Il “passo doble” del Vescovo di Lugano: «La necessità di esercitare un’autorità ha messo a dura prova la maniera per me più spontanea e connaturale di entrare in relazione con le persone»

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.10.2022 – Vik van Brantegem] – Ieri, 10 ottobre 2022 a mezzogiorno, il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede ha comunicato, che il Santo Padre Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Lugano (Svizzera) presentata da S.E. Mons. Valerio Lazzeri.

Contemporaneamente, il sito della Diocesi di Lugano ha comunicato [QUI], che – a solo 59 anni (nato a Dongio il 22 luglio 1963) dopo solo 9 anni di governo (fu eletto Vescovo di Lugano il 4 novembre 2013 da Papa Francesco) – «il Vescovo Valerio lascia il governo pastorale della Diocesi: arriva un Amministratore da Roma»: «Il Vescovo Valerio ha rimesso il suo mandato nelle mani del Santo Padre Francesco, che ha accolto la sua rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Lugano. L’ufficialità è giunta oggi, 10 ottobre 2022, ed è stata comunicata durante una conferenza stampa pubblica. Il Santo Padre ha anche nominato un Amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis che avrà il compito di accompagnare la Diocesi fino alla nomina del successore di Mons. Lazzeri. Si tratta di S.E. Mons. Alain de Raemy, Vescovo ausiliare di Losanna, Ginevra e Friburgo».

Quindi, l’amministrazione sede vacante non è toccato al Vicario Generale della Diocesi di Lugano, Don Nicola Zanini. Al riguardo, nella Conferenza Stampa la domanda rivolta al Vescovo Lazzeri: «Non era possibile traghettare la Diocesi fino all’arrivo di un nuovo vescovo?», è stata schivata dall’addetto stampa della Curia vescovile di Lugano, Luca Montagner, come riferisce il Corriere del Ticino: «Si tratta di una scelta arrivata dalla Santa Sede. Dobbiamo rispettarla». Anche la domanda rivolta all’Arcivescovo Krebs: «Può sorprendere la scelta di un vescovo “ad interim” fuori dal Ticino. Come mai?», è stata schivato dall’addetto stampa: «È una questione tecnica. L’amministratore apostolico è con sede vacante e per ordine della Santa Sede».

Mons. Lazzeri alla fine ha rinunciato al governo della Diocesi di Lugano. La notizia ha suscitato forte sconcerto in molti fedeli. Di natura discreto, Mons. Lazzeri era apprezzato per le sue doti umane, ma anche come intellettuale e non solo come teologo (con specializzazione in spiritualità, formatosi all’Università di Friburgo, al Pontificio seminario lombardo, alla Pontificia Università Gregoriana e alla Pontificia facoltà teologica Teresianum a Roma, compiendo nel 2009 a Bose un cammino di approfondimento spirituale, dedicandosi per un anno allo studio e alla ricerca).

Quindi, ieri Mons. Lazzeri ha dichiarato di aver rinunciato “liberamente per motivi personali”, parlando di due anni nel suo animo molto tribolati. Senza dubbio, col tempo la gestione diocesana era diventata molto complicata. La Diocesi di Lugano negli ultimi anni è stata scossa da diversi episodi, che sono finiti sulle prime pagine dei giornali ticinesi e alcuni hanno avuto anche dei risvolti giudiziari.

I conti diocesani in rosso – I conti della Diocesi di Lugano del 2020 furono chiusi con un deficit di quasi 1 milione di franchi svizzeri e i conti del 2021 dovrebbero chiudere con perdite di oltre 1,5 milioni di franchi svizzeri.

La brusca chiusura del Giornale del Popolo e la redazione sul lastrico – Uno degli episodi che più hanno colpito l’opinione pubblica ticinese è stata la chiusura, nel maggio del 2018, del Giornale del Popolo, avvenuta solo una settimana dopo il fallimento di Publicitas. Come aveva spiegato l’allora Direttore, Alessandra Zumthor, la scomparsa della società che ne gestiva gli annunci pubblicitari significava un ammanco di circa 400.000 franchi svizzeri su un budget di 4,2 milioni. Era l’unico quotidiano cattolico rimasto in Svizzera. Era stato fondato nel 1926 e proprietà per il 51% della Curia di Lugano. Aveva una tiratura di poco superiore alle 10.000 copie e con i suoi 35.000 lettori era il quarto giornale del Ticino. All’epoca Mons. Lazzeri, nel suo editoriale La decisone più dura, aveva spiegato, ma senza entrare nei dettagli, che la situazione economica non era più sostenibile. In un’intervista alla RSI aveva aggiunto: «Abbiamo dovuto, per legge, depositare i bilanci». In 30 persero il lavoro, senza un piano sociale, poiché allestirlo, come spiegò Mons. Lazzeri alla RSI: «Avrebbe voluto dire mettere la diocesi in ginocchio. Ci saremmo trovati a deporre il bilancio e a fare fallimento come diocesi». Alla faccia della dottrina sociale della Chiesa

