Il legame tra l’abbandono della talare e il decadimento morale del sacerdote

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Il Cardinale Giuseppe Siri (1907-1989) in A Te sacerdote (Casa Mariana Editrice 1987 [QUI]) svolge con la sua solita non comune sapienza, lo stile raffinato, la consumata esperienza di formatore dei sacerdoti delle importanti tematiche teologiche. Egli ha approfondito aspetti primari del sacerdozio, come la sua immutabilità, e quelli che parrebbero secondari, ma che tuttavia investono la vita del sacerdote, condizionandone la crescita. Seguo l’Introduzione e uno stralcio dal saggio.

Presentazione
Sacerdozio secondo il Vangelo


Cari confratelli, nel giorno sacro, che accomuna il ricordo della istituzione della santissima Eucarestia e quella del Sacerdozio, il nostro accorato appello è rivolto a voi, con noi corresponsabili delle anime, con noi onerati dall’inflessibile dovere di non piegarci ad umane ragioni, per essere fino alla fine fedeli a Gesù Cristo.

E il nostro appello è questo: siate in tutto, anzitutto, soprattutto, senza riduzione alcuna, in qualsivoglia circostanza od umano contatto, dei sacerdoti veri, ossia dei ministri di Dio secondo il Cuore Suo, secondo l’Evangelo. Se ce ne fosse bisogno, ritorniamo alla purezza integrale della nostra vocazione, del nostro dovere, della nostra assoluta dedizione. Ancora: se ce ne fosse bisogno allontaniamo da noi ogni contaminazione o confusione o compro messo con quello che non si confa alla linea del sacerdote quale Gesù Cristo l’ha voluta. Ogni riduzione della verità e del dovere, a qualunque titolo, sarà un cedimento, sarà dannosa alle anime, sarà nefasta ai nostri fratelli. Agiamo come se l’ufficiatura divina – quella che a noi si conviene per prima – durasse tutta la vita e come se ogni nostra azione, anche la più apparentemente neutra, ne facesse parte o fosse – come dovrebbe – assorbita dalla stessa divina liturgia. Non accettiamo ragionamenti o costumi che si addicono solo all’umana cecità ed all’umana debolezza. Non riteniamo mai che il miglior bene delle anime possa essere il frutto di un patteggiamento col diavolo. Rimaniamo sulla predella dell’altare e se dovesse accadere a noi di trattare di cose umane che all’altare direttamente non appartengono, facciamolo sempre senza abbandonare, quanto a intenzione, a dirittura ed a stile, la predella dell’altare.

Intendeteci bene. Non diremo mai che non dovrete occuparvi d’altre cose quando ciò fosse anche solo indirettamente richiesto od ammesso dal bene delle anime. Diciamo solo – e ripetiamo – che quanto a intenzione, dirittura e stile dovete comportarvi come se foste sempre all’altare, tra le cose sante, nell’esercizio del rito sacro.

Infatti l’esser la Chiesa una società perfetta visibile e gerarchica per volere di Gesù Cristo l’obbliga a camminare per le vie del mondo, a non essere assente dalle umane vicende, a doversi anzi spesso occupare di esse. Nel che sta forse per la Chiesa e per tutti noi la più pericolosa prova.

Perché questo appello? La materializzazione della vita, l’inflazione della tentazione, l’organizzazione del male è giunta ad un punto tale che solo la netta distinzione dal mondo, la totale adesione a Gesù Cristo e solamente a Lui potrà salvarci dall’essere noi stessi inghiottiti o sminuiti e potrà mantenerci la piena efficienza di servire i nostri fratelli.

Il mondo ha una tentazione collettiva: non dobbiamo caderci. Il mondo sta facendo esperienze illusorie: non dobbiamo essere irretiti.

Gli eletti stessi sono talvolta tratti in inganno: non dobbiamo in questo seguirli.

Soprattutto: sentimenti o passioni aliene dalla casa di Dio sembrano, in qualche caso, esservi entrati, senza alcun diritto, a dividere gli animi su questioni che non possono taglieggiare la nostra obbedienza, la nostra umiltà, la nostra Fede. Dovete pertanto proporvi seriamente di vivere con perfezione sempre maggiore l’ideale sacerdotale secondo lo spirito del Vangelo. Capirete meglio appresso perché abbiamo oggi determinato di rivolgervi un appello così grave e così accorato. Il motivo non siete voi, cari sacerdoti nostri, perché possiamo rendere testimonianza della vostra Fede e della vostra disciplina; ma i motivi lontani da voi, se non fossero tenuti a bada, si avvicinerebbero e potrebbero mettervi in pericolosa tentazione.

