Processo “a ritmo glaciale” in Vaticano. Linee guida per comprendere quello che è successo per ora. L’importanza nei dettagli: il progetto di “social housing” a Londra

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 27.11.2022 – Vik van Brantegem] – In questa Prima Domenica di Avvento, in attesa del Santo Natale, facciamo il punto sul processo 60 SA (in riferimento alla questione centrale, il palazzo al numero 60 di Sloane Avenue di Londra, ufficialmente Procedimento penale n. 45/2019 RGP), il maxiprocesso al Tribunale vaticano di primo grado sulla gestione finanziaria della Segreteria di Stato, che si è abbattuto come una tempesta perfetta sulla Curia romana. Ha creato soprattutto scandalo nel Popolo di Dio, non solo per i presunti reati, ma – in modo crescente – per il modo in cui vengono giudicato e per l’amministrazione della giustizia nello Stato della Città del Vaticano (S.C.V.), tradotto popolarmente come: Se Cristo Vedesse.

Piuttosto la domanda deve essere, andando oltre la battuta amara: Se Dio NON Vedesse, come ha osservato Sant’Agostino nel Discorso 151, dalle parole dell’apostolo (1 Cor 6.9-10; 15; 19): «Si deve fuggire l’immoralità. L’uomo immorale offende Cristo. (…) dopo che il Signore ha suscitato timore e lo ha inculcato con forza e ha duplicato la minaccia ripetendo la parola, che starò a dire da parte mia? Temi a sproposito? Non dirò di tali cose. Devi proprio temere, niente si teme con più vantaggio; non c’è nulla che tu debba temere di più. Ma ti domando: Se Dio non ti vedesse, quando compi il male, né alcuno potesse accusarti al giudizio di lui, lo faresti? Esàminati».

Omnia omnibus ubique

Sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 437 del 3 luglio 2021, con il Comunicato della Sala Stampa della Santa Sede fu reso noto, che con decreto in quella data, il Presidente del Tribunale vaticano aveva disposto la citazione a giudizio degli imputati (9 + 1 + 4 società): René Brülhart, Mons. Mauro Carlino, Enrico Crasso, Tommaso Di Ruzza, Cecilia Marogna, Raffaele Mincione, Nicola Squillace, Fabrizio Tirabassi, Gianluigi Torzi, con l’aggiunta del Cardinale Giovanni Angelo Becciu (“nei cui confronti si procede, come normativamente previsto, per i reati di peculato ed abuso d’ufficio anche in concorso, nonché di subornazione”: da ricordare tutto presunto, per cui il Cardinal Becciu si è sempre dichiarato innocento e in 38 Udienza non è uscito neanche un’ombra di prova). Le 4 società sono: HP Finance LLC, Prestige Family Office SA e Sogenel Capital Investment (riferibile ad Enrico Crasso); e Logsic Humanitarne Dejavnosti, D.O.O. (riferibile a Cecilia Marogna).

Lo pseudo pentito, diventato collaboratore di giustizia Mons. Alberto Perlasca, che era indagato, non è stato rinviato a giudizio e non è stato imputato e assunto dall’accusa come testimone principale, «sostanzialmente ha incolpato tutti nel sistema – sia chi stava sopra di lui che sotto di lui, ma non se stesso – per quello che è andato storto e», ha scritto John L. Allen Jr. su Crux.

Nato a Como il 21 luglio 1960, Mons. Alberto Perlasca nel mese di ottobre 2003 era stato assunto presso l’Ufficio Giuridico della Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato e incorporato nel Servizio Diplomatico della Santa Sede. Da aprile 2006 fino a maggio 2008 ha lavorato nella Nunziatura Apostolica in Argentina. È poi rientrato in Segreteria di Stato presso l’Ufficio Amministrativo, del quale è stato Responsabile dal mese di luglio 2009, per 10 anni, fino a quando Papa Francesco lo ha nominato Promotore di Giustizia sostituto presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. È stato Membro dei Consigli di Amministrazione del Fondo Pensioni, del Fondo Assistenza Sanitaria e dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù; inoltre del Collegio dei revisori della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI. Ha ricoperto diversi incarichi, tra i quali Consultore della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Mons. Perlasca si è mantenuto sempre attivo nell’ambito canonico, partecipando, tra l’altro, a diverse attività accademiche.

Il Comunicato del 3 luglio 2021 informò inoltre, che le indagini erano state avviate nel luglio 2019 su denuncia dell’Istituto per le Opere di Religione e dell’Ufficio del Revisore Generale. Le indagini – sottolineava il Comunicato – hanno visto piena sinergia tra l’Ufficio del Promotore di Giustizia e la Sezione di Polizia giudiziaria del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano. Inoltre, che le attività istruttorie erano state compiute altresì in stretta e proficua collaborazione con la Procura di Roma ed il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria – G.I.C.E.F. della Guardia di Finanza di Roma, aggiungendo che era stata apprezzabile anche la cooperazione con le Procure di Milano, Bari, Trento, Cagliari e Sassari e le rispettive sezioni di polizia giudiziaria. Poi, il Comunicato informa anche che le attività istruttorie furono svolte anche con commissioni rogatoriali in numerosi altri Paesi stranieri (Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Jersey, Lussemburgo Slovenia, Svizzera).

Il processo, che dal 27 luglio 2021 con la 1ª Udienza si sta trascinando “a ritmo glaciale” nell’aula bunker allestito presso la sala plurifunzionale dei Musei Vaticani, è stato aggiornato il 25 novembre 2022 dopo la 38ª Udienza, in attesa dei prossimi appuntamenti: la terza parte dell’interrogazione di Mons. Alberto Perlasca continuerà il 30 novembre (con la speranza che nel frattempo si ricorda di quello che sa e evita la denuncia per falsa testimonianza); il 1° dicembre sarà escusso il Direttore generale dello IOR Gianfranco Mammì (la cui denuncia avviò le indagini nel luglio 2019); poi, nella successiva udienza, anche l’Avvocato Giovannini, che con l’Avvocato Intendente era intervenuto nella transazione con Gianluigi Torzi (persone considerate di totale fiducia, ha detto Mons. Perlasca, perché presentate da Mario Milanese, Presidente della Cooperativa OSA e amico del Papa, una amicizia che Milanese – quando ha testimoniato lo scorso 10 novembre [35ª Udienza QUI] – ha detto di aver “pagato”).

