Cardinal Müller a Sant’Agnese in Agone: «Solo in Cristo possiamo riporre la nostra speranza nella vita e nella morte»

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 29.01.2023 – Vik van Brantegem] – Sabato 21 gennaio 2022 alle ore 19.00, il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, Diacono del titolo di Sant’Agnese in Agone, Prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, Balì Gran Croce di Giustizia e Gran Priore del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio ha presieduto in Roma, presso la chiesa a piazza Navona di cui è titolare, la solenne Liturgia Eucaristica nell’annuale ricorrenza della memoria liturgica di Sant’Agnese, una delle prime martiri cristiane.

Concelebranti il Rettore, Mons. Paolo Schiavon, Vescovo titolare di Trevi, Vescovo ausiliare emerito di Roma, e sacerdoti della Diocesi di Roma, tra cui alcuni Cappellani della Sacra Milizia. Ha animato la Liturgia il Coro di Sant’Agnese in piazza Navona. Ha partecipato una rappresentanza della Delegazione di Roma e Città del Vaticano del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. Tra i Cavalieri intervenuti per l’occasione, il Delegato Principe Flavio Borghese, Cavaliere di Gran Croce di Giustizia, Vice Presidente Vicario della Real Commissione per l’Italia; S.A.S. il Principe Maurizio Ferrante Gonzaga del Vodice di Vescovato, Cavaliere di Gran Croce di Giustizia; il Marchese Marco Leone di Cusano, Cavaliere di Giustizia; il Delegato Vicario, Prof. Giuseppe Schlitzer, Cavaliere di Gran Croce di Merito; il Segretario Generale, Dott. Michele Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca.

Nella sua omelia – di cui riportiamo in seguito il testo integrale – incentrata sull’esempio della 12enne martire Sant’Agnese per i giovani di oggi, il Cardinal Müller ha osservato: «Qualcuno potrebbe dire: perché dovrebbe interessarmi una ragazza dell’antico periodo romano? In un modo o nell’altro, questa piccola Agnese sarebbe morta, perché la nostra vita terrena dura in media 70-80 anni. Ma in qualunque secolo le persone vivano, siano esse giovani o vecchie, sane o decrepite, prima o poi sono portate davanti al giudizio finale di Dio: non è questa la questione cruciale. La cosa importante è che l’amore per Cristo ci salva dalla morte e dalla mortalità, mentre morire senza speranza in Dio ci fa precipitare nella più profonda disperazione».

Citando le ultime parole di Papa Benedetto XVI prima di morire – “Signore, ti amo!” – il Cardinal Müller ha sottolineato: «Non è la ricerca dei beni effimeri del mondo che ci rende felici. Né le ideologie comuniste né quelle transumaniste potrebbero produrre un paradiso terrestre né salvare il nostro pianeta dal cambiamento climatico. Gesù ci libera da ogni ansiosa preoccupazione. Ci dà la pace interiore e la fiducia del cuore».

Sant’Agnese dell’incisore Maestro del Monte degli Ulivi, 1463 – 1500, incisione su carta colorata a mano, 59×37 mm, Fondo August Dutuit, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma.

«21 gennaio, Sant’Agnese martire. Anche oggi, in alcune parti del mondo, la fede dei nostri fratelli cristiani arriva fino al martirio del sangue» (Cardinale Angelo Scola).

Il tesoro per il quale un cristiano deve saper vendere tutto è l’amore di Dio: come San Paolo anche noi siamo certi che nulla potrà separarcene. Sant’Agnese ci mostra oggi la vittoria dell’amore. Ma qual è questa vittoria? L’amore di Dio secondo san Paolo è l’amore cristiano cioè mai separato dall’amore del prossimo ed è bellissimo vederlo nei martiri. Malgrado le persecuzioni essi non sono mai venuti meno a questo amore più forte dell’odio. In modo speciale essi hanno riportato la vittoria dell’amore sull’odio non rinunciando mai ad amare i loro persecutori. Durante il periodo in cui la guerra infuriava nel Libano, un giovane cristiano di 22 anni scrisse una lettera un mese circa prima di essere ucciso. Stava preparandosi al sacerdozio e nella previsione di poter morire, scrisse ai suoi familiari: “Ho una sola cosa da chiedervi: perdonate di cuore a quelli che mi avranno ucciso; domandate con me che il mio sangue serva come riscatto per il Libano, come offerta per la pace, per l’amore che sono scomparsi nel nostro paese e nel mondo; che la mia morte insegni agli uomini la carità. Signore vi consoli. Io non rimpiango questo mondo ma mi rattrista il pensiero della vostra tristezza. Pregate, pregate e amate i vostri nemici”. È una testimonianza viva della vittoria dell’amore cristiano. Ringraziamo il Signore di farci conoscere che anche oggi i cristiani muoiono come Gesù perdonando chi li uccide; preghiamo per i cristiani che sono tuttora perseguitati e domandiamo di poter essere promotori di unità con la carità che supera ogni odio.

