«L’Occidente ha perduto Cristo; questa è la ragione per cui l’Occidente sta per morire, solo per questa ragione» (Dostoevskij, 1871)

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«Domandavo continuamente: perché son tanto stupido da non voler essere più intelligente degli altri? Lo so che gli altri sono stupidi e son convinto di esserlo anch’io. Poi ho capito, Sonja, che se avessi voluto aspettare che tutti fossero diventati intelligenti, sarebbe passato troppo tempo… Poi ho capito anche che questo momento non sarebbe arrivato mai, che gli uomini non cambieranno mai e che nessuno riuscirà a trasformarli e che tentar di migliorarli sarebbe fatica sprecata! Già, proprio così! Questa è la loro legge» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Delitto e castigo, 1866).

Fëdor Michajlovič Dostoevskij (Mosca, 11 novembre 1821 – San Pietroburgo, 9 febbraio 1881), ritratto del 1872 ad opera di Vasilij Perov, Galleria Tret’jakov, Mosca. Lo scrittore e filosofo che è considerato, insieme a Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi di tutti i tempi.

«La verità reale è sempre inverosimile […]. Per rendere la verità più verosimile, bisogna assolutamente mescolarvi della menzogna. La gente ha sempre fatto così» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I demoni, 1871).

«Colui che mente a se stesso e dà ascolto alla propria menzogna arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso, né intorno a sé e, quindi, perde il rispetto per se stesso e per gli altri» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I fratelli Karamazov, 1878-1880).

«L’uomo è fatto così. E tutto ciò per un insulsissimo motivo che apparentemente non varrebbe neppure la pena di menzionare: e cioè perché l’uomo, sempre e ovunque, chiunque fosse, ha amato agire così come voleva, e non come gli ordinavano la ragione e il tornaconto; infatti si può volere anche contro il proprio tornaconto, anzi talvolta decisamente si deve (questa è già una mia idea). La propria voglia, arbitraria e libera, il proprio capriccio, anche il più selvaggio, la propria fantasia, eccitata a volte fino alla follia: tutto ciò è proprio quel vantaggio supremo e tralasciato, che sfugge a qualsiasi classificazione e per colpa del quale tutti i sistemi e le teorie vanno costantemente a farsi benedire» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, 1864).

«L’Occidente ha perduto Cristo; questa è la ragione per cui l’Occidente sta per morire, solo per questa ragione» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Lettera a Nikolaj Strachov, 30 maggio 1871).

Qui lo scrittore russo testimonia quanto per lui contasse la figura di Cristo e quanto alla sua eclissi corrispondesse il declino dell’Occidente. L’immagine di Cristo, il suo volto, come in una icona bizantina, è il centro da cui si irradiano quelle linee di luce capaci di rischiarare la tenebra nella quale l’uomo, non prima né dopo Cristo, ma senza Cristo, si trova ad essere avvolto. Sono molti i luoghi dei suoi romanzi in cui avviene questo rischiaramento. Basti pensare a quel volto di Cristo che campeggia in Delitto e castigo nell’episodio della lettura, fatta da Sonja. Sarà lei, spinta dalla matrigna Katerina per fame alla prostituzione, la cui dolcezza di vittima finirà per dominare Raskolnikov, che gli indicherà il valore della vita umana secondo il Cristo.

Nei suoi romanzi Dostoevskij cerca di non lasciar trasparire un suo giudizio definitivo sui personaggi, di non giudicarli direttamente. È la caratteristica che pose suo pensiero opposto a quello di Tolstoj, ma anche Dostoevskij come Tolstoj visse un confronto continuo e nel contempo un rapporto tormentoso e personale con Cristo, a cui si sentiva tanto legato da affermare: «Vi dirò di me che io sono un figlio del secolo, sono un figlio del dubbio e della miscredenza, fino a oggi e (lo so) finché campo. Questa sete di fede mi è costata e mi costa spaventose sofferenze, ed essa cresce nel mio animo tanto più forte quanto più in me albergano conclusioni opposte. E tuttavia, Dio mi concede a volte degli attimi in cui sono assolutamente in pace; in quei momenti amo e vedo che sono amato dagli altri, e in quei momenti ripongo in me il simbolo della fede nel quale per me è tutto limpido e santo. Questo simbolo è molto semplice, ed è questo: credere che non ci sia niente di più bello, profondo, disponibile, sensato, coraggioso e perfetto di Cristo e non solo non c’è, ma mi dico con amore geloso, che nemmeno può esistere. Inoltre, se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è al di fuori della verità, e davvero la verità si trovasse fuori di Cristo, preferirei comunque rimanere con Cristo piuttosto che con la verità» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Lettera a Natal’ja Dmitrievna Fonvizina, fine gennaio-fine febbraio 1854, Omsk).