Linee guida per comprendere il processo – «Le ultime tre udienze del processo per la gestione di fondi della Segreteria di Stato [36ª del 23 novembre 2022 QUI, 37ª del 24 novembre 2022 QUI e 38ª del 25 novembre 2022 QUI] portano una serie di storie che vanno comprese», osserva Andrea Gagliarducci, vaticanista di ACI Stampa e analista vaticanista per ACN, ambedue agenzie del gruppo statunitense EWTN, cura i blog personali Monday Vatican e Vatican Reporting, membro della redazione di Korazym.org.

Processo “a ritmo glaciale” – «ll “processo del secolo” del Vaticano stabilisce nuovi standard per il surreale», osserva John L. Allen Jr., Direttore di Crux, autorevole analista vaticanista senior della CNN, decano dei vaticanisti statunitensi, “il più autorevole scrittore di affari vaticani in lingua inglese”, “il giornalista a cui altri cronisti – e non pochi cardinali – guardano per il racconto interno su come tutti gli uomini del papa dirigono la chiesa più grande del mondo”, “il suo lavoro è ammirato al di là delle divisioni ideologiche”.

Processo di fango – «Continua la demolizione del Card. Becciu senza che emergano reati. Solo fango. Le dichiarazioni di Perlasca in realtà non confermano le accuse a Becciu», rileva il Direttore di Faro di Roma, che scrive sotto lo pseudonimo di Sante Cavalleri, vaticanista di lungo corso, prima per il SIR dalla sua fondazione, poi per AGI fino alla pensione.

Fatti penalmente irrilevanti e in Italia nessun indagine per “associazione a delinquere” – Poi, da Adnkronos – che ha pubblicato tra altro la trascrizione della registrazione della conversazione telefonica tra il Cardinal Becciu e Papa Francesco – riportiamo la puntuale la reazione degli Avvocati Ivano Iai e Paola Balducci, legali della famiglia Becciu in Sardegna, alle notizie apparse sui media a seguito della comunicazione del Promotore di Giustizia vaticano, il Prof. Avv. Alessandro Diddi nel corso della 37ª Udienza del 24 novembre 2022: «Chat sfogo privato, irrilevanti penalmente. Nessuna indagine per associazione a delinquere. Risultano in corso di svolgimento, invece, indagini preliminari condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Sassari».

Niente di originale dunque. Già con il processo Vatileaks 2 ce l’avevano provato, invano, i Promotori di Giustizia vaticani con questa fantomatica “associazione a delinquere”. «Di quale reato parliamo? Associazione a delinquere di stampo giornalistico?»: la domanda fu posta a gamba tesa dall’avvocato di Gianluigi Nuzzi nella sua arringa nella penultima udienza del processo Vatileaks 2, il 6 luglio 2016. Il giorno dopo il verdetto del collegio giudicante, presieduta da Giuseppe Dalla Torre: prosciolti per difetto di giurisdizione i giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, che avevano diffuso i documenti; condannati per la divulgazione dei documenti Monsignor Lucio Angel Vallejo Balda a 18 mesi di reclusione e Francesca Immacolata Chaouqui a 10 mesi con pena sospesa per 5 anni; invece assolti per associazione a delinquere per non aver commesso il fatto, il monsignore, la pierre e Nicola Maio. Adesso ci riprovano? Come vediamo, corrono più veloce della Procura di Sassari. Campa cavallo che l’erba cresce.

Infine, ritorniamo in un [*] sulla questione del progetto di “social housing” a Londra, menzionato “en passant” da Mons. Alberto Perlasca nella sua testimonianza. Un dettaglio, ma l’importanza è nei dettagli. Riportiamo quanto abbiamo scritto sulla faccenda quasi 2 anni fa, il 13 dicembre 2020, nel totale disinteresse dei vaticanisti, che come giornalisti avrebbero il compito di indagare, di porre domande, di cercare risposte e soprattutto di informare secondo scienza e coscienza, nella verità. Vabbè eravamo in piena follia pandemica e avevano altro da pensare. E poi, tutta la energia doveva servire per cospargere con pece e piume un cardinale di Santa Romana Chiesa, fatto cadere in disgrazia da su Mannu, che conosciamo come “il Supremo”.

Andrea Gagliarducci su ACI Stampa in un articolo del 26 novembre 2022 spiega i temi del processo: «Più che scendere nei dettagli, c’è bisogno di avere delle linee guida per comprendere quello che è successo in aula. Il processo, come è noto, riguarda la gestione dei fondi della Segreteria di Stato, e in particolare l’investimento su un immobile di lusso a Londra, in Sloane Avenue. Ma nel processo – che ha dieci difensori – confluiscono anche altri due filoni di indagine: quello cosiddetto “Sardegna”, che riguardano i fondi destinati dal Cardinale Becciu quando era sostituto della Segreteria di Stato alla Caritas di Ozieri per sostenere un progetto della cooperativa SPES, per la quale si contesta un peculato; e poi, la questione di Cecilia Marogna, la sedicente esperta di intelligence contrattata dalla Segreteria di Stato per alcune operazioni, e in particolare per la liberazione di una suora. La commistione di più filoni di indagine fa sì che a volte gli interrogatori siano confusi e mettano insieme più temi differenti. Si possono però definire alcune linee guida».

John L. Allen Jr. su Crux in un articolo del 25 novembre 2022 osserva: «Proprio quando pensi che il “processo del secolo” del Vaticano contro un cardinale e altri nove imputati per vari presunti crimini finanziari è al massimo del surreale, due sviluppi saltano fuori dalla carpenteria per dimostrare che ti sbagli. Un’udienza di giovedì ha prodotto sia una registrazione precedentemente sconosciuta e non autorizzata di una telefonata con Papa Francesco, sia la testimonianza del testimone principale dell’accusa, che sostanzialmente ha incolpato tutti nel sistema – sia chi stava sopra di lui che sotto di lui, ma non se stesso – per quello che è andato storto. (…) Impossibile sapere in questo momento cosa significhi tutto questo per le sorti dell’accusa, visto che non siamo nemmeno giunti alla fase difensiva del processo. Ciò che sembra suggerire, tuttavia, è di rimanere sintonizzati, poiché potrebbero esserci ancora più conigli che emergeranno dai vari cappelli ecclesiastici» [Nostra traduzione italiana dall’inglese].

