XVII udienza nel processo 60SA in Vaticano. “Il Papa sapeva, voleva, autorizzava, decise che il processo si facesse”. Come prevedibile, il dibattimento in aula è un boomerang. Che figura!

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Oggi si è svolta nell’aula bunker dello Stato della Città del Vaticano la diciassettesima udienza nel Procedimento penale n. 45/2019 RGP a carico del Cardinale Angelo Becciu +9, relativo alla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, partito dal caso 60SA, un investimento in un palazzo di lusso al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, andato a male. E il processo a Becciu iniziato il 27 luglio 2021 va peggio, per l’accusa, per la corte, per chi l’ha ordinato e si ostina che prosegue ad oltranza, con doppia porzione di figuraccia. Riportiamo alcuni resoconti tratti da Il Messaggero, Faro di Roma e Silere non possum.

«Chi valutava sugli investimenti, chi si era fatto consegnare le password di accesso ai computer dell’ufficio, chi portava avanti progetti legati ad allocazione dei fondi vaticani, chi teneva i rapporti con i ‘superiori’ era sempre e solo monsignor Alberto Perlasca, il capo della sezione degli investimenti, oggi grande accusatore del Cardinale Angelo Becciu e degli altri nove imputati al processo vaticano per la compravendita del palazzo di Londra» (Il Messaggero).

«Tutte le attività venivano compiute da Mons. Alberto Perlasca, (…) che è prima stato interrogato in qualità di imputato, successivamente assoldato dall’Ufficio del Promotore di Giustizia come “pentito” ed oggi addirittura Parte Civile di questo procedimento penale» (Silere non possum).

«“Il nostro assistito ha spiegato con lucidità la realtà dei fatti: non c’è alcun reato dietro la vicenda di Sloane Avenue e non c’è del marcio in Segreteria di Stato. L’unico mistero di questa storia e perché qualcuno ha voluto si celebrasse in processo in una vicenda che i vertici della Santa Sede volevano chiudere con un accordo”, hanno spiegato ai giornalisti gli avvocati Massimo Bassi e Cataldo Intrieri, difensori di Fabrizio Tirabassi» (Faro di Roma).

«Derogate tutte le norme procedurali, Papa Francesco ha chiesto che si procedesse oltre. (…) il processo bisogna farlo. È evidente che non si voleva ammettere di aver sbagliato tutto e quindi, ancora una volta, non si è pensato alle persone ma piuttosto a salvare l’immagine. Chi vive oltre Tevere lo sa bene, qui l’immagine è tutto, in gioco c’è addirittura la fede della povera gente. (…) Purtroppo però nessuno ha spiegato a Francesco che sarà proprio il dibattimento ad essere un boomerang senza precedenti. La conferma arriva dagli interrogatori degli imputati che, uno ad uno, sfilando innanzi al Collegio, hanno affermato: “Il Papa voleva si trattasse, il Papa sapeva” e hanno tirato in ballo anche il Cardinale Pietro Parolin, uomo che avrebbe, invece, dovuto tutelare l’immagine del Papa. Cosa che il porporato, purtroppo, non è riuscito a fare» (Silere non possum).

Palazzo di Londra, il funzionario Tirabassi racconta come e perché fu scartato l’affare del petrolio in Angola con l’Eni
Per quasi cinque ore Fabrizio Tirabassi si è sottoposto ad un interrogatorio serrato, spiegando con precisione e grande calma alcuni dei passaggi chiave relativi alla vicenda speculativa
di Franca Giansoldati
Il Messaggero, 20 maggio 2022


Chi valutava sugli investimenti, chi si era fatto consegnare le password di accesso ai computer dell’ufficio, chi portava avanti progetti legati ad allocazione dei fondi vaticani, chi teneva i rapporti con i “superiori” era sempre e solo Monsignor Alberto Perlasca, il capo della sezione degli investimenti, oggi grande accusatore del Cardinale Angelo Becciu e degli altri nove imputati al processo vaticano per la compravendita del palazzo di Londra. Per quasi cinque ore Fabrizio Tirabassi si è sottoposto ad un interrogatorio serrato, spiegando con precisione e grande calma alcuni dei passaggi chiave relativi alla vicenda speculativa che ha fatto partire le indagini, due anni fa, portando a processo dieci persone tra finanzieri, sacerdoti, l’ex Sostituto alla Segreteria di Stato Becciu e la esperta di intelligence Cecilia Marogna per truffa, appropriazione indebita, peculato.

