«Il terrorismo si sconfigge non essendone terrorizzati»

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Lo scrittore Sir Ahmed Salman Rushdie (foto di copertina) ferito da un islamico [Salman Rushdie accoltellato prima di una conferenza a New York. L’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia condanna fermamente l’aggressione – 12 agosto 2022] rischia di perdere un occhio. E la scorta? Trenta federali a Mar-a-Lago a casa di Trump, mentre i terroristi sono liberi di colpire in America. Tutto succede proprio mentre si tratta con il regime di Teheran sul nucleare. La riflessione dell’amico e collega Renato Farina ieri, 14 agosto 2022 su Libero Quodiano: Mezzo Fbi a casa Trump, un agente per Rushdie. Biden usa i servizi solo per garantirsi il bis.

«I vigliacchi occidentali se la fanno sotto sull’Islam. Le 15 coltellate a Salman Rushdie e i benpensanti che non chiamano più alla difesa della libertà di parola perché l’hanno già persa. L’autocensura dilaga (libri, musei, cinema, giornali). Solo in Francia ci sono 120 persone che vivono sotto scorta a causa dell’Islam, alcuni in case-bunker. Sgozzano a morte un parlamentare inglese in una chiesa? Non parliamone. Sgozzano a morte un medico davanti a una scuola? Non parliamone. Bruciano le chiese, riempiono di cristiani le fosse comuni, selezionano chi uccidere se sappia o meno recitare la Shahada in Africa come in Medio Oriente? Non parliamone. Condannano a morte Asia Bibi, che oggi deve persino nascondersi come Rushdie in Canada? Non parliamone. Uccidono le suore e decapitano i preti dopo il discorso di Ratzinger a Ratisbona? Attacchiamo il Papa che ha detto la verità. L’Islam ha infilato il suo dito ossuto nelle parti molli degli intellettuali occidentali e ha trovato soltanto cartilagine. Ho paura anch’io dei loro fanatici, ma anche dei nostri fifoni…» (Giulio Meotti).

«Stamattina ci siamo svegliati con una piccola, splendida notizia: nel corso delle ultime ore, è stato confermato che Salman Rushdie respira autonomamente e ha ricominciato a parlare, dopo l’accoltellamento di due giorni fa, negli Stati Uniti. Dopo 30 anni, l’ombra della fatwa emessa dall’ayatollah Khomeini, torna a farsi drammaticamente sentire. Quella condanna a morte contro Rushdie portò a librerie rase al suolo dal fuoco, traduttori dei suoi libri uccisi o feriti (compreso il traduttore italiano Ettore Capriolo, accoltellato a Milano), e ad una vita passata a nascondersi. Il prezzo di quella libertà di espressione, di pensiero e di stampa, di cui troppo spesso dimentichiamo il valore. Del resto, è lo stesso Rushdie che lo dice: il terrorismo si sconfigge non essendone terrorizzati. La notizia di lui che parla e, persino, scherza, oggi, è una piccola, grande vittoria. Più forte dei coltelli. Più forte della paura. Forza, Salman Rushdie!» (Michele Usuelli).

«Chiunque scagli l’accusa di “islamofobia” come arma politico-ideologica è complice degli accoltellatori seriali e dei becchini della libertà di espressione» (Giulio Meotti).

Mezzo Fbi a casa Trump, un agente per Rushdie
Biden usa i servizi solo per garantirsi il bis
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 14 agosto 2022


L’attentato contro Salman Rushdie, che versa tra la vita e la morte in un ospedale dello Stato di New York, è un fallimento clamoroso degli apparati di sicurezza degli Stati Uniti e di tutto l’Occidente.

Anzitutto di quelli americani. La Fbi dov’era? Quando lo scrittore-morto-che-cammina è stato furiosamente accoltellato al collo, al fegato, al braccio da un militante di Hezbollah, il ramo libanese degli sciiti iraniani che avevano giurato di ucciderlo, che cosa aveva di più importante da fare l’agenzia federale di controspionaggio, tale da assorbirne tutta l’attenzione? Partiamo da un dato sicuro. Neppure un suo agente speciale, e neppure normale era presente. O se c’era, peggio ci sentiamo, perché non ha mosso un dito. In cinque comuni cittadini sono balzati sul palco dove Hadi Matar trafiggeva l’autore inerme di Versi satanici, una-due-e-ancora-ancora. Solo quando sono riusciti a strappare questa iena feroce dalla sua preda il solo poliziotto locale presente all’evento ha fatto scattare le manette a quello che per garantismo viene definito “il sospetto”.

Un singolo poliziotto come da noi si manda un vigile urbano a controllare che il giro della banda per il paese non crei intoppi al traffico. Ehi, su Salman Rushdie pende una fatwa tremenda, di valore eterno. Era il 14 febbraio 1989 e sulle onde di Radio Teheran, la guida suprema, l’ayatollah Khomeini decretò: “Nel nome di Dio onnipotente. Voglio informare tutti i musulmani che l’autore del libro intitolato I versi satanici, così come coloro che lo hanno pubblicato, sono stati condannati a morte. Invito tutti i musulmani zelanti a giustiziarli rapidamente, ovunque li trovino…”. È vero che alcuni decenni dopo i successori di Khomeini si dichiararono “non più interessati” all’esecuzione della sentenza. Ma nel 2010 una Fondazione iraniana sciita depositò 3,3 milioni di dollari a chi portasse lo scalpo di Salman.