Sante Cavalleri su Faro di Roma in un articolo del 25 novembre 2022 rileva: «In aula continua l’opera di demolizione dell’immagine del Cardinale Giovanni Angelo Becciu senza che emergano fatti penalmente rilevanti. Mentre si guadagnano i titoli dei giornali alcune parole del cardinale, che testimoniano il dolore e l’amarezza da lui provati per i danni subiti ad opera degli inquirenti che si sono molto impegnati per denigrarlo, parole infelici anche se comprensibili, che lo stesso ufficio del promotore di giustizia ha dato ora in pasto ai media, pur essendo del tutto ininfluenti riguardo al processo: commenti sulla propria sofferenza e il trattamento ingiusto che gli è stato riservato» e in un articolo del 26 novembre 2022 conclude: «Nelle ultime udienze il promotore di giustizia Alessandro Diddi ha cercato in tutti i modi di infangare il card. Becciu, dando in pasto ai media una immagine negativa di questo ecclesiastico. Una strategia mediatica basata sull’enfatizzazione delle reazioni, umanamente comprensibili, sue e dei familiari, davanti a una evidentemente ingiusta persecuzione giudiziaria. Ed è arrivato addirittura a pronunciare larvate minacce ai vaticanisti che si sottraggono alla vulgata ufficiale, parlando in aula di giornalisti che “avrebbero partecipato a una campagna di stampa contro questo processo”. Ma nonostante tutto questo, il processo non è affatto perduto per il porporato sardo, che passo dopo passo sta dimostrando la propria correttezza e innocenza. Ad esempio, a conti fatti, dalla testimonianza di mons. Alberto Perlasca non sono emerse prove che dimostrino comportamenti criminali attribuibili al porporato. (…) E a noi resta una grande amarezza per aver assistito, ad opera di un organo del Vaticano disposto a tutto pur di vincere la causa, al massacro di un uomo per bene, un cardinale che ha servito la Chiesa e i poveri sempre con fedeltà e buone intenzioni. Tutto questo male servirà speriamo a un cambio anche normativo della giustizia vaticana, così come lo scandalo del Palazzo di Londra sta già contribuendo all’instaurarsi di un’amministrazione finanziaria più trasparente e meno rischiosa».

La reazione dei legali della famiglia Becciu riportate da Adnkronos

“Non risulta alcuna indagine a carico degli interessati per il reato di associazione per delinquere. Risultano in corso di svolgimento, invece, indagini preliminari condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Sassari, oggetto di recente provvedimento di proroga dal gip, cui i difensori, per ragioni di leale collaborazione, non hanno ritenuto di opporre osservazioni”, osservano gli Avvocati Paola Balducci e Ivano Iai, che rappresentano Tonino Becciu e Maria Luisa Zambrano, fratello e nipote del Cardinale Angelo Becciu, in relazione alle notizie apparse sulla stampa e, in particolare, a un’indagine per delitto associativo a carico del Cardinale Angelo Becciu e altre persone, tra cui Tonino Becciu e Maria Luisa Zambrano.

“Tutti gli atti del procedimento ‘sardo’ sono tuttora coperti dal segreto investigativo e – sottolineano – non possono essere oggetto di pubblicazione, neppure parziale. Sorprende, pertanto, che, nonostante il segreto che li copre, segmenti di atti provenienti dal procedimento condotto dalla Procura di Sassari, tra cui conversazioni private (peraltro irrilevanti sul piano penale), informative della Polizia Giudiziaria (Guardia di Finanza) e altri documenti, siano stati già rivelati in contesti e depositati in sedi (segnatamente presso l’Autorità Giudiziaria dello Stato della Città del Vaticano), nonché addirittura pubblicati da alcuni siti che ne hanno diffuso copia fotografica, mentre continuano a non essere accessibili ai diretti interessati essendo, come detto, per essi e per i loro difensori, vigente il segreto investigativo”.

“Sarà cura degli scriventi promuovere, perciò, sollecita istanza davanti alle Autorità preposte per la verifica di eventuali violazioni del segreto investigativo con indebita rivelazione a terzi, dei diritti di difesa e delle garanzie costituzionali degli interessati”, concludono.

“Con particolare riferimento alle conversazioni riportate ormai su tutti i media tra persone della famiglia Becciu o a essa vicine, si manifesta sorpresa e dispiacere per la diffusione indiscriminata di interlocuzioni prive di alcuna rilevanza esterna ma costituenti, semmai, esplicazione del patimento e dello sfogo intimo ed esclusivamente domestico tra congiunti”, sottolineano gli Avvocati Ivano Iai e Paola Balducci.

“Si tratta, – dicono i legali in riferimento alle conversazioni in chat tra Becciu e i parenti – all’evidenza, di conversazioni di natura privata, penalmente irrilevanti e tuttora coperte dal più assoluto segreto, in quanto acquisite in procedimento penale della Procura di Sassari ancora pendente nella fase delle indagini preliminari”.

“Lungi dal poter essere processualmente usate, proprio in ragione della loro irrilevanza, dette conversazioni risultano, al contrario, inutilizzabili – e saranno presumibilmente distrutte – come prevede il codice di procedura penale. – sostengono gli Avvocati Iai e Balducci – Nell’assistere, perciò, con sconcerto all’avvenuta loro rivelazione mediatica e davanti all’Autorità vaticana (che, per quanto risulta, ne pretenderebbe piena utilizzabilità in quella sede), si registra un’evidente intromissione nella vita privata delle persone interessate, le cui opinioni personali, nel contesto più ampio della libertà costituzionale di pensiero e di parola, risultano drammaticamente assurgere a oggetto di censura giudiziaria”.

Le osservazioni di Andrea Gagliarducci su ACI Stampa del 26 novembre 2022

Il 24 luglio 2021, tre giorni dopo le dimissioni di Papa Francesco dal Gemelli dove ha subito un intervento chirurgico il 4 luglio precedente, il Cardinale Angelo Becciu prende il telefono e chiama Papa Francesco. Soprattutto, fa registrare la chiamata. Perché il 13 luglio è arrivata una lettera del Papa che, di fatto, dice che no, il Papa non sapeva niente dei trasferimenti di denaro disposti per la liberazione di suor Cecilia Narvaez, la suora colombiana rapita in Mali. E che Becciu avrebbe trasferito quei soldi da solo.

