Il finanziere Mincione: il Cardinal Becciu “è sempre stata una persona lontano da quanto stava accadendo”. “Trovo strano che il contratto di vendita sia stato secretato mentre mi imputano una truffa”

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Seconda e ultima parte dell’interrogatorio del finanziere Raffaele Mincione, imputato per truffa, nella ventunesima udienza del processo penale per presunti illeciti nella gestione dei fondi della Segreteria di Stato, celebrata al Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Ha chiarito in Aula che non ci sono state irregolarità di alcun genere nelle transazioni riguardante il palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra.

“Le ultime udienze, che hanno registrato gli interrogatori di molti degli imputati, hanno confermato e ulteriormente chiarito la verità dei fatti illustrati al Tribunale dal Cardinal Becciu. Egli agì sempre e solo su indicazione degli uffici tecnici della Segreteria di Stato, che di volta in volta verificavano le proposte d’investimento, ricorrendo anche all’ausilio di noti e stimati consulenti finanziari esterni, proponendo poi la sottoscrizione soltanto di quelli ritenuti vantaggiosi. Consulenti non introdotti o individuati dal Sostituto”. Lo hanno sottolineato all’Adnkronos gli Avvocati Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, difensori del Cardinale Angelo Becciu imputato nel processo penale in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. “Emblematica – segnalano i difensori di Becciu – la proposta Falcon Oil, relativa allo sfruttamento di un giacimento petrolifero in Angola: a fronte di una mera indicazione iniziale del cardinale , frutto della conoscenza di quelle terre per la sua missione di Nunzio Apostolico, è emerso in dettaglio come gli uffici esaminarono la proposta per oltre un anno e mezzo, ricorrendo anche all’esperienza delle società del Dottor Crasso e del Dottor Mincione, consulenti di primaria importanza internazionale, per concludere che l’operazione, a prima vista molto vantaggiosa, presentava in realtà profili di rischio non trascurabili. Per tale ragione il Cardinal Becciu a fronte del paventato rischio diede disposizione di non procedere. Così come quando ebbe a vistare le operazioni lo fece sempre e solo a fronte di documentate relazioni positive che gli provenivano dal Capo dell’ufficio amministrativo e dalla competente struttura tecnica. Tanto è provato documentalmente e non messo in dubbio da nessuno”. “Tutti gli interessati, poi, – annotano Viglione e Marzo – hanno confermato al Tribunale che il cardinale non fu mai coinvolto nelle valutazioni tecniche e che l’unica istruzione impartita fu quella di verificare con scrupolo ogni dettaglio tecnico, in assoluta indipendenza e libertà. Ancora una volta, quindi, l’accertamento terzo ed imparziale del dibattimento, in contraddittorio, ha confermato l’assoluta correttezza dell’operato del cardinale, in autentico spirito di servizio e tutela della Santa Sede”.

La Nuova Sardegna, 11 giugno 2022.
Arriverà il giorno per chiedere la radiazione dalla Sala Stampa della Santa Sede dei giornalisti accreditati, che hanno diffuso e continuano a diffondere le veline con le falsità sul conto del Cardinal Becciu, sapendo che sono delle falsità.

Al centro delle domande del Promotore di Giustizia Alessandro Diddi per l’accusa, delle parti civili e degli avvocati della difesa nella ventunesima udienza al finanziere Mincione:

  • l’affare tramontato con la Falcon Oil in Angola (“Becciu non ha mai forzato la due diligence [sull’affare che aveva proposto]. Per noi – ha aggiunto – è sempre stata una persona lontana da quanto stava accadendo”);
  • la compravendita del palazzo al numero 60 di di Sloane Avenue a Londra (a domanda del Promotore di Giustizia aggiunto Alessandro Diddi, Mincione ha smentito qualsiasi conoscenza diretta con il Cardinale Angelo Becciu: “Non ho il suo numero, non ho la sua mail, nessun tipo di frequentazione. In tre appuntamenti l’avrò visto in totale 20-30 minuti”. Comunque, “trovo strano che il contratto di vendita sia stato secretato mentre mi imputano una truffa”, ha detto Mincione).