Il caso degli abusi sessuali – Nel maggio del 2020 un sacerdote della Diocesi di Lugano fu accusato di abusi sessuali. Il Vescovo Lazzeri in una conferenza stampa ha raccontato, che era venuto a conoscenza della vicenda l’11 marzo 2020 tramite il racconto di una persona vicina alla vittima. Ne aveva riferito subito dopo alla Commissione diocesana di esperti per la gestione dei casi di abusi sessuali in ambito clericale, presieduta da Fabiola Gnesa, e agli inquirenti. A essere segnalato a carico dell’allora 50enne sacerdote era un unico episodio risalente a 5/6 anni prima, aveva precisato Mons. Lazzeri. L’imputato era accusato di atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere, aveva fatto sapere il Pubblico Ministero.

La vicenda di Don Azzolino Chiappini – Nel novembre del 2020 la vicenda giudiziaria di Don Azzolino Chiappini aveva suscitato molto clamore e stupore nell’opinione pubblica. Il già Vicario Generale della Diocesi di Lugano e Rettore emerito della Facoltà di Teologia dell’Università della Svizzera Italiana, era stato arrestato con l’accusa di aver segregato in casa una finlandese 48enne, priva di regolare permesso di soggiorno. L’allora 80enne sacerdote fu scarcerato qualche giorno dopo. L’inchiesta si era chiusa in febbraio 2021, quando la Procura ha emanato un decreto di abbandono. Gli indizi dei reati ipotizzati di sequestro di persona, coazione e lesioni semplici per omissione ai danni della donna, dimorante da molto tempo nell’abitazione dell’imputato, non erano corroborati. La Curia di Lugano all’epoca aveva fatto sapere in una nota che, visto il clamore che la vicenda aveva suscitato, Don Chiappini, stimato teologo a livello mondiale, «ha ritenuto di dover rinunciare a tutti gli incarichi finora ricoperti in Diocesi, compreso l’insegnamento presso la facoltà».

La mancata visita ad limina a Roma nel 2021 – Nel novembre del 2021 Mons. Lazzeri non aveva potuto recarsi a Roma, dove era in corso la visita ad limina dei vescovi svizzeri. La Curia di Lugano giustificò l’assenza, non comunicata in anticipo, con il fatto che Mons. Lazzeri, a seguito del perdurare di «difficoltà deambulatorie dovute a un infortunio a una caviglia» avvenuto tre mesi prima (ma mai reso pubblico), non poteva essere presente a Roma.

Le malversazioni di Don Samuele Tamagni – Nel novembre del 2021 era venuto a galla un episodio di truffa da parte dell’allora parroco di Cadro, Don Samuele Tamagni. Nel marzo del 2022 è stato condannato a 33 mesi di detenzione, 6 mesi da espiare e 27 mesi sospesi con la condizionale per 2 anni. È stato riconosciuto colpevole di appropriazione indebita ripetuta e in parte aggravata, truffa ripetuta, amministrazione infedele aggravata e ripetuta. Ha compiuto malversazioni per circa 900.000 franchi svizzeri, dilapidando il suo patrimonio, quello dei genitori, facendosi consegnare denaro ingannando amici e parrocchiani, prelevandolo dalla cassa di una colonia per bimbi, di una fondazione legata alla parrocchia e della Fondazione intestata al nipote Damiano, morto tragicamente in un alterco alla Stranociada del 2008. I soldi sono finiti in gran parte nelle tasche di un 27enne italiano col quale Don Tamagni aveva intrecciato una relazione sentimentale. I soldi sono stati sperperati al casinò o in investimenti in attività senza sbocco.