La registrazione della telefonata del Cardinale Becciu a Papa Francesco è stata fatta ascoltare nell’udienza del 24 novembre 2022, ma solo a Promotori di Giustizia e difensori, mentre i giornalisti e gli uditori sono stati fatti accomodare fuori. E questo perché si deve ancora decidere se questa telefonata è ammissibile. La trascrizione della telefonata, acquisita dalla procura di Sassari in un’altra indagine e ottenute dal Promotore di Giustizia vaticano attraverso una rogatoria, è stata però pubblicata integralmente dalla cronaca giudiziaria di una nota agenzia italiana [Adnkronos, come abbiamo rilevato QUI].

Tre giorni di interrogatorio, due ad Alberto Perlasca, uno a Luciano Capaldo, ingegnere, consulente della Santa Sede nella questione dell’immobile di Londra, che in passato aveva collaborato anche con Gianluigi Torzi, l’ultimo broker a gestire il palazzo.
Sono stati tre giorni intensi: oltre alla telefonata del Cardinale Becciu, è arrivata la notizia di una indagine per associazione a delinquere sul Cardinale ad opera della procura di Sassari, per la quale un fascicolo sarebbe stato aperto anche in Vaticano, sebbene i legali di Becciu abbiano reso noto di non saperne niente [come neanche i legali dei famigliari]; poi, c’è stata la rivelazione da parte di Capaldo che l’Arcivescovo Peña Parra, Sostituto della Segreteria di Stato, avesse chiesto a un ex affiliato dei servizi italiani di pedinare il Direttore generale dello IOR Gianfranco Mammì; e infine c’è stata la testimonianza fiume di Monsignor Alberto Perlasca, già capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato, che, anche con espressioni colorite, ha dato la sua versione dei fatti.

Una testimonianza, quest’ultima, a tratti confusionaria, con diverse discrasie tra quanto prodotto in due memoriali del monsignore (uno del 31 agosto 2020, un altro depositato come dichiarazione spontanea lo scorso 22 novembre) e i suoi interrogatori e quanto invece stava rispondendo. Tanto che per quattro volte il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone ha invitato monsignor Perlasca a ponderare bene le sue risposte, arrivando addirittura a ricordare che, in caso di dichiarazioni mendaci, poteva essere incriminato per falsa testimonianza.

Prima di tutto, la questione delle perdite della Segreteria di Stato nell’investimento del Palazzo di Londra. Capaldo, che ha descritto la sua vasta esperienza in termini di valutazione di immobili, ha sottolineato come la Santa Sede abbia comprato a 275 milioni di sterline e rivenduto a 186 milioni, con una perdita di 90 milioni di sterline. È stata la prima volta che in aula si è dato un ammontare preciso delle presunte perdite della Segreteria di Stato. Presunte, perché, in un intervento in aula, Raffaele Mincione, il broker che per primo ha gestito l’investimento, ha fatto notare come il valore dell’immobile non sia dato dall’immobile in sé, ma dal valore che viene dato dal mercato, e anche dal potenziale valore che nasce dalle possibilità di ristrutturazione.

Sulla questione della ristrutturazione, la testimonianza di monsignor Perlasca ha confermato le dichiarazioni di Mincione: dato che i locali di Sloane Avenue si sarebbero trasformati da commerciali in residenziali, con un potenziale incremento del valore, si sarebbero dovute realizzare abitazioni di social housing [*], anzi proprio questo aspetto “ci fece piacere il progetto ancora di più”.

Perlasca ha poi confermato che Mincione fosse titolare di tutto il patrimonio investito, sia della parte mobiliare che di quella immobiliare, lamentandosi a più riprese con Mincione per aver gestito in modo a suo dire creativo, personale e personalista (“testina estrosa” lo ha appellato) il fondo.

Capaldo sosteneva che non c’erano le condizioni per mettere in essere il progetto di riconversione, ma il dato sarebbe negato dal fatto che, quando il caso Sloane Avenue era già scoppiato, il comune di Londra diede l’ok alla nuova destinazione catastale del palazzo.

La questione dei servizi. Colpisce invece che Capaldo abbia testimoniato di aver ricevuto richiesta di fornire i recapiti di Gianfranco Mammì, direttore generale dello IOR, da parte dell’arcivescovo Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato. I recapiti dovevano essere dati a Giovanni Ferruccio Oriente, ex autista del capo del SISDE (il servizio italiano) negli Anni Novanta, che era stato incaricato di controllare Mammì. Un dato, quello del controllo su Mammì da parte del sostituto, che era già emerso nell’interrogatorio a monsignor Mauro Carlino, segretario del sostituto, che era stato vagamente delineato in una puntata di Report densa però di imprecisioni e che con la testimonianza di Capaldo si è arricchito di dettagli.

Resta da comprendere l’opportunità, per il numero 3 della Segreteria di Stato, di chiedere ad un ex agente dei servizi italiani una operazione di pedinamento, considerando anche come la progressiva internazionalizzazione delle finanze vaticane, che ha avuto uno stop con Papa Francesco, avesse come scopo proprio di sganciarsi dall’ingombrante vicino italiano.

E resta anche da valutare se la scoperta del pedinamento abbia indotto Mammì alla reazione. In effetti, alla richiesta della Segreteria di Stato di un prestito (con interesse) per concludere l’operazione Londra prendendo pieno possesso dell’immobile, lo IOR dice sì dopo vari studi (o tentennamenti) con una lettera ufficiale del presidente Jean-Baptist de Franssu del 24 maggio 2019. Il 27 maggio, però, questo assenso viene improvvisamente revocato, e Mammì sarà poi colui che farà la segnalazione al revisore generale, facendo partire tutto il procedimento che ha portato a questo processo.

Il revisore generale – Proprio parlando del revisore generale, monsignor Perlasca ha messo in luce una forte frizione con l’ufficio del revisore. Secondo l’ex officiale vaticano, il revisore dimostrava di non conoscere il Vaticano, tanto che alla fine Perlasca si era risolto ad andare avanti facendo come se il revisore non ci fosse.

