Il Senato francese a quasi unanimità ha espresso sostegno per l’Armenia e la necessità di riconoscere la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.11.2022 – Vik van Brantegem] – Il Ministero della Difesa della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh ha respinto il rapporto azero affermando che l’esercito di difesa dell’Artsakh ha aperto il fuoco durante la notte sulle posizioni azere nei territori della regione di Askeran dell’Artsakh occupati dalle Forze Armate azere. Il Ministero della Difesa dell’Artsakh afferma che il rapporto azero è “un altro pezzo di disinformazione”. Anche il Ministero della Difesa dell’Armenia ha precedentemente rilasciato una dichiarazione, respingendo le affermazioni azere di violazione del cessate il fuoco nella direzione orientale della linea di contatto armeno-azera da parte dell’Armenia. Questa politica azera, di accusare la parte armena dei propri violazioni del cessate il fuoco e provocazioni armate, sono mirate a creare la “giustificazione” per ulteriori aggressioni militari contro l’Armenia e l’Artsakh, come traspare chiaramente dai discorsi dal Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev.

La bandiera della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh è stata adottata il 2 giugno 1992 dal Consiglio Supremo dell’autoproclamata repubblica, allora chiamata Nagorno Karabakh. Essa è evidentemente basata sulla bandiera dell’Armenia, con l’aggiunta di un disegno bianco che vuole sia richiamare i tipici disegni dei tappeti locali, sia per rappresentare la separazione dall’Armenia, considerata come Stato madre. Secondo quanto riportato dalla Costituzione della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh del 2006, la bandiera si compone di tre fasce orizzontali di eguale misura: il colore rosso simboleggia la continua lotta del popolo armeno per l’esistenza, il Cristianesimo, l’indipendenza e la libertà; il colore blu rappresenta la volontà del popolo armeno a vivere in pace; il colore arancione simboleggia il potere creativo e l’impegno del popolo armeno. A partire dall’angolo superiore destro si sviluppa un disegno bianco dentato con nove gradini (quattro superiori, quattro inferiori e uno centrale di unione) che raccorda l’ultimo terzo della bandiera e termina nell’angolo inferiore destro.

Nello stesso giorno di ieri, il Senato francese ha votato a quasi unanimità una risoluzione, Stabilire una pace duratura tra Armenia e Azerbajgian, invocando sanzioni contro la leadership dell’Azerbajgian, esprimendo sostegno all’Armenia, ribadendo la necessità che il Governo con la sua diplomazia riconosca la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh e di fare di tale riconoscimento uno strumento di negoziato al fine di instaurare una pace duratura. La risoluzione sottolinea che le ripetute azioni aggressive dell’Azerbaigian nei confronti del Nagorno-Karabagh mettono a rischio la sicurezza e la libertà degli armeni dell’Artsakh. Il Senato invita il Governo a fare tutto il possibile per garantire che l’Azerbaigian si impegni urgentemente e pacificamente in un processo di negoziazione attraverso i canali diplomatici, al fine di raggiungere l’instaurazione di una pace duratura nel Caucaso meridionale.

La risoluzione era stata presentata dai Senatori Bruno Retaio, Christian Cambo, Elian Assassin, Patrick Canner, Erve Marseille e Gilber-Luke Davinaz. Alla votazione erano presenti come ospiti d’onore l’Ambasciatore armeno in Francia, Hasmik Tolmajyan, e il Rappresentante della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Hovhannes Gevorgyan.

Riportiamo in fondo il testo integrale della risoluzione nella nostra traduzione italiana dal francese [*].

Non c’è libertà senza pace,
non c’è pace senza libertà!

