Vita nascente. Quando la provocazione rende tutto più difficile

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Il modo peggiore per “difendere la vita”. Una modalità inutile e ovviamente controproducente, che non contribuisce di un grammo ad aumentare la sensibilità verso la vita nascente e anzi ostacola dal punto di vista culturale il lavoro di quanti, nella società di oggi, si ostinano a portare avanti il concetto che un essere umano ha una sua grande dignità anche prima di nascere, durante il periodo di gestazione nel corpo della madre.

 

 

Un controverso movimento politico ha inviato a diverse redazioni giornalistiche siciliane dei pacchi contenenti delle bambole rotte, senza piedi, nè tronco e con le manine staccate, sporche di sangue e con interiora di animali, insieme ad un messaggio contro “il genocidio legalizzato di massa” e la legge 194. Ammesso e non concesso (e sottolineiamo: non concesso) che a tale movimento interessi davvero la tutela della vita umana nascente, il fatto in sé e il risultato che ne consegue rende non più facile, ma più difficile, il raggiungimento degli obiettivi voluti. Nella società di oggi non è con le bambole insanguinate, con le frasi choc, con le immagini dure e crude della realtà di un aborto, che si fanno passi avanti nella sensibilizzazione al rispetto della vita.

Azioni simili qualificano come estremismo ogni opposizione ad una legge – la 194/78 – che è e resta integralmente iniqua ma che semplicemente non si combatte con queste armi. Che invece contribuiscono a rafforzarla. Uno degli equivoci più diffusi sulla 194 è che sia una legge di compromesso, nient’affatto sbilanciata: un testo ugualmente lontano dai cosiddetti “opposti estremismi”, quello di quanti ritengono che l’aborto debba essere libero, gratuito, effettuabile in ogni momento della gravidanza a semplice richiesta, e quello di chi invece lo ritiene un omicidio da dover vietare e punire penalmente. La 194 si è costruita la fama di essere una legge equilibrata, quando tale non è, perché al di là delle parole e delle condizioni stabilite dalle sue norme, nei fatti rende l’aborto sostanzialmente libero nei primi tre mesi di gravidanza. Fare irruzione nel dibattito pubblico con gesti dimostrativi simili a quelli avvenuti nei giorni scorsi fortifica questa impressione e rafforza, anziché distruggerlo, il consenso sociale attorno ad una legge percepita come ragionevole ed equilibrata.

Varrà allora la pena di ricordare a tutti che la questione dell’aborto investe alla sua radice numerosi ambiti. Il riconoscimento del diritto alla vita di ogni essere umano, anche quello più piccolo o non ancora nato, è un passo da inseguire con argomentazioni scientifiche (la vita prenatale) e giuridico-culturali (l’uguaglianza di ogni essere umano, la non discriminazione sull’età, l’appartenenza del concepito al genere umano). Poiché non è possibile non considerare che la gravidanza è una situazione particolarissima che non si verifica mai in nessun altro caso della vita (un essere umano che vive e si sviluppa dentro un altro essere umano), occorre semplicemente comprendere che non è possibile difendere la vita nascosta nel seno materno con una metodologia ordinaria, ma bisogna inevitabilmente passare per la mente e il cuore della madre. Il principale difensore della vita del figlio è la donna, è la madre. Ecco perché, ancor più nelle condizioni culturali odierne, la minaccia penale non è il metodo né più giusto né più opportuno di evitare l’interruzione della gravidanza. La via maestra è invece un’altra, è quella di affermare chiaramente l’umanità del concepito e di difendere il suo diritto alla vita con mezzi diversi dalla minaccia penale, quindi non “contro” la donna ma “insieme” alla donna, scommettendo sulle sue risorse e potenzialità, infondendo coraggio, condividendo le difficoltà, creando insomma una grande rete di solidarietà che combatta quel senso di solitudine e paura che spesso affligge chi si trova ad affrontare una gravidanza indesiderata.

Quali sentimenti invece suscitino iniziative simili a quella che ci dà spunto per queste parole è facilmente immaginabile. E non vanno nella giusta direzione. Le provocazioni servono a poco, se ottengono il risultato opposto a ciò a cui mirano. Ammesso e non concesso che il risultato cercato fosse proprio quello di tutelare la vita nascente, e non di inseguire un modo facile, e alquanto macabro, di ottenere visibilità.

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