Con ogni udienza che si celebra, diventa sempre più incredibile la cacciata da parte del “Supremo” e il rinvio a giudizio del Cardinal Becciu. A conclusione, lo ha riassunto bene Andrea Gagliarducci su ACI Stampa [QUI]: «Il caso, comunque, appare sempre più intricato, sollevando più domande che risposte».

Riportiamo di seguito il resoconto della ventunesima udienza del processo 60SA a cura di Vatican News, l’house organ della Santa Sede.

Inoltre, ritorniamo brevemente sulla ventesima udienza del processo 60SA, celebrata ieri, 6 giugno 2022, dedicata alla prima parte dell’interrogatorio di Mincione [Pezzo dopo pezzo l’accusa nel processo vaticano 60SA crolla come un castello di sabbia. L’interrogatorio di Mincione conferma: in 20 udienze non sono emersi ancora reati], con alcuni passaggi significativi dall’articolo pubblicato oggi da Silere non possum.

Le prossime udienze si terranno il 22 e 23 giugno con un nuovo interrogatorio a Enrico Crasso.

Mincione: col petrolio la Santa Sede perdeva tutto, Londra miglior investimento
di Salvatore Cernuzio
Vatican News, 7 giugno 2022

Ancora Londra, ancora le trattative per il Palazzo di Sloane Avenue, ancora i rapporti con il broker Gianluigi Torzi, Credit Suisse e la Segreteria di Stato, sono stati il centro della seconda e ultima parte dell’interrogatorio al finanziere Raffaele Mincione, imputato nel processo per i presunti illeciti con i fondi della Santa Sede. Già ieri il businessman italiano residente a Londra si era sottoposto alle domande del Promotore di Giustizia per oltre sette ore. Altre quattro è durato oggi il proseguo dell’esame, nella ventunesima udienza nell’Aula dei Musei vaticani, con le domande dell’accusa, della difesa e delle parti civili, la maggior parte delle quali incentrate sulla vicenda della compravendita dell’immobile londinese, ipotesi sorta dopo il fallimento di un affare per un pozzo di petrolio in Angola, per il quale Mincione fu coinvolto come advisor.

Nessun rapporto con Becciu

Prima, però, di entrare nel vivo dell’interrogatorio, l’imputato – a domanda del Promotore di Giustizia aggiunto Alessandro Diddi – ha smentito qualsiasi conoscenza diretta con il cardinale Angelo Becciu. “Non ho il suo numero, non ho la sua mail, nessun tipo di frequentazione. In tre appuntamenti l’avrò visto in totale 20-30 minuti”. “Becciu – ha aggiunto ancora il broker – non ha mai forzato la due diligence (sull’affare Angola che il porporato aveva proposto). Per noi è sempre stata una persona lontana da quanto stava accadendo”.

Un investimento “più conservative”

Gli unici referenti per la Segreteria di Stato – con la quale, ha detto, venivano intrattenuti “rapporti diplomatici” – erano Fabrizio Tirabassi, ex funzionario dell’Ufficio amministrativo, ed Enrico Crasso, ex dirigente di Credit Suisse e consulente finanziario del Dicastero (entrambi imputati). Fu Crasso a introdurre Mincione come esperto nell’affare Angola. Dalla bocciatura di quell’investimento, come detto, si passò all’ipotesi di acquisto del prestigioso immobile londinese che Mincione ha ribadito che avrebbe voluto tenere per sé e “svilupparlo” con un progetto che prevedeva il cambio di destinazione d’uso e l’ampliamento con una struttura adiacente. Per la Santa Sede, secondo il finanziere, era un investimento “più conservative” del petrolio: “Con questo era chiaro che avrebbero perso tutto. Visto anche l’andamento del petrolio sarebbe stata la tomba finale”.