È diventato un luogo comune dire che le guerre non sono tutte uguali. Questo permette di passare oltre, ignorando gran parte delle guerre del passato e di quello attualmente in corso in tutto il mondo. Questo permette di ignorare la guerra dell’Azerbajgian che bombardato e invaso la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, strappandosi le vesti per la Russia che ha invaso e bombarda l’Ucraina. Le guerre sono trattate non tutte uguali, non solo dal punto di vista militare, per il valore simbolico o per il numero delle vittime, ma soprattutto per le reazioni che generano nella comunità internazionale e nell’opinione pubblica (le invasioni della NATO, degli USA, della Francia, ecc. vanno bene, l’invasione della Russa in Ucraina no). Ciò che sta accadendo tra l’Armenia e l’Azerbajgian è l’ennesima riprova che i leader mondiale sono mossi da interessi economici e di potere (che è la stessa cosa) e non da concetti che contano solo a parole per i discorsi, come l’etica.

Più del dieci per cento del fabbisogno gas italiano proviene dall’Azerbajgian, grazie agli accordi con Eni e Snam. Si tratta di una partnership che porta l’Italia a favorire una delle parti nel conflitto del Nagorno-Karabakh, l’Azerbajgian e di ignorare l’aggressione azera contro l’Armenia e l’Artsakh e l’occupando con la forza armata parte del territorio sovrano del primo e gran parte del secondo.

Mentre l’Italia a corto di gas continua a sostenere il dittatore guerrafondaio azero contro l’Armenia e l’Artsakh, ieri, 15 novembre 2022, il Senato della Francia, due anni dal voto con cui aveva chiesto al governo francese e la sua diplomazia di riconoscere la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, ha adottato a quasi unanimità una nuova risoluzione a sostegno dell’Armenia e dell’Artsakh. Come già avvenuto con la risoluzione adottato il 27 novembre 2020, anche allora con una maggioranza schiacciante – di 305 voti a favore, 30 astensione e solo 1 no – neanche nel caso dell’adozione della risoluzione ieri, il voto è vincolante per il governo, ma con i numeri – 295 voti a favore e 1 no – è fortemente simbolico, quindi politicamente rilevante.

La Francia, storicamente molto legato all’Armenia, la sostiene nel conflitto con l’Azerbajgian. Però, se questo conflitto va oltre la sua dimensione locale del Caucaso meridionale, è a causa della partecipazione massiccia e decisiva della Turchia di Erdoğan, nel nome di una politica espansionista pan-turca neo-ottomana e nazional-islamista. Ed è una minaccia – qui, come altrove nel mondo – contro la pace e contro gli interessi europei.

L’Artsakh/Nagorno-Karabakh, autoproclamata repubblica parlamentare democratica, è un’enclave cristiano-armena all’interno del territorio dell’Azerbajgian, Paese dittatoriale, che ha una popolazione che si stima sia per il 95% musulmana (a maggioranza sciita e una larga minoranza sunnita). Per molti di quei credenti musulmani (anche se i praticanti attivi rappresentano però solo una piccola parte) le guerre nel Nagorno-Karabakh non riguardano solo il patriottismo e la difesa della patria ma gode di una vera e propria “approvazione divina”. Questo è il motivo per cui il clero si è recato spesso presso le unità militari a predicare il “martirio” e la “santità della madrepatria” [**].

Con un’operazione militare rapida, sostenuta dalla Turchia, con l’apporto di mercenari jihadisti siriani, il dittatore azero, Ilham Aliyev, nel mese di novembre 2020 ha portato buona parte del territorio di Artsakh sotto il suo controllo. Dopo una sanguinosa guerra, anche se breve, le Forze Armate azere si sono fermate dopo aver preso Sushi e solo dopo l’intervento diplomatico personale di Vladimir Putin, con la firma dell’accordo trilaterale di cessato il fuoco del 9 novembre 2020 e l’invio delle forze di mantenimento della pace russe.

Ed è proprio questo uno dei punti sensibili per la Francia, poiché quello che ormai di fatto è un “patto di non aggressione” russo-turco, si è convertito in un condominio su Mediterraneo, Medioriente e Caucaso. In assenza degli Stati Uniti, l’Unione Europea ha dimostrato di avere scarsa influenza nel Caucaso meridionale, pur una regione chiave per la sua stabilità e per la sua sicurezza energetica. Le circostanze hanno dimostrato che per la Francia è difficile ripetere lo schema negoziale che nel 1994 aveva congelato (temporaneamente) la prima guerra del Nagorno-Karabakh.

