla Prefettura della Casa Pontificia, che troverà loro un posto adeguato. Ci sarà uno spazio per la confessione, ci sarà un momento eminentemente mariano con l’intronazione di Maria Salus Populi Romani, ci sarà un “ufficio delle letture” e poi la meditazione del Papa, che dovrebbe avvenire intorno alle 20 e 30 della serata di sabato. Poi, un’ora e mezza di silenzio, 100 mila persone stimate in piazza San Pietro in adorazione a pregare perché scoppi la pace. Sarà un momento suggestivo, e un segnale forte al mondo.

Un mondo le cui sorti continuano ad essere decise nei G20, i consessi mondiali dei Paesi più industrializzati. Come praticamente consuetudine, Papa Francesco invia un messaggio alla presidenza dell’incontro, questa volta toccata alla Russia. Il Papa scrive così al presidente Vladimir Putin. La lettera consta di una prima parte eminentemente “di scuola”, con la richiesta di “una cornice finanziaria mondiale, con regole giuste e chiare, per conseguire un mondo più equo e solidale” , in cui “sia possibile sconfiggere la fame, offrire a tutti un lavoro degno, un’abitazione decorosa e la necessaria assistenza sanitaria”. Ma poi c’è un elemento di raccordo, la constatazione che nella vita dei popoli i conflitti armati costituiscono sempre la deliberata negazione di ogni possibile concordia nazionale”, e che le guerre “costituiscono il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali” come i Millennium Development Goals.

E allora sì, dice il Papa, l’incontro dei capi di Stato del G20 parla di economia, e non di sicureza internazionale. Ma i capi di Stato non potranno “fare a meno di riflettere sulla situazione in Medio Oriente e in particolare in Siria”. Perché “troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro cui stiamo assistendo”. Auspica il Papa: “I leader del G20 non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la popolazione siriana ce che rischiano di portare nuove sofferenze ad una regione tanto provata e bisognosa di pace”.

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