Trappola

Ma com’è possibile che l’Fbi sia cascata nella trappola islamica allo stesso modo dell’11 settembre? Perché di questo si tratta. Non c’è paragone quanto a numero di vittime, ovvio. Ma moralmente è lo stesso sguaiato fiasco. Spiano così tanto, con sistemi sofisticatissimi di video-riconoscimento facciale ma anche della voce, e di penetrazione capillare nei social, vedono il moscerino ma non l’elefante che tempera le sue zanne nel loro cortile di casa. I tecnici dell’intelligence direbbero che gli americani sottovalutano il fattore umano, l’humint, si dice in gergo: la presenza sul campo, un tempo specialità tutta italiana. Ma questo lo vediamo tra poco. Al di là delle considerazioni sulle capacità dell’Fbi, abbiamo un altro sospetto. La scelta delle priorità. Non lo è più la prevenzione e la tutela dal terrorismo islamico, almeno proteggendo come avrebbero fatto la Repubblica di San Marino o il Principato di Monaco il bersaglio più ovvio della storia del fanatismo musulmano. Invece il Gigante Usa con le sue forze enormi aveva altro da fare: si occupava di Donald Trump. Aveva e ha da fare un lavoro politico: consolidare il potere di Joe Biden. Alla luna consentirgli la rielezione, e intanto trovare il modo 1) di rendere ineleggibile Trump, che nei sondaggi va fortissimo; 2) far perdere ai repubblicani le elezioni di medio-termine che si svolgeranno fra tre mesi, e che parevano destinati a far cappotto, mettendo in minoranza i democratici. Non ci stiamo inventando niente. Lo dice The Guardian, quotidiano progressista inglese, con il suo editorialista Lloyd Green. “Il Partito Repubblicano ha ragione di temere le elezioni di medio termine”, dopo quanto è accaduto lunedì.

Com’è noto, lunedì, ha raccontato, in un podcast del Wall Street Journal, Alex Leery: “Circa 30 agenti dell’Fbi si sono recati a Mar-a-Lago e hanno iniziato a cercare quelli che sembrano essere documenti riservati, e sappiamo da uno degli avvocati del presidente Trump che hanno effettivamente prelevato alcuni documenti. Sappiamo che sono rimasti lì praticamente per tutta la giornata. Secondo il presidente Trump, hanno frugato in una sua cassaforte, cosa di cui è sembrato stupito. Sembra quindi che siano stati molto scrupolosi nel cercare qualsiasi cosa stessero cercando di ottenere”. In 30 per perquisire le stanze dove dimora a Palm Beach in Florida, nella villa di Mar-a-lago: era la prima volta che il segretario per la Giustizia, il ministro di Biden, Merrick Garland, rivendicava di aver autorizzato quell’atto. Tutti si sono affrettati a dire che l’accusa gravissima fosse quella di spionaggio, ma non è così. L’accusa non è quella. Non ha passato né intendeva trasmettere documenti segreti a potenze straniere. Scrive Le Figaro: «Secondo gli esperti, invocare la legge sullo spionaggio non significa che l’ex presidente rischi di essere accusato di spionaggio. “La legge sullo spionaggio comprende molti reati che non hanno nulla a che fare con lo spionaggio”, ha dichiarato l’avvocato Bradley Moss su Twitter».

Servizi deviati

Non abbiamo nessuna voglia di dipingere Trump come uno stinco di santo. Diciamo che aveva 20 scatoloni di roba che avrebbe dovuto lasciare alla Casa Bianca o consegnare agli archivi, invece li ha tenuti per sé. Lui sostiene di averli prima “declassificati”, un po’ come ha fatto Franco Gabrielli con i documenti “riservati” e che non avrebbero dovuto finire al Corriere della Sera permettendo a Fiorenza Sarzanini e Monica Guerzoni di estrapolare “l’elenco dei putiniani” d’Italia. Un reato. Ma non c’è stata nessuna perquisizione da nessuna parte.

In realtà l’Fbi dev’essere stata un po’ deviata dai suoi fini originari per mandare 30 tra i suoi migliori uomini a rovistare nelle stanze e nei bagni di Trump, e non essere capace di spedire un paio di specialisti armati a proteggere chi adesso viene dileggiato dai quotidiani di regime persiani come uno che meritava di avere “il collo del diavolo lacerato”. Ma tutti i terroristi del mondo – non solo islamici, ma magari russi, nord-coreani, cinesi – hanno potuto testare la debolezza dell’intelligence occidentale. Il profilo facebook del killer inneggiava a Khomeini. Non solo. L’autore dell’attentato aveva anche una patente di guida falsa a nome di “Hassan Mughniyah”. Uno pseudonimo “eloquente per chi conosce l’islamismo sciita e Hezbollah”, osserva Romain Caillet, islamologo e consulente francese dei servizi. Il nome evoca quello di un ufficiale dei Guardiani della Rivoluzione islamica iraniana, Imad Mughniyah, che ha guidato Hezbollah, la propaggine libanese. È stato ucciso nel 2008 da Israele, con il sostegno degli Stati Uniti.

Una volta i servizi occidentale, e in primo luogo quello italiano, avevano in pugno le informazioni necessarie per tutelare la sicurezza dei Paesi della Nato. Purtroppo l’attentato a Rushdie, probabilmente maturato per minacciare l’America mentre si tratta sul nucleare con Teheran, dimostra che tutto questo non esiste più. Adesso i servizi di controspionaggio servono a dare una mano a Biden e agli amici occidentali dei dem.

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