Il funzionario che fino all’anno scorso era il numero due dell’ufficio amministrativo, ha risposto alle domande del Promotore di Giustizia, fornendo spiegazioni e delucidazioni tecniche sulle operazioni finanziarie fatte, sui documenti mostrati, sulle minute firmate, spiegando quale fossero i passaggi burocratici vaticani, secondo uno schema di lavoro consolidato e assai verticistico. (…).

Processo vaticano. Tirabassi spiega la vicenda del pozzo di petrolio e scagiona tutti gli imputati. Ennesima figuraccia del pm
Faro di Roma, 20 maggio 2022


Fabrizio Tirabassi, ex funzionario dell’Ufficio amministrativo, è stato interrogato in aula dal Promotore di Giustizia Alessandro Diddi. Nelle sue risposte l’ex funzionario ha parlato dell’investimento in una società per l’estrazione del petrolio in Angola, progettato dalla Segreteria di Stato e poi saltato nel 2013 perché ritenuto non sicuro. L’affare fu proposto, secondo quanto riferito da Tirabassi, da Antonio Mosquito, imprenditore angolano, che il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, aveva conosciuto ai tempi del suo incarico in Nunziatura in Angola.

Tirabassi ha spiegato che per il progetto fu avviato uno studio di fattibilità affidato a Mincione, altro imputato nel processo, che costò 500mila dollari pagati metà dall’imprenditore angolano, metà dalla Segreteria di Stato. Alla domanda di Diddi sul perché saltò l’operazione, Tirabassi ha chiosato: “C’erano vari problemi oltre all’investimento a rischio c’erano problemi di carattere ambientale e anche reputazionale, essendo in quella zona l’estrazione di petrolio dannosa per l’ambiente”.

A fermare definitivamente l’investimento angolano fu poi il Cardinale Pietro Parolin, nominato da Papa Francesco Segretario di Stato a ottobre 2013. La Segreteria di Stato volse il proprio interesse ad un immobile al centro di Londra, segnalato dal finanziere Raffaele Mincione, con l’intermediazione del broker Enrico Crasso.

“Il nostro assistito ha spiegato con lucidità la realtà dei fatti: non c’è alcun reato dietro la vicenda di Sloane Avenue e non c’è del marcio in Segreteria di Stato. L’unico mistero di questa storia e perché qualcuno ha voluto si celebrasse in processo in una vicenda che i vertici della Santa Sede volevano chiudere con un accordo”, hanno spiegato ai giornalisti gli avvocati Massimo Bassi e Cataldo Intrieri, difensori di Fabrizio Tirabassi.

Sloane Avenue: in aula Fabrizio Tirabassi
Silere non possum, 20 maggio 2022


Nella 17° udienza del processo Sloane Avenue al banco degli imputati si è seduto il dottor Fabrizio Tirabassi, 56 anni, collaboratore dell’ufficio amministrativo. (…) L’uomo ha tratteggiato quanto avvenuto in particolare in riferimento all’affaire Mosquito in Angola. Ma prima soffermiamoci su un documento depositato ieri in aula dagli avvocati di una degli imputati.

La memoria di Cecilia Marogna

La sig.ra Cecilia Marogna, ieri ha fatto pervenire al Tribunale una memoria di una ventina di pagine [QUI] nella quale fornisce la sua versione dei fatti in merito alla collaborazione con la Segreteria di Stato, la quale, come ha riferito anche il Cardinale Becciu, fu avvallata dal Papa in persona. (…)

Certo, Marogna non ha mai incontrato Papa Francesco ma era Becciu a spiegare al Papa cosa accadesse. Il cardinale ricevette l’autorizzazione a muoversi per far sì che la suora venisse liberata, per questo chiese alla Marogna di metterlo in contatto con Inkermann, la società inglese.