Vogliate dunque riflettere bene ai semplicissimi principi che qui vi esponiamo.

* * *

Pagine 67-73
Chi vuol bene al sacerdozio, non scherzi con la sua divisa


[…] Ritengo di attirare la attenzione su un problema, che sta diventando della massima importanza: quello dell’abito ecclesiastico. […] Di fatto si sta assistendo alla più grande decadenza dell’abito ecclesiastico. […] L’abito condiziona fortemente e talvolta forgia addirittura la psicologia di chi lo porta. L’abbigliamento, infatti, impegna per la vestizione, per la sua conservazione, per la sostituzione. È la prima cosa che si vede, l’ultima che si depone. Esso ricorda impegni, appartenenze, decoro, colleganze, spirito di corpo, dignità! Questo fa in modo continuo. Crea pertanto dei limiti alla azione, richiama incessantemente tali limiti, fa scattare la barriera del pudore, del buon nome, del proprio dovere, della risonanza pubblica, delle conseguenze, delle malevoli interpretazioni. […] L’abito non fa il monaco al 100%, ma lo fa certamente in parte notevole; in parte maggiore, secondo che cresce la sua debolezza di temperamento. […] Per tale motivo la questione della divisa ingigantisce nel campo ecclesiastico e si impone alla attenzione di quanti vogliono salvare vocazioni, perseveranza negli accettati doveri, disciplina, pietà, santità! […] succede che in talune città d’Italia (non citiamo ovviamente i nomi, ma siamo ben sicuri di quello che diciamo) per l’assenza di ritegno imposto dalla sacra divisa si arriva ai divertimenti tuttavia proibiti dal Codice di Diritto Canonico, ai night clubs, alle case malfamate e peggio. Sappiamo di retate di seminaristi fatte in cinema malfamati ed in altri non più consigliabili locali. Tutto per colpa dell’abito tradito! […] Il bilancio che ne consegue. Eccolo:
– disistima;
– sfiducia;
– insinuazioni facili e talvolta gravi;
– preti che, cominciando dall’abito e dallo smantellamento della prima umile difesa, finiscono dove finiscono […];
– crisi sacerdotali, del tutto colpevoli, perché cominciate col rifiuto delle necessarie cautele, richieste dal Diritto Canonico e dal consiglio dei Vescovi […], con risultati disgraziati e spostati […];
– seminari che si svuotano e non resistono; mentre nel mondo, tanto in Europa che in America, rigurgitano i seminari, ordinati secondo la loro genuina origine, col rigoroso abito ecclesiastico, nella vera obbedienza al Decreto conciliare Optatam totius;
– anime che si trascinano innanzi senza più alcuna capacità decisionale, dopo la loro contaminazione col mondo.
[…] Credo difficile possa esistere nel nostro tempo, proprio per le sue caratteristiche, lo spirito ecclesiastico senza il desiderio e il rispetto dell’abito ecclesiastico. […] Qui non parliamo solo di «abito ecclesiastico», ma di talare. E guardiamo bene le cose in faccia, senza alcun timore di quel che si può dire. […] Alcuni, per boicottare l’uso della talare o per giustificarsi nell’aver ceduto alla moda corrente contraria all’abito talare, affermano: «Tanto la talare è un abito liturgico», volendo così esaurire l’eventuale uso della talare alla sola liturgia. Questo è apertamente falso e capziosamente ipocrita! […] Francamente è chiaro che il clergyman […] non è la soluzione più desiderata. Chi non ama la sua talare resisterà ad amare il suo servizio a Dio? Il prossimo non sostituisce Dio! Non è soldato chi non ama la sua divisa. […] L’indirizzo da darsi è:
– che anche se la legge ammette il clergyman, esso non rappresenta in mezzo al nostro popolo la soluzione ideale;
– che chi intende avere l’integro spirito ecclesiastico deve amare la sua talare; […]
– che la difesa della talare è la difesa della vocazione e delle vocazioni.
Il mio dovere di Pastore mi obbliga a guardare assai lontano. Ho dovuto constatare che la introduzione del clergyman oltre la legge e le depravazioni dell’abito ecclesiastico sono una causa, probabilmente la prima, del grave decadimento della disciplina ecclesiastica in Italia. Chi vuol bene al sacerdozio, non scherzi con la sua divisa!

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