Il caso del prete molesto e ubriaco – L’ultima vicenda in ordine di tempo che ha provocato scandalo ai fedeli è quella che ha visto coinvolto un sacerdote della Diocesi di Lugano in due casi distinti. Il primo episodio risale al dicembre del 2021, quando la polizia è stata chiamata in una discoteca del Mendrisiotto. Il sacerdote era stato accusato da una ragazza di averla molestata. Dall’episodio sarebbe nato un alterco, a tratti violento, con altri avventori. Da qui la richiesta dell’intervento delle forze dell’ordine. Il secondo episodio risale alla metà di maggio di quest’anno quando il sacerdote è stato fermato alla dogana di Ponte Chiasso, ubriaco al volante dell’auto intestata alla parrocchia del Mendrisiotto. Solo dopo questo episodio fu sospeso a divinis.

Luca Montagner, il Vescovo Valerio Lazzeri e l’Arcivescovo Martin Krebs (Foto Corriere del Ticino).

La Curia vescovile di Lugano aveva annunciato la “conferenza stampa pubblica” (che esistono anche conferenze stampa “non pubbliche” mi è nuovo) convocata a mezzogiorno di oggi, 10 ottobre 2020 a Lugano, per «la comunicazione di alcune importanti informazioni diocesane». Per l’incontro con i media – durato 45 minuti – si sono presentati il Vescovo Valerio Lazzeri; l’Arcivescovo Martin Krebs, Nunzio Apostolico in Svizzera; Mons. Alain De Raemy, Vescovo ausiliare della Diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo, nominato dal Papa Amministratore apostolico della Diocesi di Lugano, in attesa della nomina del successore di Mons. Lazzeri; e Luca Montagner, l’Addetto stampa della Curia vescovile di Lugano.

«Pochi minuti fa la Santa Sede ha comunicato quanto stiamo per dirvi. Il Vescovo e la Curia erano tenuti alla riservatezza, perché le comunicazioni sono di competenza del Santo Padre», ha “spiegato” l’ovvio in apertura Luca Montagner.

Il Vescovo Valerio Lazzeri, l’Arcivescovo Martin Krebs, il Vescovo Alain De Raemy (Foto Corriere del Ticcino).

Ha quindi ha preso la parola Mons. Lazzeri, che ha letto il Messaggio che riportiamo di seguito.

Poi, il Nunzio Apostolico ha letto il Decreto «sulla nomina dell’Amministratore apostolico di Lugano»: «Al fine di provvedere al governo della Chiesa di Lugano, vacante per la rinuncia di Valerio Lazzeri, Papa Francesco con il presente decreto nomina e costituisce Sua eccellenza Mons. Alain De Raemy ad Amministratore apostolico. A partire da oggi e fino alla presa di possesso canonica del vescovo da eleggere. E gli conferisce i diritti, le facoltà, i servizi che secondo le norme del diritto spettano ai vescovi diocesani».

Il Vescovo Alain De Raemy.

Infine, dopo le parole di Mons. De Raemy, il Vescovo emerito di Lugano ha risposto alle domande dei giornalisti.

De seguito riportiamo alcuni domande e risposte significative, riferite da Jenny Covelli per il Corriere del Ticino.

I vari scandali, in questi anni, che hanno colpito la Diocesi anche con preti ora in carcere, hanno pesato sulla sua decisione?
«Chi mi conosce sa che non sono indifferente a nulla di quello che capita, soprattutto nell’ambito della Chiesa che mi è stata affidata. Tutto concorre a riflettere, a pensare al proprio ruolo e può portare a un carico di fatiche. Ma, ripeto, sono cose che possono succedere e non portare a questa decisione. La mia decisione deriva da un percorso mio personale, non sono i fatti stessi che producono la decisione. Ci sono tante situazioni, tanti elementi che uno raccoglie e poi ne raccoglie le conseguenze».

Lei ha parlato di “inclinazioni naturali”, ha chiesto perdono, si è assunto le responsabilità di questa scelta… Ci sono responsabilità da attribuire alla gestione della Curia?
«È sempre difficile trarre delle considerazioni generali da quello che uno vive personalmente. Non sono in grado di trarre delle indicazioni. Non do la colpa a nessuno. D’altra parte è evidente che il ruolo del vescovo è impegnativo, soprattutto in questo nostro tempo complesso di cambiamenti in atto a ogni livello nella Chiesa. Il servizio episcopale è particolarmente impegnativo. Io non lo so se si potrà cambiare qualcosa. Io ho semplicemente risposto alla situazione concreta in cui mi trovavo e l’ho fatto nella maniera più onesta possibile».