Durante l’interrogatorio al Cardinale Becciu, il Promotore di Giustizia Aggiunto gli ha anche chiesto conto di un pernottamento che la sig.ra Marogna avrebbe fatto nel suo appartamento. Giustamente ci si chiede, come mai il PdG è al corrente di questo particolare? Vorremmo ricordare che questo non è un procedimento canonico (il quale peraltro non avrebbe motivo di esistere) ma si tratta di un procedimento penale dello Stato. Non è lecito quindi, né al Promotore né ad altri, indagare o fare illazioni sulla vita privata di un imputato. Ma, come abbiamo visto questo non è un processo penale ma uno show televisivo e quindi la Gendarmeria Vaticana nel 2020 decise di carpire questi frame immagine delle telecamere del Palazzo del Santo Uffizio controllando tutto ciò che faceva il Cardinale Becciu. Sì, non si tratta di The Young Pope, neppure di telefilm americani. Siamo nello Stato del Papa.

Tutte queste attività sono state autorizzate da Francesco con i famosi Rescripta e ovviamente il Papa è stato informato di tutti i risultati investigativi. Come può Francesco, emblema di Misericordia e Libertà, permettere tutto ciò?

L’udienza di oggi: Fabrizio Tirabassi

In aula questa mattina il dottor Tirabassi. L’uomo è stato assunto nel 1987 e si è occupato della questione finanziaria dagli anni novanta (…). Dalla testimonianza di Tirabassi, (…) si evince una conferma della testimonianza fornita dal Cardinale Becciu in merito sia alle questioni economiche della Segreteria di Stato della Santa Sede sia dell’affaire angolano.

Processo in Vaticano. Reati non pervenuti, in compenso tanto discredito sulla Sede Apostolica
di Marco Felipe Perfetti
Faro di Roma, 20 maggio 2022


Il procedimento penale a carico del Cardinale Angelo Becciu e di altri dieci imputati sta diventando un problema di immagine ben più grosso di tutte le altre questioni che si è trovato ad affrontare Francesco in questi anni. Come noto le attività di indagine sono iniziate con una “eccezione alla regola”, così la definiscono a Santa Marta, ovvero 4 Rescripta che derogano alla normativa procedurale penale vigente nello Stato della Città del Vaticano. Eppure, questa “eccezione alla regola”, espressione con la quale si potrebbe piuttosto definire una marachella commessa da un bambino, è divenuta una violazione dei diritti umani fondamentali. Come ci insegna l’esperienza, quando si inizia male si procede ancor peggio, ed è così che si è giunti a celebrare un processo penale che vede alla sbarra, per la prima volta, un principe di Santa Romana Chiesa. Sia chiaro, nessuno sta parlando di santi, quelli vanno cercati solo nella Congregazione di cui era a capo Becciu, non di certo negli officiali del dicastero. Ciò che qui è in discussione è l’intero sistema che è stato imbastito per l’occasione.

Questi principi vanno difesi proprio perché riguardano tutti, oggi possono essere utilizzati nei confronti di Becciu, domani nei confronti di qualche altro mal capitato e ieri? Ieri è toccata a quei poveri monsignori che si sono ritrovati destinati alle più astruse Nunziature Apostoliche o diocesi alle periferie del mondo. Perché? Perché qualcuno non aveva apprezzato le critiche, il dissenso o doveva far spazio agli amici. Per molto tempo questi defenestramenti avvenivano nel silenzio più totale, all’insaputa di giornali e riviste; oggi, invece, si arriva addirittura ad istruire processi pur di eliminare chi è scomodo.

Sembra proprio questo il caso del Palazzo di Sloane Avenue, soprattutto se si guarda a ciò che è accaduto durante le indagini ed oggi in aula. Derogate tutte le norme procedurali, Papa Francesco ha chiesto che si procedesse oltre. Anche quando Giuseppe Pignatone si è rivolto a Lui, il giorno prima dell’inizio del dibattimento. A Santa Marta non si sono volute sentire ragioni: il processo bisogna farlo. È evidente che non si voleva ammettere di aver sbagliato tutto e quindi, ancora una volta, non si è pensato alle persone ma piuttosto a salvare l’immagine. Chi vive oltre Tevere lo sa bene, qui l’immagine è tutto, in gioco c’è addirittura la fede della povera gente. Anche Mons. Peña Parra ha ammesso che la reticenza nel denunciare le attività sospette fu dettata proprio dalla volontà di evitare lo scandalo. Purtroppo però nessuno ha spiegato a Francesco che sarà proprio il dibattimento ad essere un boomerang senza precedenti.

