Zelensky a Francesco: onorato e grato, ma grazie, no

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.05.2023 – Vik van Brantegem] – La stampa internazionale ha espresso – come è ovvio – opinioni divergenti sull’incontro avvenuto sabato 13 maggio 2023 – anniversario della prima apparizione della Madonna a Fatima nel 1917 – nella Città del Vaticano presso lo Studio pontificio “del Fungo”, durato 40 minuti, tra Papa Francesco e il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Alcuni hanno affermato che è andato bene. Ma altri, in particolare in Italia, hanno riferito in modo realistico, che quando Francesco ha cercato il sostegno di Zelensky per una possibile missione di pace della Santa Sede nella guerra Ucraina-Russia, Zelensky non ha risposto positivamente, detto con un understatement. Più tardi quella sera, Zelensky ha liquidato la proposta del Papa: «Con tutto il rispetto per Sua Santità, non abbiamo bisogno di mediatori». In concreto, Papa Francesco non ha ottenuto ciò che cercava: l’approvazione di Zelensky per un ruolo della Santa Sede in eventuali colloqui di pace per portare termine alla guerra Ucraina-Russia in corso.

Dress code… che dice tutto.

«Il linguaggio del corpo dice molto» (Marco Politi)… e anche l’abito (che fa il monaco). Zelenskyj ha iniziato l’incontro – sedendosi prima del Papa – ponendo sul tavolo un quaderno che conteneva i punti che desiderava che il Papa ascoltasse e accettasse: «A memoria d’uomo non era mai successo che un capo di Stato, incontrando il pontefice, aprisse sul tavolo del colloquio un grande quaderno con i punti da specificare» (Marco Politi).
«Come il piano di pace di Benedetto XV nel 1917, gli sforzi di Francesco per fornire una strategia di uscita dalla guerra in Ucraina sembrano morti all’arrivo» (John Allen).

Domenica, dopo la preghiera dell’Angelus in Piazza San Pietro, Papa Francesco non ha fatto alcun accenno all’incontro: «Segno che non lo ritiene minimamente produttivo ai fini di frenare l’escalation verso un conflitto sempre più sanguinoso e pericoloso» (Marco Politi). Parole dure, ma di verità… «Il suo [di Zelensky] obiettivo era spingere nell’angolo Bergoglio, sabotare ogni ipotesi di mediazione vaticana, costringerlo a confrontarsi con le richieste pressanti – e propagandistiche – del leader ucraino: 1. Unirsi alla condanna di Putin in quanto criminale, 2. Premere perché sia accettato come unico esito il cosiddetto “piano Zelensky”, che piano di pace non è ma un elenco di condizioni che una Russia in ginocchio dovrebbe essere costretta ad accettare, perché il ricatto delle sanzioni continuerebbe anche dopo la ritirata dell’esercito russo» (Marco Politi).

Riportiamo di seguito tre articoli, che riassumono quanto accaduto sabato nell’incontro tra Papa Francesco e il Presidente Zelensky… e dopo:

  • Come Benedetto XV, Papa Francesco apparentemente respinto nel tentativo di porre fine alla guerra europea di John L. Allen Jr. su Crux, 14 maggio 2023
  • Zelensky voleva spingere nell’angolo il Papa ma la Santa Sede non è stupida di Marco Politi su Il Fatto Quotidiano, 15 maggio 2023
  • Se Zelensky ignora il Papa, ci aspettano disastri: nucleare o decenni di guerra fredda di Stefano Briganti su Il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2023

La Pace, offerta da Papa Francesco a Zelensky, simbolizzata con i doni (quanto pare non graditi), oltre della scultura bronzea raffigurante un ramoscello d’olivo (foto di Antonio Spadaro, S.I.), di tre documenti:

  • il Documento sulla fratellanza umana, per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb [QUI];
  • il libro Perché avete paura? Non avete ancora fede? Statio Orbis 27 marzo 2020 (LEV e Piemme 2021, 160 pagine [QUI]);
  • il volume Un’Enciclica sulla pace in Ucraina” di Papa Francesco a cura di Francesco Antonio Grana (Edizioni Terra Santa 2022, 122 pagine [QUI]).