Si è percepito che quello che le è pesato di più è il lato amministrativo e disciplinare. Se avesse pensato solo al lato religioso avrebbe presto questa decisione?
«Io sono felice di essere prete e vescovo e di avere questa grazia di annunciare il vangelo, celebrare i sacramenti. Mi sono sempre trovato molto bene con la nostra popolazione. Mi ha sempre riempito di gioia e riconoscenza. Io non ho una Laurea in economia e commercio e non ho scelto di dare la mia vita al Signore per amministrare o gestire o comandare ad altri o per essere a capo di un’istituzione particolarmente articolata e con esigenze formali molto forti. Ero ben consapevole che ci fosse anche questa dimensione, mi sono fidato di quelli che mi hanno chiamato a fare questo servizio e ho cercato di farlo nel miglior modo possibile. Poi uno riconosce che arriva a un certo punto e continuare non è bene né per lui né per gli altri».

La Chiesa di Papa Francesco è cambiata moltissimo. Quanto questo cambiamento l’ha colpita? Forse ha capito che qui a Lugano non è così facile essere “Chiesa di Papa Francesco”?
«Non è facile da nessuna parte realizzare un obiettivo e una prospettiva come quella aperta da Papa Francesco, che è una prospettiva che lui stesso definisce “aprire un percorso” più che “raggiugere un obiettivo”. Quello che è cominciato qui in Diocesi è anche a seguito degli stimoli di Papa Francesco, che ho cercato di tradurre. È un processo che è in atto e che non dura un giorno o un anno. Ma non credo che sia per questa fatica che si arriva oggi a questa decisione. Quello è un cammino di Chiesa che comporta un processo lento e impegnativo».

La sua vita procederà a Lugano? Cosa farà in futuro?
«Io ho chiesto un tempo di riflessione, di preghiera, di discernimento e anche di ripresa delle mie passioni di studio. Sceglierò un contesto dove questo è possibile, senza intralciare il cammino della Diocesi. Non scappo dal Ticino, non rompo i legami con il cantone, ma da questo punto in avanti la mia presenza diventerà particolarmente discreta e riservata».

Non ha mai pensato di creare una figura che la sgravasse un po’?
«I miei collaboratori hanno lavorato in maniera competente e abbiamo sempre avuto persone professionalmente all’altezza delle situazioni. Non è questo il problema. La Diocesi va avanti su questo piano. Il problema è che il ruolo del vescovo è anche quello di responsabilità in un ambito per cui ci vuole un minimo di predisposizione per entrare più efficacemente nella comprensione delle cose».

Se dovesse tornare indietro, gestirebbe diversamente i casi di scandalo che hanno coinvolto dei preti?
«Io credo di aver sempre fatto quello che in coscienza e scienza potevo fare in quel momento. Non sono mai tornato su queste cose. E credo sinceramente di non aver mai fatto niente per ostruire la comunicazione nei limiti delle possibilità che avevo in quel momento. Su questo non ho nulla da rimproverarmi. Anche se a volte quello che possiamo dire non è sempre la comunicazione che si vorrebbe ricevere».

Mons. Valerio Lazzeri: «Non riesco più a immaginarmi in questa posizione». «Negli ultimi due anni una fatica interiore mi ha progressivamente tolto lo slancio e la serenità» (Foto di Gabriele Putzu/Corriere del Ticcino).

Messaggio del Vescovo Valerio Lazzeri in occasione dell’annuncio della sua rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Lugano
Lugano, 10 ottobre 2022

Cari Amici,
Care Amiche,

Non è facile per me prendere la parola questa mattina. Una folla di sentimenti contrastanti assediano il mio cuore. Sono consapevole delle conseguenze rilevanti, del peso e anche di un certo smarrimento che la decisione da me presa non mancherà di provocare in molte persone. A tutti chiedo da subito perdono. Vi posso solo dire che, in mezzo al subbuglio, il Signore mantiene in me un angolo di pace sufficiente per rivolgermi a Voi in questo momento e tentare di farVi capire, senza indebite drammatizzazioni, ciò che sta accadendo.

Questa mattina a Roma, in contemporanea al nostro incontro, viene comunicato ufficialmente che il Santo Padre, dopo aver benevolmente accolto le ragioni da me presentate, ha accettato la mia rinuncia spontanea al governo pastorale della Diocesi di Lugano.