Juan Vicente Massip, Martirio di Sant’Agnese, 1540, olio su tavola, 58 x 58 cm, Museo del Prado, Madrid.

Agnese nacque a Roma da genitori cristiani, di una illustre famiglia patrizia, nel III secolo. Quando era ancora dodicenne, scoppiò una persecuzione e molti furono i fedeli che s’abbandonavano alla defezione. Agnese, che aveva deciso di offrire al Signore la sua verginità, fu denunciata come cristiana dal figlio del prefetto di Roma, invaghitosi di lei ma respinto. Fu esposta nuda al Circo Agonale, nei pressi dell’attuale piazza Navona. Un uomo che cercò di avvicinarla cadde morto prima di poterla sfiorare e altrettanto miracolosamente risorse per intercessione della santa. Gettata nel fuoco, questo si estinse per le sue orazioni, fu allora trafitta con colpo di spada alla gola, nel modo con cui si uccidevano gli agnelli. Per questo nell’iconografia è raffigurata spesso con una pecorella o un agnello, simboli del candore e del sacrificio. La data della morte non è certa, qualcuno la colloca tra il 249 e il 251 durante la persecuzione voluta dall’imperatore Decio, altri nel 304 durante la persecuzione di Diocleziano.

Di lei nell’inno Agnes Beatae Virginis scrive sant’Ambrogio:

«In morte vivebat pudor
vultumque texerat manu
terram genu flexo petit
lapsu verecundo cadens
»

(La pudicizia viveva anche nella morte
si coprì il volto con la mano
cadde a terra in ginocchio
e fu vereconda anche nel cadere).

Il suo nome è inserito nel Canone romano. Nel Martirologio romano è riportato su di lei lo scritto di San Girolamo: «Memoria di sant’Agnese, vergine e martire, che, ancora fanciulla, diede a Roma la suprema testimonianza di fede e consacrò con il martirio la fama della sua castità; vinse, così, sia la sua tenera età che il tiranno, acquisendo una vastissima ammirazione presso le genti e ottenendo presso Dio una gloria ancor più grande; in questo giorno si celebra la deposizione del suo corpo».

Nel giorno della sua memoria, il 21 gennaio, la liturgia riporta questa antifona al Magnificat: «Stans beata Agnes in medio flammae, expansis manibus, orabat ad Dominum: Omnipotens, adorande, colende, tremende, benedico te et glorifico nomen tuum in aeternum» (Sant’Agnese, in piedi in mezzo al fuoco, aprendo le mani, pregava il Signore: Onnipotente, degno di adorazione, di lode e di timore, benedico te e glorifico il tuo nome in eterno).

L’altare maggiore della chiesa di Sant’Agnese in Agone fu eseguito fra il 1720 e il 1724 su un progetto di Carlo Rainaldi ed accoglie la pala Sacra Famiglia di Domenico Guidi. L’elevazione dell’altare è costruita su quattro colonne scanalate in marmo verde antico provenienti dall’Arco di Marco Aurelio al Corso; le colonne terminano con capitelli compositi in marmo dorato a foglia, che sorreggono la trabeazione ad andamento curvilineo. Il timpano è sormontato da due angeli in stucco che recano la colomba con la palma simbolo del martirio. Al centro, tre angeli che sostengono il cartiglio con la scritta tratta dal Vangelo “tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni”, frase che si ricollega anche a Giovanni Battista Pamphilj il quale volle che l’altare fosse dedicato al santo di cui portava il nome. Inizialmente l’altare doveva essere dedicato a Sant’Agnese e la pala doveva contenere il miracolo di Sant’Agnese che fa resuscitare con la preghiera Procopio ucciso dal diavolo. In seguito alla morte di Alessandro Algardi, al quale era stata affidata la realizzazione, Ercole Ferrata e Domenico Guidi furono incaricati di realizzare il modello grande in stucco conforme a quello preparato dall’Algardi. In seguito però, si decise di dedicare alla santa non più l’altare absidale ma la cappella nel lato nord, e si decise di dedicare la pala absidale alle due Sacre Famiglie (quella di Maria, Giuseppe e Gesù e quella di Elisabetta, Zaccaria e Giovanni). Al centro della composizione il piccolo Giovanni Battista mostra a Gesù un cartiglio arrotolato. Gesù, sostenuto dalla Vergine alle sue spalle, viene inondato dalla luce dello Spirito Santo. In alto, cherubini, angeli e putti svolazzano tra ramoscelli di ulivo e porgono grappoli di datteri.