In Dostoevskij il “sottosuolo” dell’anima è qualcosa di spaventoso che coincide con l’assolutezza del male: «Sul piano dei contenuti, Dostoevskij traccia la prima implacabile anamnesi della crisi dell’uomo contemporaneo, lacerato da pulsioni contraddittorie e insanabili, privo di certezze e punti di riferimento solidi cui uniformare il proprio comportamento morale. A derivarne è una presa di distanza radicale dal razionalismo illuminista e positivista, alla cui pretesa di ricondurre le leggi della natura all’ordine della ragione lo scrittore contrappone la forza della volontà che non ammette limitazioni» (Giuseppe Gallo, Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo).

«Se Dio non esiste, tutto è permesso» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I fratelli Karamazov, 1878-1880).

Dostoevskij è definito “artista del caos” perché i suoi personaggi hanno sempre il carattere dell’eccezionalità e permettono di avanzare in concreto quei problemi (conflitto tra purezza e peccato, tra abbrutimento e bellezza, tra caos e senso della vita), che la filosofia discute attraverso termini di puro concetto, che Dostoevskij incarna nei personaggi dei suoi romanzi. Perciò non è solo un autore di letteratura, ma anche un autore di filosofia contemporanea. In merito ai suoi personaggi, dando risposta a chi lo accusava d’essere interessato a soggetti con manifestazioni morbose della volontà, Dostoevskij scrive: «Non sapete che moltissime persone sono malate appunto della loro salute, cioè di una smisurata sicurezza della propria normalità, e perciò stesso contagiate da una terribile presunzione, da una incosciente auto-ammirazione che talvolta arriva addirittura all’infallibilità? […] Questi uomini pieni di salute non sono così sani come credono, ma, al contrario, sono molto malati e debbono curarsi» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Diario di uno scrittore, 1873).

«L’ateismo si limita a predicare il nulla; il Cattolicesimo va oltre, e predica un Cristo travisato, un Cristo calunniato e oltraggiato, un Cristo che è l’antitesi del Figlio di Dio. Il Cattolicesimo predica l’Anticristo, ve lo assicuro, ve lo giuro! Questa è la mia opinione personale e io so quanto ho sofferto nel rendermene conto! Il Cattolicesimo romano crede e proclama che, senza un potere temporale capace di abbracciare tutta la terra, la Chiesa non possa sussistere… Non possumus! No, il Cattolicesimo romano non è una religione, è la continuazione dell’Impero Romano d’Occidente. Nel Cattolicesimo, infatti, tutto è subordinato a questa idea. Il Papa si è impadronito della terra, ha occupato un trono terrestre, ha impugnato la spada e si è circondato di un seguito composto da menzogne, intrighi, imposture, fanatismi, superstizioni e scelleratezze. Nelle mani della Chiesa di Roma, i più sacri, i più ingenui e i più giusti sentimenti popolari sono diventati delle armi. Roma ha fatto tutto questo per denaro, con il solo scopo di consolidare il suo dominio terreno. E che cos’è questa se non la dottrina dell’Anticristo?» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, L’idiota, 1866).

«Se il diavolo non esiste ma l’ha creato l’uomo, credo che egli l’abbia creato a propria immagine e somiglianza» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I fratelli Karamazov, 1878-1880).

«La gente spesso parla di crudeltà “bestiale” dell’uomo, ma questo è terribilmente ingiusto e offensivo per le bestie: un animale non potrebbe mai essere crudele quanto un uomo, crudele in maniera così artistica e creativa» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I fratelli Karamazov, 1878-1880).

«”A tutto si abitua quel vigliacco che è l’uomo!”. Si fece pensoso. “Ma se avessi sbagliato”, esclamò a un tratto senza volerlo; “se, infatti, l’uomo, l’uomo in generale, cioè tutto il genere umano non è vigliacco, ciò significa che tutto il resto… è un mucchio di pregiudizi, niente altro che timori ingigantiti, e che non ci sono ostacoli di nessuna specie, e che così deve andare!”» (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Delitto e castigo, 1866).

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