I Paesi europei hanno forti interessi economici e politici in e con l’Azerbajgian. Quindi, nonostante qualche anno fa aveva iniziato un lento avvicinamento all’Unione Europeo, l’Armenia ha dovuto invocare il soccorso della Federazione Russa nella guerra dei 44 giorni scatenata dall’Azerbajgian.

Anche per ragioni interne, il conflitto Armenia-Azerbajgian non è di facile gestione per la Francia. Nel Paese vive una forte e influente comunità armena, che è presente fin dal XV secolo, ma cresciuta nel corso dei secoli, soprattutto dopo il genocidio armeno durante la Prima Guerra Mondiale (le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, che causarono circa 1,5 milioni di morti). La comunità armena in Francia è forte di circa 600 mila persone, di cui 400 mila nate in Francia, tutte ancora legate alla loro identità nazionale. Gli Armeni hanno contribuito, e continuano a contribuire, alle arti, alle lettere, alla politica e al commercio francesi. Nel 2001, l’Assemblea Nazionale di Parigi ha votato una legge per il riconoscimento ufficiale del genocidio armeno, provocando le ire della Turchia, che ha sempre respinto le accuse e soprattutto l’esistenza del genocidio stesso. E anche dopo l’adozione dal Senato della risoluzione del 27 novembre 2020, l’Azerbaigian aveva subito reagito, chiedendo l’esclusione della Francia dal Gruppo di Minsk per la mediazione del conflitto nel Nagorno-Karabakh.

Il Consiglio di Coordinamento delle Organizzazioni Armene in Francia (CCAF) in una nota ha dichiarato di aver «accolto con favore questa nuova iniziativa diplomatica dell’Alta Assemblea, che fa onore alla Francia e alla democrazia. Cento anni dopo il genocidio del 1915, sarebbe possibile lasciare che la barbarie pan-turca completi il crimine cancellando quel poco che resta dell’Armenia e degli Armeni? Qualsiasi vigliaccheria che avalli il primato della forza sulla legge, del totalitarismo sulla democrazia, della barbarie sui diritti umani, suonerebbe definitivamente la campana a morto per tutte le lezioni della Seconda Guerra Mondiale e suggellerebbe per sempre la fine di ogni prospettiva di libertà e di pace tra i Paesi membri del Consiglio d’Europa». Per sostenere questa iniziativa del Senato, per ringraziare gli eletti e per chiedere l’applicazione delle loro risoluzioni da parte del Governo francese, il CCAF aveva organizzato una grande manifestazione di sostegno ieri, 15 novembre a davanti al Palais du Luxembourg: «Il pan-turchismo non passerà! Solidarietà con l’Armenia e la Repubblica di Nagorno-Karabakh! Non c’è libertà senza pace, non c’è pace senza libertà!».

Il Gruppo di amicizia Artsakh-Francia presso il Parlamento dell’Artsakh ha espresso la gratitudine al Senato francese per l’adozione della risoluzione a sostegno dell’Armenia e che propone sanzioni contro l’Azerbajgian.

Il Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh ha comunicato di accogliere con favore la risoluzione adottata dal Senato francese il 15 novembre, «che condanna la politica aggressiva e xenofoba dell’Azerbajgian nei confronti dell’Armenia e dell’Artsakh». «L’adozione di una risoluzione così sostanziale è un passo importante in termini politici, legali e morali, dal momento che la politica espansionistica e bellicosa dell’Azerbaigian rappresenta una seria sfida e minaccia non solo per il popolo armeno e la statualità armena, ma anche per la stabilità regionale e l’intero mondo civilizzato. Esprimiamo la nostra gratitudine ai nostri amici in Francia per aver mostrato una posizione inequivocabile e di principio», ha affermato il Ministero degli Esteri di Artsakh.