Tra l’altro, c’è un rapporto del revisore che parla anche dei rischi connessi alla gestione del palazzo di Londra dopo che questo era stato dato in gestione a Mincione. Infatti, si ricorderà che la Segreteria di Stato aveva acquisito le quote dell’immobile, lasciando mille quote in gestione al broker Gianluigi Torzi. Solo che queste mille quote erano le sole con diritto di voto, cosa che aveva posto Torzi subito in una posizione di forza nei confronti della Segreteria di Stato. Più volte, Perlasca ha detto di non essersi accorto del fatto. Dopo l’affare, però, sono stati molti i segnali.

Le contraddizioni. Ma Perlasca cade in contraddizione anche quando parla del suo effettivo potere. Tutte le testimonianze sottolineano che era monsignor Perlasca, come capo ufficio, a prendere le decisioni. Perlasca, però, contesta di non avere nemmeno potere di firma, perché tutto è nelle mani del Sostituto. C’è, però, la sua firma sul cosiddetto framework agreement, che trasferisce la gestione dell’immobile da Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi.

Come si conciliano le cose? Perlasca sostiene di aver chiamato il sostituto Pena Parra, che gli ha detto di firmare lui visto che aveva seguito tutto, e che era certissimo di avere l’autorizzazione per firmare. Una procura vera e propria, al momento, non c’era, e Perlasca era incerto anche su un eventuale incontro con Pena Parra dopo la firma.

Viene chiesto a Perlasca perché non si sia rifiutato di firmare. Risponde che magari invece era tutto ben fatto, e non voleva correre il rischio. Ma, risponde un giudice a latere, non è questa la responsabilità di un capo ufficio?

Perlasca ammette di non comprendere molto di finanza, che il suo predecessore, Monsignor Piovano, era più versato di lui, e di non essersi mai occupato di immobili. Ma, nelle sue funzioni di consigliere del Fondo Pensioni vaticano, era anche stato a Londra per visionare un immobile in High Street, Kensington.

Perlasca dice di non aver parlato della questione dell’immobile a Londra con Genevieve Ciferri, la donna che lo ha difeso con il cardinale Becciu e che gli ha lasciato una proprietà in nuda proprietà, se non per chiedere un consiglio, dato che lei aveva lavorato a Londra. Poi dice che ha chiesto anche di possibili nuovi affari a Londra, posizione “inconciliabile” con quello dichiarato precedentemente, secondo il Presidente del Tribunale Pignatone.

Perlasca dice di aver saputo dell’esistenza di Cecilia Marogna, che lui conosceva come Cecilia Zulema, solo nell’interrogatorio del 29 aprile 2019, ma nei verbali di quell’interrogatorio, rilevano gli avvocati, non c’è traccia di alcun accenno né a Marogna né a Zulema.

Nel memoriale datato 31 agosto 2020 Perlasca parla di Becciu che avrebbe deposto contro di lui. Ma in quel momento Becciu non aveva fatto nessuna deposizione e tantomeno contro Perlasca. Richiesto, anche dal presidente del Tribunale, di dire chi gli aveva dato l’informazione, Perlasca si è riservato tempo per rispondere.

E poi ci sono le dichiarazioni suicide proclamate a Becciu via messaggio, che poi Perlasca definisce “provocazioni”. Le accuse a Becciu di averlo portato nel processo, e persino di averlo manipolato, di avergli fatto le cose per cui lo stesso Becciu è di nuovo a processo. Da qui, l’affermazione di non essere “né complice, né connivente, né favoreggiatore”. E ancora: le illazioni su pressioni che Becciu avrebbe fatto nei confronti di Perlasca. L’idea che le stesse pressioni fossero state fatte su Monsignor Mauro Carlino, che lasciò Domus Sanctae Marthae mentre Perlasca resistette al suo posto. Un fiume in piena, monsignor Perlasca, con dichiarazioni che più volte portano il presidente del tribunale ad invitarlo alla calma.

Infine, la questione della registrazione al ristorante Scarpone, dove Perlasca porta a cena Becciu chiedendogli consigli come muoversi. Dalle registrazioni dell’interrogatorio sembra che ci sia stata una registrazione della cena, ma Perlasca sottolinea che in realtà lui ha scritto un appunto e poi ha registrato la sua voce, ed è quella la registrazione cui fa riferimento. Anzi, che l’idea che la Gendarmeria avesse potuto registrare la conversazione era una sua immaginazione, nata dal fatto che lui aveva pensato bene di avvisare la Gendarmeria della cena – cosa che non aveva fatto per altri incontri.

Sono questi i punti salienti di una testimonianza tutta da valutare, considerando anche che buona parte dell’impianto accusatorio su Becciu si basa proprio sulle accuse di Perlasca.

La telefonata di Becciu al Papa. La telefonata, sebbene pubblicata solo da fonti giudiziarie italiane e non parte delle comunicazioni vaticane, vale un breve excursus. Secondo il promotore di Giustizia Alessandro Diddi, la conversazione proverebbe che il Papa non sapeva, dando così ragione alla tesi dell’accusa nel processo. Eppure, nella conversazione si sente il Papa dire che si ricorda, chiedere al Cardinale di inviare un appunto che così lui avrebbe potuto studiare la questione in termini legali, accogliere la lamentela di Becciu che con quella lettera il Papa lo avrebbe già condannato.

Vale la pena ricordare che è stato il Papa stesso ad autorizzare la riproduzione di quella conversazione. Non c’è niente, dunque, che non voglia che si sappia. Forse alcuni potranno obiettare sull’opportunità del Cardinale Becciu di registrare una conversazione di questo genere. Ma è una conversazione importante, in un momento difficile per il cardinale, che va registrata anche per avere traccia di una serie di ordini che sono stati fino a quel momento diffusi solo in maniera orale.

Della telefonata si viene a sapere prima dell’interrogatorio di Perlasca, quando il promotore di Giustizia Diddi rende noto, con una illustrazione arricchita da vari commenti, delle risultanze di una rogatoria internazionale verso la procura di Sassari, che stava indagando su una presunta associazione a delinquere di Becciu. Le carte, ancora non ammesse nel processo vaticano, sono però di un altro procedimento in Italia. Sono uscite diverse intercettazioni e carte processuali negli scorsi giorni, tra l’altro ancora oggetto di istruttoria e decontestualizzate, ma queste non sono parte del processo vaticano. Perlomeno, non ancora.

