L’illusione che lutti del genere non ci riguardino. Il dolore non è così distante: Ravanusa siamo noi

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Il telegramma di cordoglio per le vittime del crollo di alcuni edifici avvenuto sabato scorso nella città di Ravanusa (Agrigento), inviato a nome del Santo Padre Francesco dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità all’Arcivescovo di Agrigento, S.E.R. Mons. Alessandro Damiano: «A seguito del drammatico crollo di alcuni edifici nella Città di Ravanusa, causato da una devastante esplosione, il Santo Padre desidera far pervenire ai congiunti dei defunti l’espressione del suo cordoglio e sentimenti di intensa partecipazione al dolore dell’intera popolazione. Papa Francesco, che porta nel cuore la sofferenza di tante persone, causata anche dagli ingenti danni che gravano su molti, le chiede di farsi interprete della sua accorata vicinanza, assicurando in particolare la sua preghiera di suffragio per le vittime. Egli, inoltre, manifesta apprezzamento per quanti si sono prodigati nelle operazioni di soccorso, come pure per la colletta straordinaria promossa da codesta Arcidiocesi in favore della comunità ravanusana. Sua Santità invoca da Dio, per intercessione della Vergine Maria, Consolatrice degli afflitti, il conforto per quanti soffrono le conseguenze del grave disastro e invia la benedizione apostolica».

Suor Agata Carmina, nella chiesa madre di Ravanusa, 14 luglio 2020.

Rendersi conto di conoscere chi sta vivendo il dramma
L’appello: «Pregate per Suor Agata, ha perso parenti e casa»


Come don Abbondio che davanti a un filosofo ignoto esclamò: «Carneade, chi era costui?». Ravanusa? E dov’è Ravanusa? E chi lo sa, ma è lontana. Per don Abbondio e per me, Carneade e Ravanusa potevano anche non esistere, non se ne avvertiva la necessità. Questo è stato il pensiero mio, ma forse di tanti, all’udire di quella palazzina tirata giù da uno scoppio del metano, fuggito non da una stufa ma da condutture sotterranee disfatte per il dissesto geologico, le frane, la siccità, i nubifragi di laggiù, Sicilia profonda. Massì, la solita «tragedia annunciata» come puntualmente hanno scritto i titoli di giornali e Tg. Cinismo? Ma no, abitudine, arte di sopravvivere. Dispiace ci siano morti e dispersi, ovvio, non siamo bestie, ma sono puntini di dolore nel mondo, in fondo anonimi. E si tira avanti.

Ed ecco mi arriva un istante fa da un’amica un messaggio WhatsApp. Improvvisamente scopro che non sono corpi inerti di sconosciuti, ma fratelli, la loro sofferenza è la mia. E, non so, forse un po’ anche la vostra.

Gabriella è una giornalista televisiva di Palermo. Non voleva mandare una notizia stavolta, bensì è una supplica ai propri amici, ma forse queste sono le notizie: quando vibrano le parole.

«Carissimi vi chiedo una preghiera particolare per Suor Agata, una delle suore della comunità di mia sorella, che nello scoppio di Ravanusa ha perso la madre, la casa e diversi parenti. Si scava ancora sotto le macerie per cercare le ultime due persone che sono suo padre e suo fratello di 32 anni, padre di due bambine di 4 e 7 anni. Mia sorella si trova a casa con le bambine e la moglie del disperso, mentre Suor Agata, che ha solo 25 anni, prega e spera davanti alle macerie. Sono ore decisive. Queste suorine fanno da sempre parte della nostra famiglia ed è davvero un dolore straziante. Vi chiedo con tutto il cuore di pregare per loro, per Suor Agata e per la sua famiglia».

Oddio. Io le conosco queste suore! Vedo Suor Agata, la immagino, lei è di vedetta dove la morte soffia le sue pretese, ma lei le si para contro, non riesce a star ferma. La sorella di Gabriella, di cui parla la supplica, è una santa monaca, si chiama Suor Maria Goretti Ricotta. Ho passato giorni con lei, in giro per le carceri siciliane, a visitare mafiosi di quelli che non hanno rivelazioni da fare che li rendano famosi, ma disgraziati senza acqua calda né riscaldamento, e lei insegna loro il catechismo e manda lettere ai deputati. L’ho conosciuta così, quando stavo alla Camera e mi occupavo di detenuti. Che donna Maria Goretti. Come Madre Teresa a Calcutta nel 1948, sessant’anni dopo, ha lasciato l’ordine a cui apparteneva e a Trapani si è caricata sulle spalle barboni, ex carcerati, ragazze disperate. La ricordo, la vedo là con la sorella disperata e i bimbi: ogni gesto, ogni sillaba diffonde amore traboccante di pace. Per questo intorno a lei altre giovani si sono radunate in una comunità fiorente.