Come Benedetto XV, Papa Francesco apparentemente respinto nel tentativo di porre fine alla guerra europea
di John L. Allen Jr.
Crux, 14 maggio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Quando Papa Francesco è stato eletto nel 2013, gli Italiani inizialmente hanno fatto grande storia del fatto che la famiglia di suo padre provenisse dalla regione settentrionale italiana del Piemonte. È emerso subito, tuttavia, che da parte di madre le sue radici erano nella regione nord-occidentale della Liguria centrata su Genova, il porto marittimo da cui la famiglia del futuro Papa salpò per l’Argentina all’inizio del XX secolo. È remotamente possibile, quindi, che gli antenati materni di Papa Francesco possano aver conosciuto la famiglia di Giacomo della Chiesa, divenuto Papa Benedetto XV, che regnò dal 1914 al 1922, e le cui radici erano proprio in Liguria. Come minimo si sarebbero accorti che un collega ligure aveva avuto successo.

A quanto pare, le radici non sono l’unica cosa che i Papi Benedetto XV e Francesco hanno in comune. Benedetto XV guidò la Chiesa Cattolica durante la Prima Guerra Mondiale, un conflitto che fece di tutto per fermare. Nell’agosto 1917 Benedetto XV scriveva alle parti contendenti definendo la guerra una strage inutile, e di proporre un piano di pace in sette punti comprendente una “riduzione simultanea e reciproca degli armamenti” e un meccanismo di “arbitrato internazionale”.

Notoriamente, gli sforzi di Benedetto XV inizialmente sembravano un flop. Sia gli Stati Uniti che la Germania respinsero la sua iniziativa, con ciascuna parte che credeva che il Papa fosse prevenuto a favore dell’altra, e la guerra si trascinò per un altro anno e tre mesi prima che fosse firmato un armistizio. La posizione di Benedetto XV sembrava così marginale che, dopo la guerra, la Santa Sede fu esclusa dalla Conferenza di Pace di Parigi. Alla fine, tuttavia, alcune delle idee originali di Benedetto XV furono inserite nel piano di pace in 14 punti del Presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson nel gennaio 1918. Più in generale, gli sforzi del pontefice per porre fine alla guerra, così come il suo sostegno a una maggiore integrazione europea e internazionale, finì per sembrare profetico e portò gradualmente a un aumento del rispetto internazionale per il papato e del ruolo diplomatico della Santa Sede negli affari globali.

In questo momento, Papa Francesco potrebbe sognare un simile tipo di rivendicazione storica, dal momento che anche i suoi sforzi di pacificazione in mezzo a un altro grande conflitto europeo, questa volta in Ucraina, non sembrano andare da nessuna parte.

Durante una visita molto attesa a Roma che includeva un incontro di 40 minuti con Papa Francesco, il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiarito in modo cristallino che qualunque piano di pace segreto la Santa Sede possa escogitare, non è interessato. In un tweet poco dopo la conclusione dell’incontro, Zelensky ha affermato di aver fatto pressioni su Francesco “perché condanni i crimini in Ucraina. Perché non può esserci uguaglianza tra la vittima e l’aggressore”.