Da quasi nove anni, Papa Francesco mi aveva affidato questo compito. In questo tempo, difficile da descrivere – prezioso, impegnativo, per me ricco di sfide e di esperienze mai vissute prima – ho avuto momenti e incontri indimenticabili, ho ricevuto, in abbondanza e spesso, doni inattesi; ma soprattutto ho sperimentato più volte la misericordia del Signore, che proprio nella nostra debolezza è solito manifestare la sua potenza d’amore. Di questo rendo grazie dal profondo del cuore.

Il popolo di Dio da me incontrato nei vari ambiti diocesani, i Presbiteri, i Diaconi, i fedeli e tutte le singole persone che ho potuto conoscere nelle situazioni più diverse, mi hanno dato innumerevoli occasioni di gioire e di esultare nel Signore. L’annuncio della Parola di Dio, la celebrazione dei sacramenti, il ministero della consolazione e della vicinanza, soprattutto alla gente più umile e semplice, ai più svantaggiati e sofferenti, sono stati, e saranno sempre, gli assi portanti della missione che mi sento tuttora chiamato a compiere. Non faccio fatica a riconoscere quanto lo Spirito Santo continui anche oggi a operare i prodigi che hanno accompagnato la prima predicazione del Vangelo di Gesù Cristo, risorto dai morti.

Simultaneamente, però, la sincerità e la totale trasparenza che vi devo dopo il tempo vissuto insieme mi spingono ora a dirvi, senza troppi giri di parole, che, soprattutto negli ultimi due anni, è andata crescendo dentro di me una fatica interiore, che mi ha progressivamente tolto lo slancio e la serenità, richiesti per guidare in maniera adeguata la Chiesa che è a Lugano.

Con il passare degli anni gli aspetti pubblici di rappresentanza, di governo istituzionale e di gestione finanziaria e amministrativa, che sono sempre stati lontani da tutto ciò che le inclinazioni naturali e il ministero mi avevano portato a coltivare in precedenza, sono diventati per me insostenibili, nonostante la presenza di validi e competenti collaboratori, a cui va sin da ora tutta la mia riconoscenza. Molte volte la necessità di esercitare un’autorità, che non può fare a meno anche di strumenti giuridici e disciplinari per assicurare il bene comune in determinate circostanze, ha messo a dura prova la maniera per me più spontanea e connaturale di entrare in relazione con le persone.

Ho sempre fatto il possibile per non sottrarmi alle mie responsabilità di Vescovo, ma mi sono reso conto che lo sforzo e la continua tensione che ciò mi imponeva mi hanno portato interiormente sempre più lontano da quello che sono e, in parte, anche da quello che continuo a ritenere essere il mio vero compito di pastore e di padre. Ve lo dico a cuore aperto: non riesco più a immaginarmi nella posizione che finora ho cercato sinceramente e con tutto il cuore di fare mia; non riesco più a vedere un modo di interpretare e di vivere la missione di Vescovo di Lugano autentico e sostenibile per me e, di conseguenza, veramente proficuo per tutti.

Per questo, dopo un lungo discernimento, tenuto conto di quanto previsto al numero 4 delle “Disposizioni sulla rinuncia dei vescovi diocesani”, approvate da Papa Francesco il 3 novembre 2014, ho ritenuto necessario, per il maggior bene della Diocesi e di tutti, rimettere nelle mani del Santo Padre il mandato da lui conferitomi a suo tempo, perché possa essere affidato a chi lo potrà svolgere con tutta la saldezza, la santità e la dedizione richieste.

Addolorato per tutto il disagio, la delusione, la sofferenza, che potranno scaturire da questo mio passo, ma anche sereno e convinto davanti al Signore di non potere in coscienza agire diversamente, oso contare anche oggi sulla Vostra comprensione, sull’affetto e la commovente vicinanza che molti di Voi mi hanno riservato nel corso di questi anni di episcopato. Vi chiedo di continuare a pregare per me. Io lo farò più che mai per Voi, per la nostra amata Chiesa, per il nostro Ticino e per il nostro Paese. In me, davvero, non c’è ombra di amarezza verso nessuno. Solo affetto e tenerezza per ogni volto e per ogni nome, anche verso coloro a cui, per i miei limiti, non sono riuscito a far capire quanto ho sempre voluto loro bene. Ora, si apre per me una fase nuova, che vorrei in un primo tempo dedicare alla riflessione, al silenzio e alla ricerca orante, nella disponibilità a lasciarmi indicare dal Signore la modalità con cui, con tutto quello che sono, potrò continuare a servire il Vangelo e la Chiesa.