[*] Stabilire una pace duratura tra Armenia e Azerbajgian
La risoluzione adottato dal Senato francese il 15 novembre 2022 in sostegno dell’Armenia e dell’Arsakh
(Nostra traduzione italiana dal francese)

Proposta di risoluzione in applicazione dell’articolo 34-I della Costituzione per applicare sanzioni contro l’Azerbajgian e esigerne l’immediato ritiro dal territorio armeno, per far rispettare l’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 e favorire qualsiasi iniziativa volta a stabilire una pace duratura tra i due Paesi

Presentato da Bruno RETAILLEAU, Christian CAMBON, Éliane ASSASSI, Patrick KANNER, Hervé MARSEILLE e Gilbert-Luc DEVINAZ, Senatori e Senatrice

Il Senato,
Visto l’articolo 34-1 della Costituzione,
Vista la Carta delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945,
Visto il Trattato del Nord Atlantico del 4 aprile 1949,
Vista la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 4 gennaio 1969,
Vista la risoluzione 60/1 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 16 settembre 2005 sulla responsabilità di proteggere,
Considerato l’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre 2020,
Vista la delibera (2020-2021) n. 26 sulla necessità di riconoscere la Repubblica di Nagorno-Karabakh adottata dal Senato il 25 novembre 2020,
Considerando che le ripetute aggressioni delle forze militari azere nel Nagorno-Karabakh e nelle regioni meridionali e sud-orientali dell’Armenia costituiscono una violazione della sovranità di questo Stato e degli accordi di cessate il fuoco conclusi tra le due parti;
Considerato che i rapporti della Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) del Consiglio d’Europa e del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD) attestano l’impossibilità delle popolazioni armene di vivere liberamente in Azerbajgian;
Considerato che la sicurezza e la libertà delle popolazioni armene che vivono nel Nagorno-Karabakh non sono garantite dalla Repubblica di Azerbajgian;
Considerato che il conflitto del Nagorno-Karabakh e quello tra l’Azerbajgian e l’Armenia si svolgono in una regione particolarmente instabile, vicina all’Unione Europea, e comportano un rischio di escalation che potrebbe coinvolgere le potenze regionali;
Considerato che i colloqui di pace sotto l’egida dell’Unione Europea stanno subendo le conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina e delle questioni strategiche legate all’autonomia energetica dell’Unione Europea;
Considerando gli sforzi compiuti dal 1994 dalla Francia, nell’ambito del Gruppo di Minsk, di cui è co-Presidente insieme a Russia e Stati Uniti, per giungere a una soluzione pacifica del conflitto del Nagorno-Karabakh; considerando l’impatto del conflitto ucraino sulla capacità del Gruppo di Minsk di adempiere alla sua missione; considerando, inoltre, che tale processo è permanentemente ostacolato dal ricorso da parte dell’Azerbajgian ad una soluzione militare;
Considerate le condanne della comunità internazionale e la riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite su richiesta della Francia, che lo presiede;
Condanna fermamente le nuove aggressioni militari dell’Azerbajgian perpetrate all’inizio di agosto 2022 nel corridoio di Lachin che collega l’Armenia alla capitale del Nagorno-Karabakh, Stepanakert, e ribadite il 13 e 14 settembre 2022 contro le regioni meridionali e sudorientali del territorio di la Repubblica di Armenia, in violazione della sua sovranità, degli accordi internazionali e della Carta delle Nazioni Unite;
Chiede il ritiro immediato e incondizionato, alle loro posizioni iniziali, delle forze azere e dei loro alleati dal territorio sovrano dell’Armenia e dal corridoio di Lachin, la cui sicurezza e il cui status immutato devono essere garantiti, secondo i termini dell’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre 2020;
Invita, per il futuro, le autorità azere e tutti i loro partner nella regione, in particolare la Turchia, a rispettare l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Armenia conformemente ai loro obblighi e impegni internazionali;
Chiede il rilascio e il rimpatrio immediati e incondizionati di tutti i prigionieri di guerra armeni;
Condanna le violazioni da parte dell’Azerbajgian della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 4 gennaio 1969 e chiede il rispetto da parte delle autorità azere degli accordi e delle convenzioni internazionali volti a garantire la sicurezza delle popolazioni armene e il loro diritto vivere in pace e libertà, il diritto al ritorno delle popolazioni sfollate e la conservazione del patrimonio culturale e religioso armeno;
Invita il Governo a lavorare con determinazione affinché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si avvalga della Corte penale internazionale in merito all’aggressione dell’Azerbajgian sul territorio sovrano della Repubblica di Armenia, anche per indagare sui crimini di massa e sui crimini di guerra;
Invita il Governo a trarre tutte le conseguenze diplomatiche ed economiche di questi nuovi attentati, e a considerare, con i suoi partner europei, le risposte appropriate più forti – compreso il sequestro dei beni dei leader azeri e un embargo sulle importazioni di gas e petrolio dall’Azerbaigian – per sanzionare l’aggressione militare portata avanti dalle forze azere sul territorio della Repubblica di Armenia, in violazione della sua sovranità;
Invita il Governo a prendere in considerazione la creazione di un ufficio umanitario nel Nagorno-Karabakh;
Invita il governo a dimostrare con ogni mezzo il sostegno della Francia all’Armenia, considerando in particolare il rafforzamento delle capacità di difesa dell’Armenia al fine di garantirne l’integrità territoriale;
Invita il Governo a prendere senza indugio ogni iniziativa per garantire la sicurezza delle popolazioni armene e dell’Armenia, all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti, ea richiedere a tal fine il dispiegamento di una forza di interposizione sotto l’egida della comunità internazionale;
Ribadisce la necessità di riconoscere la Repubblica di Nagorno-Karabakh e di fare di tale riconoscimento uno strumento di negoziato al fine di instaurare una pace duratura;
Invita il Governo a fare tutto il possibile per garantire che l’Azerbaigian si impegni urgentemente e pacificamente in un processo di negoziazione attraverso i canali diplomatici, al fine di raggiungere l’instaurazione di una pace duratura nel Caucaso meridionale.