Parlando più tardi durante un programma speciale della televisione italiana trasmesso dal famoso “Altare della Patria” di Roma in piazza Venezia, Zelensky ha categoricamente escluso un ruolo di mediazione per il pontefice o per la Santa Sede. “Con tutto il rispetto per Sua Santità, non abbiamo bisogno di un mediatore tra l’Ucraina e l’aggressore che ha sequestrato e occupato il nostro territorio”, ha detto Zelensky. “Nessuno può negoziare con la Russia”. “Non possono esserci mediatori”. “Hanno tolto la cittadinanza alle persone nei territori occupati”, ha detto, riferendosi alle forze russe. “Li hanno costretti ad andare a combattere al fronte. Hanno buttato via tutto l’insegnamento ucraino. Hanno proibito la lingua ucraina. Hanno proibito di avere una Chiesa ucraina. Hanno portato abusi e malvagità”. “Non puoi mediare con Putin”, ha sottolineato Zelensky. “Sappiamo le conseguenze… non è una questione del Vaticano, o dell’America, o dell’America Latina, o della Cina, o di qualsiasi Paese del mondo. Putin uccide soltanto, non puoi avere una mediazione con lui”.

Il leader ucraino ha suggerito che se la Santa Sede vuole fare qualcosa di costruttivo, dovrebbe aderire al piano di pace dell’Ucraina. “Per me è stato un onore incontrare Sua Santità”, ha detto Zelensky. “Tuttavia, conosce la mia posizione e quella dell’Ucraina. La guerra è in Ucraina, e quindi il piano [per la pace] deve essere ucraino. Abbiamo proposto un piano e ne abbiamo discusso oggi. Ci interessa molto coinvolgere il Vaticano e l’Italia nella nostra formula per la pace, per riportare la pace in Ucraina».

I titoli della stampa italiana hanno tratto l’ovvia conclusione: “Zelensky rifiuta il piano di pace del Papa”, ha riportato Il Giornale, mentre Il Fatto Quotidiano ha proseguito: “Zelensky blocca il Papa, vuole negoziare da solo” e Il Manifesto ha affermato: “Il piano del Papa non serve”.

Per essere chiari, l’idea di Papa Francesco e della Santa Sede come intermediario ha entusiasmato nemmeno la Russia. I portavoce di Putin si sono limitati a dire di non sapere nulla di alcuno sforzo di pace della Santa Sede, lasciando in sospeso la questione più ampia se sarebbero aperti a tale iniziativa. In altre parole, come il piano di pace di Benedetto XV nel 1917, gli sforzi di Francesco per fornire una strategia di uscita dalla guerra in Ucraina sembrano morti all’arrivo.

(Come nota a piè di pagina, l’economista laico italiano Stefano Zamagni, già Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, ha detto che lo scorso settembre ha redatto per conto di Papa Francesco un piano di pace per l’Ucraina in sette punti, in quello che potrebbe essere stato un inconsapevole omaggio alla famosa proposta di Benedetto XV un secolo prima. Forse la lezione è che se i Papi vogliono proporre piani di pace, dovrebbero evitare il numero sette.)

Per ora, Francesco potrebbe essere costretto a limitare i suoi sforzi al tentativo di mitigare le conseguenze umanitarie della guerra. Ieri, ad esempio, Zelensky ha invitato il Papa a collaborare agli sforzi per restituire i bambini ucraini deportati dalle forze russe. Più o meno allo stesso modo, Benedetto XV non è riuscito a porre fine ai combattimenti durante la Prima Guerra Mondiale, ma è stato in grado di smussare alcuni dei suoi eccessi, come porre fine alle deportazioni dei Belgi da parte delle forze tedesche. Benedetto ha anche avviato un ufficio per i prigionieri in Vaticano che, alla fine della guerra, aveva consegnato più di 600.000 messaggi di posta, comprese 170.000 richieste di aiuto per localizzare persone scomparse e 40.000 appelli per il rimpatrio di prigionieri malati. Resta da vedere se, a lungo termine, gli sforzi più ampi di Francesco per continuare la sua pressione per la pace giocheranno agli occhi della storia altrettanto bene del suo predecessore.