Vi chiedo anche di pregare per il Vescovo Alain, che la Santa Sede ha designato come Amministratore Apostolico, in attesa della nomina del mio successore. Egli assume, in spirito di fede e con grande senso di responsabilità ecclesiale, un servizio oneroso e delicato, nella consapevolezza di dover accompagnare con amore e nella pace il tempo particolare in cui entra ora la nostra Chiesa. Sono certo, in ogni modo, che essa non mancherà di ricevere dal Signore tutte le grazie e le risorse necessarie per affrontare anche questo passaggio di consegne.

L’immagine che vorrei lasciarvi è quella ripresa nel ricciolo del pastorale, da me usato in questi anni, che fu già quello del Vescovo Giuseppe Martinoli. Esso raffigura il Signore glorioso dell’Apocalisse, Colui che tiene nella sua mano le sette stelle che rappresentano l’insieme della comunione ecclesiale.

È Lui l’unica salda garanzia del legame indistruttibile che ci unisce per sempre, al di là delle vicissitudini che dobbiamo affrontare nel tempo. Ho cercato in questi anni di fare riferimento solo a Lui, di parlarvi solo di Lui, di portarvi a Lui, distogliendo da me il più possibile il Vostro sguardo. Non lasciate che questo momento Vi distragga da Lui.

Affidiamoci alla Beata Vergine Maria, ai nostri patroni – San Carlo, Sant’Ambrogio, Sant’Abbondio – a San Lorenzo, patrono della nostra Cattedrale. Vi chiedo perdono per le mie mancanze e per le mie inadempienze, che sono certamente tante. Non finirò mai di rendere grazie per la testimonianza di fede che da Voi ho ricevuto, per la bontà, la comprensione e la cordialità, con cui mi avete accolto.

Il Signore ricompensi tutti! Penso anzitutto ai collaboratori più stretti, ai fratelli nel ministero: Vescovi, Presbiteri, Diaconi! Penso a tutti i fedeli, agli uomini e alle donne del nostro Cantone, alle autorità che lo governano, a quelli che ho potuto salutare e conoscere in questi anni, agli anziani e ai giovani, ai malati, ai poveri e ai sofferenti di ogni tipo. Non preciso ulteriormente, perché nessuno si senta escluso. Riconosco che con la decisione di oggi potrete avere la sensazione di un legame che si interrompe. Non è così. Vi voglio assicurare che da parte mia il vincolo che mi unisce per sempre a Voi diventerà ancora più saldo, perché sarà coltivato e custodito principalmente in Dio. In Lui Vi porto e Vi abbraccio. Da Lui invoco la benedizione, che sola può guarire le ferite, consolare i cuori, risollevarci da ogni stanchezza, far vivere e rigenerare i nostri cammini in Gesù e Maria, dolce Madre.

+ Valerio Lazzeri
Vescovo di Lugano

Postscriptum

1. Il “passo doble” ecclesiastico

Prendo atto, che il Vescovo emerito di Lugano ha comunicato in sostanza, con tanti giri di parole, che dopo nove anni di governo diocesano non ha retto più il peso della responsabilità. Vorrei soltanto osservare, come laico, avendo terminato a 67 anni il mio servizio alla Chiesa, dopo aver retto per 45 anni il peso della responsabilità, che Sua Eccellenza Reverendissimo, poteva permettersi la rinuncia, perché continuerà a ricevere ogni mese il suo sostentamento, mentre prende tutto il tempo che vuole per la riflessione. Un laico con famiglia, invece, non ha possibilità di poter sottrarsi alle responsabilità affidatogli, perché deve sostenere la sua famiglia e se non lavoro, non arriva lo stipendio. E questo dico senza troppi giri di parole, non con una lunga lettera e tanti giri di parole. Infine, prendo anche atto, che Sua Eccellenza Reverendissima si è detto “addolorato” per tutto il disagio, la delusione, la sofferenza, che sono scaturiti – anche in me – da questo suo “passo”, come afferma, anche se a noi pare piuttosto un “passo doble” [*]

V.v.B.