[**] Azerbajgian: libertà religiosa, solo quando serve
Le autorità dell’Azerbajgian hanno utilizzato e strumentalizzato l’appartenenza religiosa durante la seconda guerra del Nagorno-Karabakh, ma questo non ha implicato, nel periodo successivo, maggiore libertà religiosa
di Rovshan Mammadli
Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, 15 novembre 2021


Le comunità religiose dell’Azerbajgian hanno sostenuto la guerra, e non erano sole: il conflitto ha trovato ampio supporto tra tutti gli strati sociali del paese. La guerra ha unito cittadini, governo e militari di fronte al “nemico esterno”.

Si stima che la popolazione dell’Azerbajgian sia per il 95% musulmana (maggioranza sciita con una larga minoranza sunnita), i praticanti attivi però rappresentano solo una piccola parte. Per molti di quei credenti la guerra non ha riguardato solo il patriottismo e la difesa della patria ma ha goduto di una vera e propria “approvazione divina”.

Questo è il motivo per cui il clero si è recato spesso presso le unità militari a predicare il “martirio” e la “santità della madrepatria”.

Molti giovani credenti si sono offerti volontari per combattere ed adempiere ai loro “doveri divini”. A dimostrarlo ci sono i filmati delle unità militari e dei campi di battaglia, con momenti di preghiera comunitaria durante i combattimenti e i soldati riuniti per ascoltare la marsiya.

Ovviamente, per la maggior parte della popolazione dell’Azerbajgian, non si trattava solo di una guerra santa, ma anche di un conflitto territoriale e politico; infatti molti filmati mostravano soldati che bevevano vino e mangiavano carne di maiale. Questo però non cambia il fatto che l’Islam fosse una fonte di motivazione per i soldati che ogni giorno affrontavano la possibilità reale di morire.