Uscire dal fondo

La Segreteria di Stato aveva versato delle quote nel fondo Gof di Mincione. E, inizialmente “contenta” della gestione dell’affare petrolio, gli disse di “tenere i soldi e investire”. A metà del 2018 decise invece di uscire dal fondo, nonostante le raccomandazioni del “forte danno” che la liquidazione degli asset avrebbe potuto provocare. In aula non sono stati spiegati i motivi della scelta della Santa Sede, né chi l’abbia autorizzata. Mincione, interrogato in proposito, ha spiegato solo che nei primi mesi del 2018, ci fu “quasi un’escalation: ‘Cerchiamo di uscire”.

“Io – ha detto Mincione – avevo sempre saputo che la Segreteria di Stato voleva vendere il Palazzo, non mi era stato mai detto che volesse comprarlo. All’inizio si era creato un malessere per l’esistenza del lock up (il vincolo all’investimento di 5 anni + 2). Le pressioni sono aumentate tra il gennaio e il marzo del 2018. Poi ancora più forti a giugno”. Tant’è vero che l’investimento previsto di 100 milioni di sterline per ristrutturare e valorizzare il Palazzo, e portarne il valore a 350 milioni, non è stato mai fatto. Tutto il mercato sapeva che alla fine volevamo venderlo a quella cifra”.

La compravendita del Palazzo

“Perplesso” da questa accelerazione, ma non preoccupato (“Nel mio lavoro contano numeri e contratti che si firmano, il resto sono chiacchiere”, ha ripetuto più volte), Mincione capì le reali intenzioni della Segreteria di Stato con una email del 9 giugno 2018 di Tirabassi che indicava il nome di un broker che avrebbe fatto un controllo del Palazzo per poi provare a liquidarlo. “Gli abbiamo fatto fare un giro in maniera educata, ma non era qualificato”. “Mica ho rifiutato”, ha chiarito Mincione: “Ho solo detto se ci porta il prezzo richiesto, ben venga”. Non se ne fece nulla, ma la “pressione” aveva agitato il finanziere: “Non ho dormito benissimo la sera”.

Torzi e Capaldo

Dalla mail di giugno si passa al 2 novembre, con un messaggio WhatsApp di Gianluigi Torzi (che Mincione ha detto di aver conosciuto solo nel dicembre 2017), il quale “si era proposto come broker per piazzare il Palazzo”. “Buon compromesso”, scrisse. E Mincione rispose con una emoji delle dita incrociate.

Sull’immobile, ha riferito l’imputato in aula, fece una “attentissima analisi” l’ingegnere Luciano Capaldo, socio di Torzi, divenuto poi collaboratore della Segreteria di Stato, ascoltato come teste durante le indagini. L’ingegnere, ha detto Mincione, in passato aveva affermato di ritenere irrealistica la valutazione di 350 milioni, ma a un certo punto portò un’offerta di acquisto da parte di uno sceicco che voleva acquistare l’immobile al 100%. La cifra era di 350 milioni. Lo sceicco però poi non si fece più vivo.

“Nuovo gestore”

Ricomparve Torzi dopo alcuni mesi con un messaggio in cui “getta la bomba”: “Credo di averti fatto un favore, divento io il nuovo found manager”, scrisse a Mincione. “Un favore non richiesto… Ho pensato: vuoi vedere che hanno venduto il Palazzo allo sceicco e ora mi dice che me lo compra a meno?”. Per Torzi il “favore” era di aver salvato Mincione “da un possibile conflitto” con la Santa Sede, anche perché, come gli disse una volta: “In Vaticano non ti amano”.

“Mi sembravano gossip al momento”, ha detto Mincione. Soprattutto riteneva impossibile che venissero fatte trattative senza la sua autorizzazione come gestore del fondo. Monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’Ufficio amministrativo, poi però gli scrisse a metà novembre: “Sono certo con la buona volontà di tutti, si troverà a trovare una soluzione di comune soddisfazione”.