Le osservazioni di John L. Allen Jr. su Crux del 25 novembre 2022

(…) Cominciamo dalla telefonata. (…) Sebbene i giornalisti e altri membri del pubblico siano stati scortati fuori dalla sala d’udienza giovedì prima che venisse riprodotta la registrazione della conversazione, l’agenzia di stampa Adnkronos ha fornito una trascrizione. È avvenuto a fine luglio 2021, appena tre giorni prima dell’apertura del processo e poco dopo l’operazione al colon del Papa, e la registrazione sarebbe stata conservata su un cellulare di uno dei nipoti di Becciu. Nella chiamata, Becciu voleva chiaramente che Papa Francesco riconoscesse di aver autorizzato pagamenti tramite Marogna a una società britannica per ottenere il rilascio di una suora colombiana che era stata rapita da militanti islamici in Mali nel 2017. (…) Gli è stato chiesto se ricordava di essere stato informato sulle transazioni e Francesco appare di confermare che lo era: “Quello sì mi ricordo, vagamente ma ricordo, sì (quel ricordo) ce l’avevo sì”. Becciu poi dice che non può chiamare il Papa come testimone, ma gli chiede una dichiarazione scritta che aveva autorizzato le spese. Francesco suggerisce a Becciu di mettere qualcosa per iscritto e di inviarglielo, promettendogli di esaminarlo.

L’accusa del processo vaticano ha fatto ascoltare la registrazione dopo averla ottenuta dalla Guardia di finanza italiana, che sta conducendo le proprie indagini su un ente di beneficenza in Sardegna legato a Becciu. Chiaramente l’accusa sperava che avrebbe messo Becciu in cattiva luce per aver registrato il pontefice di nascosto, anche se gli avvocati della difesa si sono lanciato su di esso per sostenere che illustra perché è necessario che il Papa venga interrogato per stabilire cosa sapeva e cosa ha approvato.

Fin dall’inizio, gli avvocati difensori hanno sostenuto che gli imputati nel processo non hanno fatto nulla che non fosse pienamente approvato dai loro superiori – compreso il “Sostituto”, il funzionario numero due della Segreteria di Stato, all’inizio Becciu e ora l’Arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra; il Segretario di Stato, Cardinale italiano Pietro Parolin; e lo stesso Papa Francesco. L’accusa non contesta l’avvenuta autorizzazione, ma insiste sul fatto che sia stata concessa con falsi pretesti perché, afferma, gli imputati hanno travisato la natura delle transazioni coinvolte.

Quanto al testimone chiave, si tratta del Monsignore italiano Alberto Perlasca, originario della diocesi di Como, nel nord Italia, che per anni ha diretto un ufficio all’interno della Segreteria di Stato che amministrava i fondi riservati alla Segreteria di Stato, comprese le entrate del raccolta annuale “Obolo di San Pietro” per sostenere le attività del Papa. All’inizio delle indagini sull’affare londinese, Perlasca sembrava profilarsi come un obiettivo ovvio per accuse penali, poiché era coinvolto in ogni fase della transazione. Forse rendendosi conto che probabilmente sarebbe accaduto presto qualcosa di brutto, Perlasca si è riposizionato come informatore e si è offerto volontario per dare una testimonianza dannosa su ex colleghi e soci in affari che facevano anche parte dei negoziati londinesi.

Giovedì Perlasca è salito sul banco dei testimoni per la prima volta nel processo vaticano. (Il fatto che ci siano volute 37 udienze prima ancora di iniziare la testimonianza del testimone principale dell’accusa, tra l’altro, la dice lunga sul ritmo glaciale con cui si sta svolgendo il processo.)
In effetti, Perlasca ha suggerito che la responsabilità dell’accordo di Londra risieda praticamente in tutti gli altri coinvolti, ma non in lui. (…) [Nostra traduzione italiana dall’inglese]

I rilievi di Sante Cavalleri su Faro di Roma del 25 e 26 novembre 2022

“Becciu mi ha fatto fare le cose per le quali ora lui è imputato in questo processo. Io non sono né complice, né connivente, né favoreggiatore”. Questa la sconcertante dichiarazione di Mons. Alberto Perlasca, ex capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato e ora testimone del processo in corso in Vaticano per gli investimenti della Segreteria di Stato a Londra.

“Non pensavo arrivasse a questo punto: vuole la mia morte”, scrive Becciu in un messaggio alla parente Giovanna Pani il 22 luglio dello scorso anno, poi la donna lo invita ad avere coraggio, “vedrai che la verità trionferà”. E lui: “Per ora sono loro a trionfare e trafiggerci!”, “Ma la vittoria sarà degli onesti”. La signora Pani scrive ancora a Becciu: “È cattivo, vuole la tua fine”, riferendosi a “su Mannu”, che in sardo significa “il maggiore” e dunque riferibile al Papa. Il cardinale risponde: “Non vuole fare brutta figura per la condanna iniziale che mi ha dato”. (…)

La fragilità dell’impianto accusatorio è emersa anche durante il controinterrogatorio delle parti civili quando il teste si è trincerato dietro tanti “non ricordo”, al punto tale che il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha dovuto raccomandargli di stare attento alle sue risposte, perché diversamente sarebbe potuto andare incontro al rischio di essere incriminato per falsa testimonianza. (…)

“Social housing” e i (tanti) viaggi a Londra

[*] «I dettagli fanno la perfezione e la perfezione non è un dettaglio» (Leonardo da Vinci). «La differenza tra qualcosa di buono e qualcosa di grande è l’attenzione ai dettagli» (Charles R. Swindoll). «Chi vuole fare grandi cose deve pensare profondamente ai dettagli» (Paul Valéry). «Mi piacciono i dettagli. Lo zucchero a velo sulla torta, il basilico nel sugo, il bottone sul polsino… Non sono l’essenziale, ma fanno la differenza» (Fabrizio Caramagna).

A me piacciono le linee guida (come piacciono all’amico e collega Andrea Gagliarducci). E mi piacciono i dettagli (come piacciono a Fabrizio Caramagna), perché anche se non sono l’essenziale, fanno la differenza e, come disse Leonardo da Vinci, fanno la perfezione e questo non è un dettaglio.