La conferma arriva dagli interrogatori degli imputati che, uno ad uno, sfilando innanzi al Collegio, hanno affermato: “Il Papa voleva si trattasse, il Papa sapeva” e hanno tirato in ballo anche il Cardinale Pietro Parolin, uomo che avrebbe, invece, dovuto tutelare l’immagine del Papa. Cosa che il porporato, purtroppo, non è riuscito a fare neppure nella nota vicenda di Enzo Bianchi. A Santa Marta e in Terza Loggia sono volati gli stracci, addirittura qualcuno ha fatto pervenire al Papa la richiesta di “terminare questo scempio”. Un passo non semplice, anche per quanto riguarda il giudizio della comunità internazionale che ora è legata al processo per via delle rogatorie internazionali.

Oggi la questione diviene ancor più bollente, il Cardinale Angelo Becciu ha palesemente spiegato come tutte le attività venivano compiute da mons. Alberto Perlasca, monsignore comasco che è prima stato interrogato in qualità di imputato, successivamente assoldato dall’Ufficio del Promotore di Giustizia come “pentito” ed oggi addirittura Parte Civile di questo procedimento penale.

L’accusa però non si è scoraggiata e ha cercato di intaccare la moralità di Becciu e colpire la sua figura sacerdotale insinuando un rapporto “poco chiaro” con la signora Cecilia Marogna, donna di origini sarde che il porporato aveva “accreditato” presso di sé. Nonostante Becciu abbia spiegato quale fosse il compito della donna, l’accusa ha continuato a infilare il dito nella piaga con domande, peraltro, non ammissibili dal punto di vista procedurale. Ieri la risposta è arrivata dalla stessa Marogna, la quale ha ritenuto di dover precisare alcune questioni, che non sono affatto marginali. Con una memoria di una ventina di pagine [QUI] la donna ha detto: “Gli confidai [a Becciu ndr] una mia preoccupazione sopraggiunta dopo aver ricevuto da fonti estere un corposo dossier sul nuovo Sostituto per gli Affari Generali, monsignor Edgar Peña Parra”.

“Le numerose pagine del dossier – si legge nel memoriale della Marogna – riportavano foto e dichiarazioni sulle presunte condotte immorali del prelato che, per onestà intellettuale, avevo considerato opportuno verificarne prima l’effettiva fondatezza per evitare interpretazioni che avrebbero invece potuto avere altre chiavi di lettura. Continua la Marogna, ne parlai con discrezione con il Cardinale Pietro Parolin, che mostrò curiosità nell’approfondire la questione, ed è così che mi chiese se poteva trattenere la copia cartacea del dossier che avevo con me. Onestamente, non ci vidi niente di male anche perché gli chiesi esplicitamente di averne cura nella custodia riservata posto che reputavo dovuto ed opportuno assicurarmi prima che le dichiarazioni e relative informazioni riportate nel dossier fossero effettivamente fonti di prova certa e non che si trattasse di un falso dossier confezionato a danno del prelato, come altre volte in precedenza accaduto. Il Cardinale Petro Parolin mi disse di stare tranquilla, anche se però, il 12 ottobre 2018, quindi solo una decina di giorni dopo il mio incontro con il Segretario di Stato Pietro Parolin, il dossier che gli avevo consegnato era finito in una inchiesta condotta da Emiliano Fittipaldi e pubblicata per il settimanale L’Espresso”.

La donna ci tiene a sottolineare che il settimanale è lo stesso che poi, qualche tempo dopo, ha guidato la campagna di fango che ha dato il via al presente processo. Coincidenze?

È chiaro che queste informazioni, aggiunte alla circostanza che “il Papa stesso aveva chiesto a Becciu” di occuparsi della liberazione della suora Gloria Narváez, per la quale era stato richiesto un riscatto, fanno preoccupare fortemente anche il Comitato di esperti per la valutazione delle misure contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo (Moneyval) che da poco ha pubblicato un rapporto abbastanza positivo sulla Santa Sede.

Foto di copertina: udienza nel processo 60SA in Vaticano (Foto del Messaggero).

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