La riunione di Londra

Le domande del Promotore e dei legali si sono concentrate a questo punto sulla riunione organizzata di lì a poco a Londra, il 20-22 novembre 2018, negli uffici di Torzi. Si doveva firmare il contratto per il passaggio al fondo Gutt di Torzi. Alla riunione erano presenti Tirabassi, Crasso e l’avvocato Manuele Intendente, presentato a Mincione come “capo della Gendarmeria”. “Tutti parlavano a nome della Segreteria di Stato”. Alle riunioni Mincione partecipò solo il primo giorno, “giusto per sentire il prezzo concordato”: “Non era una negoziazione, era uno status. Ho pensato, mi portano via una cosa che avrei voluto tanto sviluppare. Fu talmente una delusione che non volli più occuparmene”. Lasciò la questione all’ufficio legale che incaricò il prestigioso studio Herbert Smith Freehills. Al termine di quella riunione, com’è noto, Torzi divenne il nuovo gestore del Palazzo. La sua contropartita fu di 40 milioni di sterline.

* * *

Postscriptum
Gogna mediatica e clima dell’interrogatorio

Vale la pena di ritornare sulla ventesima udienza del processo 60SA, celebrata ieri, 6 giugno 2022 al Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, dedicata alla prima parte dell’interrogatorio di Raffaele Mincione, con alcuni passaggi significativi dall’articolo pubblicato oggi di Silere non possum [QUI]:

«Gogna mediatica – All’inizio dell’interrogatorio Mincione ha tenuto a sottolineare il clima mediatico che investe questo processo. Ha parlato di una “gogna mediatica” che lo ha “scuoiato come delinquente”. Ha riferito che era la prima volta che si ritrovava in una situazione del genere, “Mai sono stato multato in trentacinque anni di carriera, mai ricevuto un rimprovero dalle banche centrali che regolano il nostro lavoro”. Come dare torto a Mincione? Abbiamo già sottolineato che c’è chi su questo procedimento ci specula e ci guadagna. Addirittura ci sono soggetti che scrivono libri sul Vaticano ma in questo Stato non sono mai entrati. Possono solo vantare di essere dei “passa carte” fra persone che dovrebbero servire lo Stato ma in realtà stanno giocando a distruggerlo per gonfiare il proprio ego. L’unica parola che alcuni prelati pronunciano su questi pseudo scrittori è: “Millantatori”. In effetti dagli atti di alcuni fascicoli emergono gravi accuse su questi soggetti che millantano titoli ma non hanno alcuna competenza. Non sono chiari neppure i capi di imputazione, dice Mincione: “al di là della narrativa dei media, ripresa dai verbali, dove mi si dipinge in una maniera terribile, sono qui a difendermi dai gossip, perché finora i fatti contestati ancora non li ho capiti”. Il Presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, ha replicato dicendo: “I gossip e i media, il Tribunale non li ha letti in passato non lì considererà in futuro. Abbiamo agito secondo coscienza”. Eppure Pignatone non ha ancora fatto nulla perché il suo compito dovrà essere quello di giudicare quanto emergerà da questo dibattimento, quindi a cosa si riferisce? Excusatio non petita, direbbero i latini…».

«Il clima dell’interrogatorio – Nell’udienza che si è celebrata ieri è da sottolineare il clima che ha caratterizzato l’interrogatorio. Nella mattinata il tutto è proceduto con serenità, in aula a svolgere le funzioni di Promotore di Giustizia vi erano Roberto Zanotti e Gianluca Perone. Nel pomeriggio, invece, in aula vi era Alessandro Diddi e il clima è cambiato completamente. Addirittura il Presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone ha suggerito a Diddi di confrontarsi con i suoi colleghi perché le cinque ore precedenti erano state serene. Il difensore di Mincione ha fatto una opposizione ad una domanda, mal posta come al solito, da Alessandro Diddi. Il Promotore Aggiunto, piuttosto che tacere e lasciare voce al Tribunale, come impone il codice, ha risposto all’avvocato con fare stizzito. Il presidente del tribunale è stato costretto a sospendere l’udienza per cinque minuti. Sono venti udienze che Alessandro Diddi continua a corroborare le proprie domande da superflue, inopportune e asfissianti premesse. Il compito della pubblica accusa è fare una domanda che sia il più “asciutta possibile” e che faccia comprendere cosa è accaduto e non un giro di parole assurdo per influenzare l’imputato ed ottenere una risposta confacente alle proprie idee».

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