Nonostante l’Azerbajgian sia un paese laico, l’identità islamica è diventata uno dei connotati principali della narrazione del governo durante le ostilità. Ad esempio, rituali islamici erano utilizzati simbolicamente per suggellare le vittorie militari e la riconquista delle città alle truppe armene.

Durante la guerra tra gli Azeri vi era grande speranza che la vittoria avrebbe portato un cambiamento radicale nel Paese. Speravano che la vittoria avrebbe portato con sé un aumento dei redditi, la fine della corruzione, un governo attento nei confronti dei suoi cittadini, e via dicendo.

Secondo questa logica, occupando i territori circostanti il Nagorno-Karabakh, l’Armenia aveva rotto l’armonia fondamentale per il corpo politico dell’Azerbajgian, causando una disarmonia che è diventata la radice dei mali sociali dell’Azerbajgian. Riguadagnando le terre prese dall’Armenia, l’armonia e la completezza sarebbero state restaurate e tutti i problemi sarebbero stati risolti.

Mentre le speranze spesso utopiche per il futuro post-bellico dell’Azerbajgian erano molto varie, le aspettative di molti devoti musulmani erano abbastanza specifiche. Speravano che la fine del conflitto avrebbe portato a una normalizzazione dei rapporti tra Stato e Religione.

Oggi, quasi un anno dopo lo scoppio della guerra, è chiaro che quest’ultima non sia stata la panacea che molti speravano e pensavano potesse essere. Mentre il Presidente Ilham Aliyev rimane popolare, le tensioni sociali dovute alle aspettative disattese stanno crescendo. In questo contesto, sono le aspettative disattese dei devoti Azeri, sebbene relativamente modeste, che possono divenire i semi di una futura crisi.

Un inasprimento della legge

Nel mese di maggio 2021 l’Azerbajgian ha modificato la legge sulla Religione imponendo nuove restrizioni alle comunità religiose. Secondo le nuove modifiche, le comunità senza un “centro religioso” non sono più autorizzate a concedere titoli o gradi religiosi al clero, a richiedere il permesso di avere come leader religiosi dei cittadini stranieri, a istituire scuole di educazione religiosa o ad organizzare visite dei propri fedeli a santuari e luoghi religiosi all’estero.

Inoltre sono state imposte restrizioni più dure sugli eventi religiosi di massa all’aperto; cerimonie come preghiere comunitarie e commemorazioni possono svolgersi solo in luoghi di culto o santuari.

In Azerbajgian vi sono stati problemi in termini di libertà di coscienza fin dall’indipendenza del Paese. Ad esempio, scattare una foto per il passaporto o la carta d’identità indossando il velo è ancora un problema per le donne. Kamal Rovshan, studentessa 24enne, ha lanciato una campagna social all’inizio di quest’anno per accrescere la consapevolezza riguardo a questa problematica.

“In Paesi dove non c’è una maggioranza islamica, come Russia e Germania, le donne possono utilizzare una foto con il velo; in un paese come l’Azerbajgian invece, dove la maggioranza della popolazione è islamica, è imbarazzante che questo non sia permesso” spiega in un video caricato su Facebook. “Potrà essere una problematica minore, ma ci dà fastidio”.

Sebbene il Difensore dei Diritti Umani dell’Azerbajgian abbia sollevato la tematica in Parlamento nel marzo 2021, nessun progresso è ancora stato fatto.

Precedenti tentativi delle autorità di affrontare la questione dell’Islam e della sua influenza nel Paese comprendevano restrizioni all’utilizzo di simboli religiosi, un controllo fermo sulle procedure di registrazione di istituti religiosi e – negli ultimi anni – la chiusura di diverse moschee.