La questione del “social housing” (edilizia popolare), come anche quella di “possibili nuovi affari a Londra”, che vengono menzionate “en passant” da Mons. Alberto Perlasca (che afferma molte cose “en passant”, dice e si contraddice, e qui sono i dettagli, che sono essenziali), è riferito ad un progetto, connessa all’investimento della Segreteria di Stato nel fondo Gof di Raffaele Mincione – per la conversione del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra in appartamenti di lusso – che era stato preso in considerazione nella Parrocchia San Pio X al numero 79 di St Charles Square a North Kensington, Londra.

La parola “Kensington” è apparsa già nella 35ª Udienza del 10 novembre 2022 [QUI]: «Madsen ha fatto anche cenno all’acquisto di un immobile sempre a Londra, ma in High Street Kensington, effettuato tra il 2016 e il 2017 dall’APSA al 51% e dal Fondo Pensioni al 49% (circa 90 milioni a testa, è stato detto), due enti della Santa Sede entrambi presieduti allora dal Cardinale Domenico Calcagno. Il Cardinale George Pell, allora Prefetto della Segreteria per l’Economia, si era fermamente opposto: “Perché il Fondo Pensioni deve pagare il 49% quando deve pensare a pagare le pensioni?”, avrebbe detto Pell, secondo quanto riportato da Madsen. Che sull’esito dell’investimento ha affermato di non avere “dati specifici”, ma di ricordare che il risultato non fu positivo».

A questo “affare non positivo” a High Street, Kensington i vaticanisti non hanno fatto caso, come neanche al progetto di “social housing”, menzionato da Mons. Alberto Perlasca nella sua testimonianza. E abbiamo dovuto aspettare fino alla 38ª Udienza per sentir pronunciare in Aula del Tribunale vaticano la parola “Kensington”.

Di questo progetto di “social housing” abbiamo scritto il 13 dicembre 2020: Sopralluoghi a Londra all’origine della tempesta finanziaria 60SA che sì è abbattuta sul governo del Papa, mettendo in pericolo il Pontificato e la Chiesa e stiamo ancora aspettando le risposte alle domande sollevate. I Promotori di Giustizia vaticano erano così occupati a cercare “materiale” per infangare il Cardinal Becciu, che non hanno avuto il tempo per investigare nelle direzioni da noi indicati allora. L’importanza è nei dettagli, e un dettaglio sono i molti viaggi di tanti personaggi della Santa Sede e che girano intorno ad essa, a Londra e non solo per il 60SA. Non è difficile ricostruire TUTTI (non solo quelli che “interessano” agli inquirenti) questi viaggi e per vari organismi della Santa Sede o collegati ad essa, con i resoconti presentati per i rimborsi. E poi ottenere risposte alle domande che contano: cosa siete andati a fare a Londra? Chi ha autorizzati i viaggi? A chi avete riferite l’esito? Poi, rimane sempre la questione dei conti del FAS, di cui abbiamo parlato più volte, senza ottenere risposte.

Citiamo quanto abbiamo scritto quasi due anni fa, il 13 dicembre 2020:

«Già abbiamo avuto l’occasione di ribadire, che è istruttivo ritornare ogni tanti a rileggere articoli scritti in passato. Nostri e di terzi. Oggi ritorniamo a rileggere un articolo del 9 giugno 2020 [Inchiesta della magistratura vaticana per scandalo finanziario in Segreteria di Stato. I protagonisti cantano. Omnia omnibus ubique [4]], che abbiamo aperto come segue:
“Come da copione, lo scandalo finanziario in Segreteria di Stato, costantemente viene ‘arricchito’ con nuovi dettagli e colpi di scena.
Senz’altro, ‘la ragnatela scoperchiata in Vaticano è destinata ad allargarsi’. E mescolando nello stagno la puzza di marcio aumenterà.
Soprattutto, perché molte domande – oltre quelle che abbiamo già formulate – andrebbero fatte e (quasi) nessuno le sta facendo. È soltanto una questione di tempo e qualche giornalista con la doppia spunta blu le farà, senza farsi deviare dal gracchiare del corvo e dal canto dei protagonisti.
Alla prossima, prossimamente.
Tutto a tutti ovunque”.

Omnia omnibus ubique

Nel nostro articolo del 9 giugno 2020 c’era un trafiletto, in riferimento ad un fatto importante, a cui però non abbiamo dato la necessaria attenzione (anche se ci avevamo promesso di ritornarci su), oscurato e dimenticato dal clamore provocato da una serie di eventi inauditi, iniziata con l’arresto nello Stato della Città del Vaticano del primo laico esterno alla Santa Sede, il finanziere Gianluigi Torzi. Ne fu dato notizia con una breve nota diffusa in tarda serata del 6 giugno 2020 dalla Sala Stampa della Santa Sede. Il provvedimento – arrivato al termine di un interrogatorio al quale Torzi fu sottoposto, assistito dai propri legali, invitato come persona informato dei fatti a deporre in Vaticano per l’inchiesta 60SA – fu preso con diversi capi di imputazione (peculato, truffa aggravata, estorsione e autoriciclaggio).

L’arresto di Torzi era in relazione alle vicende collegate alla compravendita dell’immobile londinese al numero 60 di Sloane Avenue, per conto della Segreteria di Stato, in cui era coinvolta una rete di società, con al loro interno alcuni funzionari della Segreteria di Stato. Il broker Torzi fece da intermediario per far rientrare l’immobile nella disponibilità della cassaforte dei fondi riservati della Segreteria di Stato.

Dai verbali dell’interrogatorio emergeva che Monsignor Carlino, a lungo segretario particolare del Sostituto della Segreteria di Stato – prima di Angelo Becciu e poi di Edgar Peña Parra – aveva affermato che quest’ultimo, come responsabile dei fondi impiegati, dette indicazioni su come agire per l’accordo con Torzi, che poi ha ottenuto 15 milioni di Euro per cedere le azioni con diritto di voto.