Ecco un’altra cosa che accomuna Francesco, primo Papa della storia del mondo in via di sviluppo, con il suo precursore ligure: nel 1919 Benedetto XV promulgò la Lettera apostolica Maximum ilud, il primo documento missionario emanato personalmente da un Papa, in cui invitava il Cattolicesimo a guardare oltre l’Occidente, indicando in particolare la Cina, così come Francesco un secolo dopo ha promosso legami più stretti con Pechino come parte di un più ampio riallineamento globale della Chiesa Cattolica. Per ora, Francesco può forse almeno trarre conforto dal fatto che non è certo il primo Papa i cui sforzi per fare la pace sono stati respinti… e, quasi certamente, non sarà l’ultimo.

«“Armi salvavita”. Orwell era un dilettante…» (Martina Pastorelli).

Zelensky voleva spingere nell’angolo il Papa ma la Santa Sede non è stupida
di Marco Politi
Il Fatto Quotidiano, 15 maggio 2023


A memoria d’uomo non era mai successo che un capo di Stato, incontrando il pontefice, aprisse sul tavolo del colloquio un grande quaderno con i punti da specificare.

Dal Papa un leader va per parlare ma anche per ascoltare. Per esporre la propria visione e al tempo stesso accogliere la prospettiva, che viene da una significativa autorità etico-politica certamente priva di divisioni militari e potere economico e tuttavia carica di una memoria secolare. A mente fredda, passato il vertice, appare chiaro che il presidente ucraino non aveva nessuna voglia di ascoltare la parola di Francesco.

«Il linguaggio del corpo dice molto» (Marco Politi)… anche guadando il Papa come osserva il quaderno di Zelensky.

Il linguaggio del corpo dice molto. Al suo arrivo nell’edificio dell’Aula Nervi, dinanzi al pontefice, Zelensky è parso a tratti impacciato come chi non sa esattamente come sedersi, come salutare, come iniziare il discorso. Zelensky sa cosa è un Papa e cosa è questo papa argentino. Ma il suo obiettivo non era uno scambio di idee.

Il suo obiettivo era spingere nell’angolo Bergoglio, sabotare ogni ipotesi di mediazione vaticana, costringerlo a confrontarsi con le richieste pressanti – e propagandistiche – del leader ucraino:
1. Unirsi alla condanna di Putin in quanto criminale,
2. Premere perché sia accettato come unico esito il cosiddetto “piano Zelensky”, che piano di pace non è ma un elenco di condizioni che una Russia in ginocchio dovrebbe essere costretta ad accettare, perché il ricatto delle sanzioni continuerebbe anche dopo la ritirata dell’esercito russo.

Ecco il perché del quadernone piazzato sulla scrivania con i punti bene in vista. Riguardanti in parte materie umanitarie (aiuti alla popolazione, scambi di prigionieri, rimpatrio dei bambini) e soprattutto richieste politiche culminanti nell’assioma che la sola pace è quella imposta da un’Ucraina vittoriosa e nei termini esatti decisi dalla leadership ucraina.

Appare così evidente il fossato tra l’obiettivo di Francesco, orientato ad un cessate il fuoco per favorire una pace negoziata, e l’impostazione di Zelensky. Fossato evidenziato persino dai doni scambiati. Da parte del pontefice la scultura in bronzo di un ramoscello d’ulivo, da parte del presidente icone forgiate nell’odio per il nemico invasore. Una madonna dipinta su una piastra antiproiettile con i colori ucraini sfregiati simbolicamente dai bombardamenti moscoviti e un altro quadro con la madonna che tiene in braccio un Bambino senza volto, tutto nero, “cancellato”: per ricordare i bambini uccisi nel conflitto. Doni per sottolineare che il nemico è barbaro e con lui non si può trattare. E meno che mai si vogliono mediatori non graditi.

Ventiquattr’ore prima dell’arrivo di Zelensky in Vaticano la linea della leadership ucraina era stata tracciata dalle dichiarazioni del consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak: “Non esiste una via di mezzo… C’è un aggressore assoluto, la Russia, venuta per uccidere e distruggere… E c’è l’Ucraina che sta difendendo i propri figli e territori… Qualsiasi tentativo di dire semplicemente ‘fermate la guerra, venite al tavolo dei negoziati’ significherebbe costringere l’Ucraina alla sconfitta”.