La chiesa di Sant’Agnese in Agone [QUI] si trova in piazza Navona a Roma, nel luogo dove, secondo la leggenda, Sant’Agnese avrebbe subito il martirio.

La chiesa ebbe un primo progetto disegnato nel 1652 da Girolamo Rainaldi (1570-1655) in stile barocco. Il committente fu Papa Innocenzo X Pamphili, il cui monumento funebre si trova all’interno della chiesa. La famiglia aveva ampi possedimenti nella piazza e la chiesa doveva essere una specie di cappella privata annessa al palazzo di famiglia che si trova accanto.

Negli anni 1653-1657 i lavori proseguirono sotto la direzione di Francesco Borromini. Borromini cambiò in parte il progetto originario; tra le altre cose aumentò la distanza tra le due torri integrate nel prospetto ed ideò l’impostazione della facciata concava per dare più risalto alla cupola.

Nel 1672 la costruzione fu completata da Carlo Rainaldi (1611-1691), il figlio dell’architetto che aveva cominciato i lavori.

La facciata della chiesa, caratterizzata dal suo arretramento nella parte centrale e dalle parti laterali curve, è in mezzo ai due campanili, entrambi culminanti con una copertura conica recante delle croci. Nella facciata, priva di decorazioni all’infuori delle ghirlande fra le lesene, si aprono tre portali, con il centrale più grande rispetto agli altri.

La cupola, opera di Giovanni Maria Baratta (tamburo) e di Carlo Rainaldi (lanterna), è decorata alla base da coppie di pilastri corinzi alternate ai finestroni rettangolari. I pennacchi della cupola, dipinti fra il 1667 e il 1671 da Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio, sono dedicati alle quattro virtù cardinali; l’affresco della cupola, invece, opera di Ciro Ferri e di Sebastiano Corbellini che lo portò a termine, raffigura Sant’Agnese introdotta alla Gloria del Paradiso.

All’interno la chiesa presenta una pianta a croce greca; i quattro corti bracci della navata, dell’abside e dei transetti, riccamente decorati con stucchi dorati nelle volte si incontrano nell’ottagono centrale, in cui si trovano quattro altari dedicati a Sant’Alessio, Santa Ermenziana, Sant’Eustachio e Santa Cecilia, con pale marmoree e statue rispettivamente di Giovanni Francesco Rossi, Leonardo Reti, Melchiorre Cafà e Antonio Raggi. Le colonne che li riquadrano sono in marmo rosso di Cottanello. I transetti sono dedicati a Sant’Agnese e a San Sebastiano. Le prospettive accelerate marmoree sono di Costanzo de Peris.

Omelia del Cardinale Gerhard Ludwig Müller
Chiesa di Sant’Agnese in Agone, 21 gennaio 2023

Recentemente un buon amico mi ha chiesto di scrivere un libro per i giovani per riconquistarli a Cristo.

Come tutti i veri cattolici, egli è preoccupato per la lenta agonia del Cristianesimo europeo nei cuori e nelle menti di molti che sono stati fedeli a Cristo e alla sua Chiesa. È un dato di fatto che i nostri giovani – che lo vogliano o no – stanno crescendo oggi in una civiltà materialista dove contano solo il denaro e il godimento sensuale della vita. L’essenza di un riferimento a Cristo è la negazione di qualsiasi destino umano superiore. Nella visione materialista l’uomo è solo un prodotto dell’evoluzione, che presto lascerà indietro la nostra specie con un salto nell’intelligenza artificiale di un avatar che non ha più bisogno di basi biologiche.

Un’ideologia anticristiana nella politica e nei media persuade costantemente le persone che la fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato e l’unico Salvatore del mondo, è una sopravvivenza del Medioevo e appartiene al museo della storia religiosa. Le persone di oggi se la cavano molto meglio nella loro vita senza Dio e la Chiesa. La salvezza da tutti i mali che un tempo i nostri antenati si aspettavano da Dio, ora potremmo ottenerla da noi stessi con l’aiuto della scienza e della tecnologia moderne.

L’unico modo per convincere le persone riguardo a Cristo con i libri forse è far vedere loro che seguire Cristo ci conduce effettivamente dalla sofferenza e dalla morte alla gloria della risurrezione.

Si può ricordare a questo punto Joseph Ratzinger Cardinale Prefetto e Papa e il suo dialogo ad alto livello con Paolo Flores d’Arcais e Piergiorgio Odifreddi. Tuttavia, questi portavoce del neoateismo italiano avevano tentato invano di dimostrare la superiorità della loro ragione scettica sulla ragione illuminata dalla fede di uno dei grandi intellettuali cattolici.