Davanti al nome di Ravanusa ho provato finalmente una fitta. Mi/ci riguarda. Non esiste nessun anonimo. Il dolore non lo è mai. Carneade era una figura retorica, ma Ravanusa no, non è una statistica, un’espressione geografica come per Bismarck l’Italia, al massimo materia per uno studio sulle frane e i cambiamenti climatici. Soltanto che per rendercene conto abbiamo bisogno che una persona giri la sua faccia e ci guardi. Gabriella-Suor Maria Goretti – e Suor Agata con i loro cari dispersi e morti mi hanno guardato. Ho trasmesso questa supplica dicendo: è tutto vero, sono persone reali, senza di loro il mondo perderebbe qualcosa di essenziale. E mi viene in mente che il giornalismo dovrebbe essere questa catena di sguardi. La faccia di un testimone del quale i lettori si fidano.

Chissà cosa passa ora nel cuore di Agata e di Maria Goretti, sante e monache e che bel risultato. Ma come? Offrono a Dio la loro giovinezza, accarezzano i volti dei poveri perché sanno che quello è il volto di Cristo, e il Nazareno invece di una carezza le ripaga a schiaffi, portando loro via padre, madre, fratelli? Non sono di plastica, provano dice la supplica della collega Gabriella, «un dolore straziante». Non è Ercole che può cambiare il mondo e dar speranza. Se c’è una possibilità di salvezza per Ravanusa e il mondo intero, io la vedo tutta nel volto di Suor Agata che «prega e spera» davanti alle macerie.

Questo articolo è stato pubblicato ieri, 14 dicembre 2021, su Libero Quotidiano.

Postscriptum

Ieri da Gabriella arriva questo messaggio: «Hanno trovato i corpi del padre e del fratello: troppo dolore. Davvero ci vuole coraggio per sostenere la speranza degli uomini». Coraggio? Non ce lo diamo da soli. E neppure la speranza. Vorrei dire che Gesù viene incontro a Suor Agata e ai superstiti nella tempesta e nell’oscurità delle macerie e dello strazio di Ravanusa. Non sono capace. Non sono degno. Ma non è un’allucinazione, non è un fantasma Cristo che viene. «I discepoli, nel vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: “È un fantasma” e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”» (Matteo 14). Diccelo ancora, Signore [R.F.].

Nella chiesa madre di Ravanusa, l’Arciprete Don Filippo Barbera e la comunità parrocchiale San Giacomo – Madonna di Fatima, il 14 luglio 2020 hanno accolto una giovane parrocchiana che da poco tempo ha dato i primi voti. È Suor Agata Carmina, una giovane parrocchiana divenuta suora. Attorno all’Eucarestia insieme ai familiari e agli amici, la parrocchia ha reso grazie per questa vocazione figlia della Comunità di Ravanusa, che come ha detto Suor Agata deve essere «un monito ai giovani di oggi di ritornare al centro della nostra vita, che è il tabernacolo, chiedendo a Gesù qual è la sua volontà per ognuno di noi».

La comunità ecclesiale di Trapani si stringe nella preghiera e con l’affetto a Suor Agata Carmina della Comunità Serve di Gesù Povero per la terribile perdita che ha subito nel disastro di Ravanusa. «Attraverso di lei, che da poco tempo era a Casale Monferrato per l’apertura di una nuova casa religiosa, ho espresso la vicinanza della comunità diocesana a lei, ai suoi cari e a tutta Ravanusa. Per le loro urgenze gravi abbiamo promosso, di intesa con monsignor Damiano, una colletta. In comunione di preghiera per tutti loro: pro vivis et defunctis» (Mons. Pietro Maria Fragnelli, Vescovo di Trapani).
In un messaggio personale a Suor Agata il Vescovo Fragnelli aveva scritto: «Dal cuore della città e della diocesi di Trapani giunga a te e ai tuoi cari un affettuoso, fraterno abbraccio. Stiamo pregando sin dal primo momento in cui la notizia è pervenuta. Attraverso di te, sentiamo vicinissima tutta Ravanusa in questi giorni di grande dolore. Mettiamo questa enorme tristezza nel cuore di Gesù: Lui che conosce lo spessore della Croce aiuterà tutti a portarla senza perdere la fiducia».

Foto di copertina: i vigili del fuoco sulle macerie di Ravanusa. Quando ho visto quella foto, ho visto nella catena dei vigili del fuoco una Croce. Gesù è lì e mi è venuto un brivido in tutto il corpo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». Come me lo scrisse ieri l’amico e collega Renato Farina, lo scrivo io oggi, condividendo suo articolo qui: «Questo articolo – bello o brutto – sono io, cioè il mio desiderio». Come Suor Maria Goretti, Suore Agata e Renato, anch’io scopro che non sono di plastica. Per loro, per i morti, per i superstiti, prego anch’io Gesù che dia loro – e me – “coraggio e speranza” [V.v.B,].

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