Il paradosso di Benedetto XVI

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Sua Santità il Papa emerito Benedetto XVI nell’ultimo giorno del 2022 ha terminato il suo cammino terreno “in pellegrinaggio verso Casa”. Questa mattina, alle ore 07.00 è stato traslato dal Monastero Mater Ecclesiae nella Basilica Papale di San Pietro in Vaticano, dove alle ore 07.15 si è svolto il breve rito presieduto dal Cardinale Mauro Gambetti, Arciprete della Basilica di San Pietro. Poi è stata ultimata la preparazione della Basilica per l’arrivo dei fedeli per dare il saluto al Papa emerito. Oggi, la Basilica resterà aperta fino alle ore 19.00. Martedì e mercoledì, 3 e 4 gennaio la Basilica resterà aperta dalle ore 07.00 alle 19.00. I funerali presieduti dal Santo Padre Francesco verranno celebrati in Piazza San Pietro giovedì 5 gennaio alle ore 09.30. «Abbiamo guardato a Benedetto XVI con speranza. Apparteneva alla vecchia era, ma la nuova non era ancora cominciata. Ed è ora di iniziare a costruirla, usando bene i suoi insegnamenti», conclude l’amico e collega la sua breve analisi – guardando al dopo-Benedetto XVI – sul perché ritiene che era un paradosso.

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 02.01.2023 – Andrea Gagliarducci] – Probabilmente non eravamo pronti per un Papa come Benedetto XVI. Perché Benedetto XVI ha cercato di proiettare la Chiesa su un altro piano, fuori dagli steccati imposti dalla società e dal dibattito comune. La sua ricerca di Dio lo ha portato a guardare oltre le mode del tempo, cercando di trovare il senso profondo di tutte le cose. E sì, non eravamo abituati a questa ricerca della verità rivolta a Dio.

Parliamoci chiaro: Giovanni Paolo II è stato un mistico prima di essere un Papa, capace di concentrarsi su ogni situazione e di recitare il Rosario; Paolo VI era un asceta del pensiero, tormentato dai problemi di una Chiesa da portare nel mondo; Giovanni XXIII era molto legato alle forme e alle tradizioni romane come solo i contadini dalla ferma fede sanno fare. E potrei tornare indietro nel tempo per mostrare che tutti i Papi prima di Benedetto XVI avevano la loro forma mistica, il loro ascetismo.

Benedetto XVI, però, ha chiesto un passo ulteriore. Benedetto XVI ha voluto che la fede si nutrisse della ragione. Anzi, come diceva la Lettera di San Pietro, saper dare le ragioni della speranza. Nello stesso tempo, però, Benedetto XVI ha predicato una fede umile, sicura, piena di gioia per l’incontro con il Risorto, e fiducioso che quell’incontro ci sia stato. La grande battaglia di Benedetto XVI non è stata, quindi, contro il secolarismo, un male esterno alla Chiesa, con cui poteva discutere e avere disaccordi. La sua grande battaglia fu invece contro i nemici interni della Chiesa stessa. Era una battaglia contro nemici subdoli. Benedetto XVI era preoccupato, fin dagli anni Cinquanta, dal neopaganesimo, dai Cristiani che si proclamavano Cristiani senza vivere da Cristiani. Così la sua preoccupazione divenne quella dei Cristiani che non credevano più nel Cristianesimo e arrivarono persino a mettere in discussione le loro verità storiche di fede.

Era uno studioso, Benedetto XVI. Da studioso, però, sapeva che la verità non si poteva possedere, e la realtà non si poteva spacchettare se non a prezzo di renderla un po’ meno veritiera. Tutto si tiene insieme in uno strano equilibrio del cosmo che può venire solo da Dio. Così Benedetto XVI critica il metodo storico – una critica che arriva anche a mettere in discussione il Vangelo, e ha scritto una trilogia di libri su Gesù di Nazareth che vuol dire questo: il Vangelo non è solo un libro simbolico che racconta una fede astratta, ma è un vero libro con una storia verificabile. E Gesù non può essere quel personaggio adottato e sfruttato in nessuna forma, e non può essere letto solo in chiave simbolica. Invece è un personaggio storico, un Dio che si fa carne e sangue e ha una storia precisa, lineare, non simbolica ma reale.

C’è già uno straordinario paradosso perché il Papa, che più di tutti cerca di spiegare la fede con la ragione, poi ancorare la stessa fede alla vita concreta, a una storia che è la Storia. La fede della ragione è la fede dei semplici, la fede di chi crede per davvero. Probabilmente è un passaggio rivoluzionario che supera le dicotomie tra popolo ed élite, come solo il Cristianesimo sa fare. Tuttavia, questo passaggio supera anche i contrasti tra tradizionalisti e progressisti. Va oltre ogni ideologia. L’obiettivo di Benedetto XVI, infatti, era creare concordia, non contrapposizione.

Lo si vede in tante decisioni di governo, anche quelle meno comprese, di Benedetto XVI da Papa. Come nella liberalizzazione della celebrazione del rito antico, fatta per creare unità e non divisione, superare le contrapposizioni e cercare l’armonia tra due posizioni diverse. Ma anche come nelle decisioni diplomatiche, a cominciare da quelle sulla Cina, che prevedevano un chiaro annuncio della verità, ma anche un dialogo costante partendo da basi solide, senza mai cedere né fare concessioni.

Tutto in Benedetto XVI doveva avere uno scopo, e doveva riflettere lo scopo della Chiesa. Ad esempio, la riforma delle finanze vaticane è stata fatta nel rispetto della missione della Chiesa (e la Santa Sede lo dichiara esplicitamente nel rapporto MONEYVAL), e la riforma di Caritas Internationalis è stata fatta con l’idea di essere coerente con i valori che la Chiesa predicava.

Non c’è scelta, neanche la minima, che non parta da un’idea precisa di Benedetto XVI, e non c’è idea che non parta dalla coscienza Cristiana e in definitiva dalla venuta di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Probabilmente tutto questo era troppo in tempi in cui la religione è considerata quasi un orpello e quando pensare in termini astratti diventa un problema. La realtà non si può più formare partendo da un’idea perché sembra non ci siano i mezzi. Da qui nasce il secolarismo, l’avversione per una religione che gli uomini di oggi fanno fatica a comprendere. Devozione, sì. Irrazionalità, sì. La fede nutrita dalla ragione, no, è troppo difficile. È la visione con cui Benedetto XVI si è confrontato lungo tutta la sua vita. L’uomo non solo può pensare in grande, ma è chiamato a farlo, non semplificando ma contemporaneamente essendo semplice. L’uomo è chiamato a vivere per grandi idee e non per piccoli risultati. E fede, la certezza della risurrezione, è forse l’idea più incredibile mai vissuta dall’uomo.

Il problema non era Benedetto XVI. Il problema era invece una Chiesa che non credeva più o credeva troppo in se stessa. Da qui l’invito di Benedetto XVI alla smondanizzazione e a sfruttare il carattere provvidenziale delle tendenze di secolarizzazione che hanno permesso una Chiesa più libera e più vera. E così la profezia di Ratzinger di una Chiesa che sarà costretta ad abbandonare le strutture del potere e diventerà più piccola, quasi insignificante. Ma è stata una profezia positiva perché Benedetto XVI ha sottolineato che il mondo poi guarderà con speranza ai pochi Cristiani rimasti che hanno creduto veramente.

Abbiamo guardato a Benedetto XVI con speranza. Apparteneva alla vecchia era, ma la nuova non era ancora cominciata. Ed è ora di iniziare a costruirla, usando bene i suoi insegnamenti.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stata pubblicato oggi dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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