2. A margini delle notizie ecclesistiche da Lugano, con un “passo doble” giornalistico, il pensiero va alla ‘ndrangheta a Lugano

Come nel caso dei giornalisti che a margine di un evento, assalgono con “passo doblo” la pesonalità che presenzia, con domande su tutt’altro argomento di quello trattato nella circostanza, quando si parla della Svizzera ci viene subito in mente Giovanni Falcone e la sua intuizione: follow the money. Perché se ci si mette a seguire un cane da tartufi che cerca i soldi “sporchi” delle mafie, come se il cane cercasse tartufi, più di una volta si arriva in Svizzera. Insieme al cane, ma senza tartufi [QUI].

È entrato questo signore, un contadino qualsiasi. E ha iniziato a urlami contro. Era la prima volta in vita mia che un detenuto mi aggrediva verbalmente. Aveva una voce… Non ho potuto interrogarlo perché lui urlava». Un atteggiamento che Carla Del Ponte paragona a quello di Slobodan Milosevic, con cui ha avuto a che fare in quanto procuratrice capo del Tribunale internazionale dell’Aia. Cosa le ha lasciato l’incontro con Riina? «Alla fine mi ha detto“, dottoressa mi scusi per il mio comportamento”. A quel punto il collega mi ha avvisata: “Questo è il messaggio mafioso. Devi stare molto attenta”». Del Ponte ha dedicato tutta la sua vita al diritto penale per «cercare giustizia per le vittime». Anche quelle della mafia, che in Svizzera è sempre venuta a portare i suoi soldi [QUI].

La caccia ai “piccioli” della mafia che arrivano fino agli amici di Lugano [QUI].

La Svizzera e la mafia: un rapporto che dura da 50 anni. Le armi arrivano dalla Svizzera
Armi, droga, appalti e soldi, tantissimi soldi da “lavare” e tenere al sicuro nei  caveau delle banche svizzere oppure da rimettere in circolazione investendo nel mattone. Sono questi i capisaldi delle attività mafiose in Svizzera. I soldi si fanno con le estorsioni, il potere si mantiene con le armi e i guadagni si moltiplicano con la droga.
E quando si parla di riciclaggio di denaro la Svizzera, anche dalle numerose testimonianze dei collaboratori di giustizia, risulta essere stata, specialmente in tempi passati, terra d’elezione per le attività di ripulitura e reinvestimento di denaro sporco. Il mafioso, così come il camorrista e lo ‘ndranghetista, non ha un solo identikit: oltre al colletto bianco ci sono anche gli imprenditori affiliati a qualche cosca che si trasferiscono nel paese elvetico con capitali mafiosi e utilizzando i mezzi di intimidazione e collusioni, cari all’organizzazione mafiosa, svolgono diverse attività economiche all’apparenza “sane”.
Oltre a questi capi però in Svizzera è presente anche la manovalanza, che va dal semplice “soldato” al “colonnello” dell’organizzazione mafiosa, che pur operando in modo più nascosto, svolgono compiti e non funzioni criminali simili a quelle svolte nei territori d’origine. Da sempre la Svizzera, e in special modo il Canton Ticino, hanno rappresentato il forziere prediletto delle organizzazioni criminali tradizionali, questo anche per la vicinanza fisica con il confine italiano e l’economia più florida rispetto a quella italica, rappresentando un punto di passaggio attraverso cui far perdere le tracce del denaro e la sua origine illecita
[QUI].

Nicola Gratteri, Lugano: ”’Ndrangheta è presente in Svizzera per succhiare la ricchezza’[QUI].

Il Papa a caccia di 11 milioni sul Ceresio [QUI e QUI].

Lo Staff dell’Editore

[*] Il passo doble è una danza di origine spagnola, che originariamente era usata per accompagnare l’entrata delle quadriglie all’inizio della corrida. Durante l’esecuzione i ballerini devono esprimere una storia di sfida come fra toro e torero, sottomissione e attacco. Importantissimo è l’atteggiamento e l’espressione corporea del ballerino che deve quasi sempre avere una posizione statuaria, mantenendo le braccia come se tenesse in mano la cappa e con il bacino sempre avanti. L’espressione del viso deve avere carattere aggressivo con una decisa attenzione verso la partner e lo spazio intorno a dove si danza. I vestiti utilizzati per questo ballo spesso ricordano proprio il torero per il cavaliere e per la dama vengono impiegate gonne larghe, principalmente rosse e nere, quasi sempre mantenute ampie dalle mani; le ballerine spagnole sono rappresentate con uno chignon basso con una rosa in mezzo, delle calzature nere e del rossetto rosso.

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