Con un corollario esplicitamente all’indirizzo di papa Francesco: “Forse il Vaticano è pronto a dimostrare una comprensione molto più profonda di questi temi. Forse il Vaticano è pronto a riconoscere che la Russia… ha scatenato una grande guerra non provocata”. Uno schiaffo in faccia alla politica della Santa Sede, accusata di non essere capace di analisi adeguate e di non volere riconoscere l’aggressione di Putin. Schiaffi del genere i collaboratori di Zelensky li hanno riservati in passato alla Francia, quando Macron tentava di orientarsi su una linea indipendente, e alla Germania quando Berlino si mostrava restia all’escalation degli armamenti.

Ora tocca al Vaticano. Sabato sera Zelensky in maniera appena un po’ più garbata ha ribadito: “Con tutto il rispetto per Sua Santità, noi non abbiamo bisogno di mediatori”. C’è un solo piano di pace ed è quello ucraino.
Unica reazione vaticana: all’Angelus di domenica il pontefice non ha nominato l’incontro con Zelensky. Segno che non lo ritiene minimamente produttivo ai fini di frenare l’escalation verso un conflitto sempre più sanguinoso e pericoloso.

Da questo punto di vista Francesco è solo in Europa. Germania e Francia hanno rinunciato a svolgere qualsiasi ruolo. La presidente della Commissione europea von der Leyen si presenta ormai lanciata in una retorica guerresca, che sfocia nel paradossale. Ieri ad Aquisgrana, quando a Zelensky è stato conferito il Premio Carlomagno, ha esclamato: “Siamo al fianco del popolo ucraino finché, insieme, non raggiungeremo l’impossibile”.

Alla diplomazia vaticana non sfugge peraltro che il governo di Kyiv può usare questi toni ultimativi soltanto perché si sente protetto direttamente da Washington. Finché negli Stati Uniti si afferma che la pace si fa soltanto alle condizioni stabilite dall’Ucraina, la leadership di Kyiv può giocare continuamente al rialzo.

Il Vaticano insiste però nel rimanere al di sopra dei contendenti. Francesco non ha nessuna intenzione di regredire ai tempi di Pio XII, quando la Chiesa era protagonista della Guerra fredda. Francesco preferisce che oggi la Santa Sede sia dalla parte di quegli Stati (la maggioranza della popolazione mondiale), che vogliono chiudere il conflitto e ritengono superata l’idea di una egemonia unipolare sul pianeta.

È sintomatico che in una recente intervista al giornale dei vescovi Avvenire il capo della chiesa greco-cattolica ucraina mons. Shevciuk abbia sottolineato che il governo ucraino “non capisce l’idea di una conferenza (mondiale, con tutti i nuovi protagonisti della scena internazionale) sintetizzata nella formula Helsinki-2”. È singolare questa antipatia di Kyiv verso una conferenza internazionale per stabilire le nuove regole di convivenza del pianeta nel XXI secolo. Ma l’apparente stranezza si spiega se si guarda a Washington, che non ne vuole sentire parlare.

Nel grande risiko geopolitico apertosi con la guerra d’Ucraina, Zelensky e i suoi protettori forse sottovalutano la lucidità di una potenza disarmata, che da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II, da Paolo VI a Francesco ha dimostrata di non essere proprio stupida nel valutare le dinamiche internazionali.

Se Zelensky ignora il Papa, ci aspettano disastri: nucleare o decenni di guerra fredda
di Stefano Briganti
Il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2023


Il 13 maggio è una data da far ricordare ai posteri. Una data che si aggiunge al 22 settembre 2022 (Zelensky: “L’Ucraina non negozierà con la Russia finché Vladimir Putin ne sarà il Presidente”), al 23 novembre 2022 (la Unione Europea dichiara la Russia sponsor del terrorismo), al 21 marzo 2023 con il rigetto da parte degli USA della iniziativa cinese per la pace, al 5 maggio 2023 (Borrell: “Questo non è il momento di conversazioni diplomatiche sulla pace. È il momento di sostenere la guerra”).