La posizione rigorosa del Governo è visibile nella regolazione del volume dell’adhan (la chiamata alla preghiera, ndr) e del controllo della diffusione di letteratura religiosa e nel divieto ad utilizzare il velo nelle scuole pubbliche.

L’Ufficio per la libertà religiosa internazionale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha condannato i recenti emendamenti alla Legge sulla Religione descrivendoli come una “violazione degli standard internazionali”. L’Azerbajgian è uno dei dodici paesi nella loro “Special Watch List”.

Nel suo report più recente il Dipartimento rileva che “il Governo continua a imprigionare personaggi legati all’attivismo religioso”. Un gran numero di prigionieri politici nel Paese sono attivisti sciiti.

Il discorso islamico ufficiale

Il discorso ufficiale sottolinea la distinzione tra Islam “tradizionale” e “non tradizionale”. Il cosiddetto Islam “non tradizionale” è percepido come “distruttivo”, “politico” e “esportato da interessi esteri”.

Al contrario, l’Islam “tradizionale” è definito come “non politico”, “nato in Azerbajgian” e “non importato”.

Sebbene la lotta al radicalismo sia portata avanti in molti Paesi, qui c’è una grande differenza. Nella maggior parte dei Paesi, il contro-radicalismo è perseguito incoraggiando inclusione e partecipazione sia sociale che politica, scongiurando così le rimostranze delle minoranze. Nell’approccio della autorità dell’Azerbajgian non vi è nulla di questo.

L’Azerbajgian non persegue affatto una strategia “dei cuori e delle menti”, ma si basa solo su azioni repressive per combattere l’estremismo violento e la radicalizzazione ai sensi della legge “sulla lotta al terrorismo”.

Le autorità sostengono che misure così pesanti sono necessarie per impedire che il radicalismo straniero si diffonda nel Paese. Le statistiche dimostrano che tali affermazioni sono esagerate.

Secondo una ricerca del 2016 del Pew Research Centre, gli Azeri sono i meno favorevoli alla sharia tra i cittadini degli Stati a maggioranza islamica, con solo l’8% della popolazione che crede che essa dovrebbe sovrastare la legge civile.

Ci sono poche prove che suggeriscono che l’idea di un governo teocratico sarebbe popolare in Azerbajgian, anche se alcuni intervistati potrebbero non essere stati completamente aperti nell’esprimere le loro opinioni.

Inoltre, in tempi recenti, c’è stata un solo caso dovuto all’Islam violento radicale, ossia l’attacco del 2008 alla Moschea Abu Bakr a Baku, quando una granata lanciata durante l’ora della preghiera uccise due fedeli e ferì una dozzina di persone, tra cui l’imam. Si ritiene che l’attacco sia stato compiuto dal gruppo jihadista Forest Brothers, come conseguenza di un disaccordo ideologico tra due correnti salafite.

Il malcontento di Nardaran e Ganja, d’altra parte, dovrebbe essere visto come una ricerca di giustizia sociale.

In ogni caso, le restrizioni sopra menzionate sono in contrasto con la Costituzione, la quale garantisce ai cittadini il diritto alla libertà di assemblea e di coscienza, la presunzione di innocenza e l’uguaglianza indipendentemente dalla confessione religiosa a cui si appartiene. Se ci sono degli estremisti che abusano di queste libertà, essi dovrebbero essere processati in modo equo e ritenuti responsabili. Quello che è sbagliato e inefficace è utilizzare misure contro l’intera comunità solo perché alcuni dei suoi membri potrebbero essere coinvolti in attività illegali.

Solo un reale rispetto per la diversità di opinioni, credenze e stili di vita può portare l’Azerbajgian su una strada più democratica. Limitazioni sproporzionate della libertà religiosa e marginalizzazione delle voci dissenzienti può, al contrario, portare alla radicalizzazione e alla fine favorire l’auto avverarsi della profezia. Alla luce dell’esperienza di altri paesi a maggioranza islamica, l’attuale politica non è di buon auspicio per l’Azerbajgian.

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