La ragione giunge alla certezza della fede quando trascende sé stessa nell’amore e diventa una cosa sola con Dio. Il Cristianesimo è la religione della ragione divina. Il Logos è la parola in cui Dio si riconosce e si comunica a noi come verità e vita. E poiché Dio è Spirito nella verità e nell’amore, non può essere vinto dalla ragione limitata dell’uomo mortale. Deus semper maior.

Nel suo Testamento spirituale, il defunto Papa affronta ancora una volta il rapporto tra fede e ragione, che attraversa tutta la sua opera teologica. Tutti i risultati delle moderne scienze naturali, della storia e della filosofia non scuotono mai la certezza che ogni essere umano nella vita e nella morte può riporre tutta la sua speranza solo in Dio. Il Dio in cui crediamo non è un costrutto dei nostri pensieri e desideri, ma il Dio vivente fatto uomo in suo Figlio Gesù Cristo. Noi lo adoriamo come nostro Salvatore e Signore.

La verità cristiana non sta in piedi e cade come le innumerevoli teorie e ipotesi sempre contraddittorie sull’uomo e sul mondo.

Piuttosto, essere cristiani significa rendere testimonianza della fede che ogni essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio. Ecco perché ci rivolgiamo direttamente con Dio nelle nostre preghiere, nelle nostre speranze e sofferenze. Il nostro ego ha una controparte nel fatto che ci è permesso parlare al nostro Padre celeste. Destinati dall’eternità alla vita eterna nel Figlio suo, giustamente siamo chiamati figli e amici Dio. Non è la ricerca dei beni effimeri del mondo che ci rende felici. Né le ideologie comuniste né quelle transumaniste potrebbero produrre un paradiso terrestre né salvare il nostro pianeta dal cambiamento climatico. Gesù ci libera da ogni ansiosa preoccupazione. Ci dà la pace interiore e la fiducia del cuore: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia; allora tutto il resto ti sarà aggiunto» (Mt 6,33).

Joseph Ratzinger ci ha dato una testimonianza personale sul letto di morte che la fede non è solo una visione del mondo o un gioco intellettuale. Il cristiano può affidare con fiducia la sua vita nelle mani di Dio. Morendo, come Gesù sulla croce, può raccomandare l’anima e lo spirito al Padre, pregandolo: “Signore, ti amo!”.

La santa che oggi veneriamo era una bambina di 12 anni. Non ci ha lasciato libri, solo la sua personale testimonianza di fede. Durante la loro breve vita nel III secolo, i cristiani furono soggetti a severe persecuzioni di stato in tutto l’Impero Romano, e specialmente qui nella capitale. Gli intellettuali disprezzavano i cristiani come marmaglia superstiziosa e intellettualmente ignorante. Le masse popolari amavano il pane gratis e i sanguinosi giochi di gladiatori. Ma odiavano i cristiani come un rimprovero vivente alla loro selvaggia avidità di distrazione e dolce vita.

La bella fanciulla avrebbe dovuto solo rinunciare alla sua fede nell’unico e vero Dio in favore dei suoi tanti idoli, come loro credevano. Quindi una vita di lusso e divertimento l’avrebbe attratta. Ma ha preferito morire per Cristo e mantenere la sua castità in un ambiente sessuato. È così che San Ambrogio di Milano descrive in modo così impressionante il suo martirio nel suo De virginibus (I, 5-9). Il sanguinoso martirio è avvenuto qui, sul sito di questa chiesa, dove prima c’era un ippodromo. E 1.700 anni dopo, noi cristiani ricordiamo la sua morte per e in Cristo, che la incoronò con la doppia corona di vergine e di martire.

Qualcuno potrebbe dire: perché dovrebbe interessarmi una ragazza dell’antico periodo romano? In un modo o nell’altro, questa piccola Agnese sarebbe morta, perché la nostra vita terrena dura in media 70-80 anni. Ma in qualunque secolo le persone vivano, siano esse giovani o vecchie, sane o decrepite, prima o poi sono portate davanti al giudizio finale di Dio: non è questa la questione cruciale. La cosa importante è che l’amore per Cristo ci salva dalla morte e dalla mortalità, mentre morire senza speranza in Dio ci fa precipitare nella più profonda disperazione.

Sant’Atanasio di Alessandria, che fu esiliato cinque volte dagli imperatori ariani per aver creduto nella divinità di Cristo, scrisse nel suo libro Sull’incarnazione del Logos (n. 29): “Quando si vede come uomini e donne e anche teneri i bambini vanno incontro alla morte con gioia per amore della fede cristiana, chi sarebbe così incredulo e spiritualmente accecato da non comprendere che Cristo stesso, nel segno della sua croce, dà loro la vittoria sulla morte?”.

Sant’Agnese, sii per i nostri giovani un esempio di fede in Gesù Cristo. Solo in Lui possiamo riporre la nostra speranza nella vita e nella morte. Amen.

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