Nel nostro articolo di ieri [Becciu, l’alieno venuto da Atlantide, ma dai! Dimmelo tu cos’è] abbiamo ricordato la notizia, che secondo Gianluigi Nuzzi ci fu un sopralluogo a Londra per l’acquisto di 60SA: “Ora, è pervenuta da parte della Cb Richard Ellis Spa, primaria società di intermediazione immobiliare inglese, una proposta particolarmente interessante. Tanto che in data 23 marzo 2015 monsignor Luigi Mistò, il professor Della Sega e monsignor Alberto Perlasca hanno compiuto un sopralluogo, prendendo diretta visione dell’immobile. Si tratta di un blocco immobiliare ubicato nel centro di Londra, con esterno in mattoni rossi, in buono stato di conservazione” (“Giudizio Universale” (Chiarelettere 2019, pagina 80).

Oltre a quanto riferito da Nuzzi, prove documentali che confermano che il sopralluogo sia avvenuto e con i partecipanti menzionati da Nuzzi, noi non ne abbiamo, anche se certamente qualcuno in Segreteria di Stato deve aver saputo. Fatto è che né Perlasca, né Mistò fino ad oggi hanno negato di aver partecipato, mentre non è chiaro chi sarebbe quel misterioso “professor Della Sega”. Non si conosce neanche il titolo di partecipazione per nessuno dei tre.

L’allora Sostituto della Segreteria di Stato, non esclude che sia avvenuto il sopralluogo a Londra, menzionato da Nuzzi nel suo libro, ma lui mai ne ha avuto conoscenza. Poi, sulle visite a Londra, riferite dal Sole 24 Ore e Catholic News Agency, oggetto di questo articolo, il Cardinale Becciu ha fatto memoria. Riferisce che a Mons. Alberto Perlasca e ai suoi consiglieri era venuta in mente di fare un’opera sociale nella parrocchia vicino al palazzo al numero 60 Sloane Avenue, che la Segreteria di Stato aveva comprato. In che termini concreti si presentasse questa idea di Perlasca, Becciu non si ricorda bene e non ricorda neanche se la visita a Londra con chi la fece, se con Mons. Mistò o con altri. Si ricorda che si trattava di investire nei terreni della parrocchia San Pio X a Kensignton, con ritorni però alla medesima per costruzione di case a beneficio dei meno abbienti dell’area parrocchiale. L’idea sembrava buona, anche per dare un’immagine del Vaticano, che si impegnava nel sociale. Essa però non andò avanti e tutto si chiuse lì. Perlasca, se non fosse ora offuscato dai rimorsi per le falsità dette su Becciu, avrebbe potuto illustrare meglio il progetto. Per quanto riguarda Luciano Capaldo, uno degli amministratori registrati di London 60 SA Ltd. Becciu precisa che con Capaldo lui non c’entra niente. È una creatura del Sostituto Edgar Peña Parra.

La situazione ci sembra molto chiara e cioè che il gioco viene fatto tutto alle spalle del Sostituto Becciu, che pensa di fare anche opere di impegno sociale. Ma ciò che è nei piani di Perlasca & Co. è ben altro, anzi altro che sociale.

Oltre al sopraluogo londinese del 2015, a cui si riferisce Nuzzi, ci sono notizie di altri sopralluoghi, datati 2014 e 2016, su cui ritorniamo oggi. Sarebbe auspicabile che gli inquirenti vaticani potessero sentire i rappresentanti dell’Arcidiocesi di Westminster e Padre Peter Wilson, della Parrocchia Cattolica Romana di San Pio X a North Kensington di Londra, come persone informate sui fatti, per capire: chi erano le persone coinvolte; se erano incaricate dalla Segreteria di Stato e da chi; se c’erano funzionari della Santa Sede presenti e nel caso affermativo, chi erano, chi dei superiori aveva dato l’autorizzazione e/o ne era a conoscenza.

Abbiamo citato questa notizia come un fatto di rilievo, che andrebbe approfondito dagli inquirenti giudiziari vaticani. Ma nessuno, per ora, ha gli elementi per dire chi erano i “rappresentanti del vaticano” come scrive Filippetti, che sono andati prima dall’Arcidiocesi di Westminster nel 2014 e poi da Padre Wilson nel 2016. Ma quello che si può dire, che certamente sono state persone che si presentavano come rappresentanti della Santa Sede/del Vaticano/della Segreteria di Stato. Quindi, in Vaticano qualcuno – se non necessariamente tutti – dei superiori sapeva di questa attività londinese? Certamente, non è cosa da poco conto questo fatto. È più che certo, che dei rappresentanti del Vaticano sono stato a Londra, nel 2014, nel 2015 e nel 2016. Non possiamo ancora sapere se siano stati o no sempre le stesse persone, e chi siano con certezza, ma i superiori non potevano non sapere di queste attività. Gli inquirenti giudiziari vaticani, come hanno cercato Torzi, Mincione & Co. saranno sicuramente in grado di sentire dei rappresentanti dell’Arcidiocesi di Westminster e Padre Peter Wilson, come persone informate sui fatti. Questa è la strada per giungere alla verità.

Ricordiamo il testo del paragrafo nel nostro articolo del 9 giugno 2020, in riferimento ai sopralluoghi londinesi del 2014 e 2016:

“In un articolo di Simone Filipetti sul Sole 24 Ore di oggi [segue il testo integrale in riferimento alla questione], dedicato allo scandalo vaticano ‘Il palazzo di lusso a Chelsea e la parrocchia da abbattere’ viene svelato un fatto clamoroso: ‘La scelta della parrocchia non era per niente casuale. Si trova in una piazzetta laterale di Ladbroke Grove: è l’estremità nord di Notting Hill, una zona popolare e meno benestante, ma che fa parte del Local Council di Kensington e Chelsea, lo stesso dell’immobile di Sloane. Immobile che per il Vaticano si era rivelato un flop: uffici e negozi erano vuoti. Allora ecco l’idea di trasformare gli uffici in appartamenti di lusso. Ma bisognava convincere il Council a rilasciare la concessione edilizia: ecco che i rappresentanti del Vaticano andarono prima alla Arcidiocesi di Westminster, nel 2014, e poi alla parrocchia di Padre Wilson: case per i bisognosi come “contropartita” degli appartamenti di lusso. I crucci del parroco, però, svanirono: il Council non diede mai il permesso. A Notting Hill non c’era bisogno di altre case popolari’”» [Prosegue QUI].

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