Il 13 maggio Zelensky ha seccamente rifiutato la proposta di Papa Francesco per un cessate il fuoco e dare inizio ad una mediazione per la pace. L’“Occidente cristiano” ha ignorato il fatto e ha risposto con altre armi a Kiev. Vengono in mente la famosa frase di Stalin rivolta al Papa che intervenne durante il trattato di Yalta: “Quante divisioni ha il Papa?” e, più recentemente, quella di George Bush jr. che all’appello di Papa Giovanni Paolo II a non invadere l’Iraq, rispose: “Non mi farò influenzare dal Papa”.

Oggi è ancora più evidente che l’“alleanza occidentale” non cerca e non vuole una pace negoziata. Se non si vuole discutere di altro se non i “10 punti di Zelensky”, se Zelensky non vuole negoziare con Putin al potere, se la Unione Europea non può negoziare avendo etichettato la Russia come uno Stato con il quale non si può negoziare (Stato terrorista), se a nessuno è concesso il ruolo di mediatore, allora non può esserci alcuna pace che non passi per una resa incondizionata. Solo così infatti non c’è bisogno di alcuna negoziazione per giungere ad una tregua, perché il vinto non può porre condizioni da negoziare col vincitore che impone le sue e basta. È questo l’approccio di Zelensky e di chi lo sostiene.

Sappiamo che la Russia ora considera questa guerra come esistenziale e il cui esito deciderà della Federazione Russa come la conosciamo oggi. Questo non va dimenticato e perciò andrebbe letto il discorso di Putin alla Duma e alla Nazione del 21 febbraio. Putin fa sapere al mondo e al suo popolo che non potrà esserci una resa incondizionata da parte della Russia perché questo significherebbe la fine della Federazione.

Qual è dunque la “scommessa” di Kiev e dei suoi “alleati”? Quella che non viene detta. Che Mosca, all’angolo e con nessuna apertura negoziale, preferisca la sconfitta piuttosto che passare alle armi nucleari tattiche. Fintanto che la Russia ha armi convenzionali da usare, la guerra proseguirà magari per anni. Mosca è frenata dall’utilizzare armi non convenzionali solo dalla Cina che condanna l’uso di armi nucleari. Ma se la Cina, vedendo rigettati i suoi sforzi diplomatici, prendesse con Mosca la stessa posizione che gli USA hanno preso con Kiev (“Questa è la guerra dell’Ucraina e sta a lei decidere come difendersi”) o se Mosca venisse attaccata, allora le cose cambierebbero.

Quando Putin deciderà che non ci sarà altra scelta per la Russia che passare all’uso di armi nucleari tattiche sull’Ucraina, davvero Zelensky si aspetterà un intervento nucleare sulla Russia (che ha 6000 testate nucleari), da parte di Usa-Nato e relativa Terza guerra mondiale nucleare? Si parla di “vittoria” riferendosi sempre a Kiev. E se ce ne fosse una nucleare di Mosca su Kiev?

Oggi, il futuro dell’Europa è appeso alla scommessa fatta da “scommettitori” che dicono di aver a cuore il continente e chi lo abita. Se l’azzardo farà perdere la scommessa e la radioattività si stenderà su mezza Europa e su un decimo della Russia, allora per gli europei sarà “dolore e stridor di denti”. Se invece la scommessa sarà vinta, all’Europa toccheranno decenni di iper Guerra Fredda con odi e rancori al di la e al di qua dei confini russi. In entrambi i casi, disastrosi, a nulla varrà dire: “Colpa di Putin, ma noi siamo stati fermi nel non negoziare mai una pace con lui neppure se a chiederla era la voce del Papa”.

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