La narrazione agit-prop della diplomazia azera, alla luce delle parole di odio contro gli Armeni dell’arrogante dittatore guerrafondaio, ad un anno dalla fine della sua guerra contro l’Artsakh

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Ieri, lunedì 15 novembre 2021, incontrando alcuni giornalisti, l’Ambasciatore della Repubblica di Azerbajgian presso la Santa Sede, Rahman Mustafayev ha detto che il suo Paese chiede aiuto alla Santa Sede per avviare un dialogo di pace con l’Armenia, con lo scopo dichiarato di raggiungere una soluzione della questione Nagorno-Karabakh nell’ambito del diritto internazionale.

“L’Azerbajgian vuole approfondire la cooperazione con il Vaticano: lo riteniamo un ponte essenziale”, ha detto Mustafayev nel corso della Conferenza Stampa in vista dell’apertura a Roma della nuova ambasciata della Repubblica di Azerbajgian presso la Santa Sede. “Siamo in contatto con i leader religiosi di varie confessioni e posso dire con certezza non ci sono mai state incomprensioni dal punto di vista religioso in Azerbaigian. Lo dimostra il fatto che una nostra delegazione che è stata in visita in Vaticano lo scorso febbraio è composta da cattolici, ortodossi, musulmani e rappresentanti di altre confessioni”, ha detto l’ambasciatore azero. “I nostri leader religiosi sono in contatto con le loro controparti in altri Paesi. Questo è un ponte essenziale per noi”, ha insistito.

In risposta alle dichiarazioni del suo omologo azerbajgiano, l’Ambasciatore della Repubblica di Armenia presso la Santa Sede, Garen Nazarian ha commentato: “Riconosciamo e ringraziamo quelli dei nostri partner internazionali che continuano a sollevare questo problema a livello bilaterale e in sedi multilaterali, inclusa la Santa Sede che invita l’Azerbaigian a rispettare i suoi obblighi ai sensi del diritto umanitario internazionale e della dichiarazione trilaterale e a rilasciare tutti i prigionieri di guerra e ostaggi civili in sua custodia”

L’Ambasciatore azero Mustafayev invece ha sostenuto che l’Azerbajgian ha restituito all’Armenia tutti i prigionieri di guerra catturati dello scorso anno durante “il conflitto”. Ricordiamo ai nostri attenti lettori, che si tratta di una sanguinosa guerra di aggressione azero-turca scatenata l’anno scorso contro la Repubblica di Artsakh. Però, Mustafayev sostiene “l’Azerbaigian ha agito sulla base del diritto internazionale, seguendo i dettami dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Tutto ciò che è stato fatto è liberare secondo i nostri diritti il territorio occupato dal 1991 [dall’Armenia]. In Francia ci sono alcuni esponenti politici che sostengono che quella fra Armenia e Azerbaigian è stata una guerra religiosa. Io in più di un’occasione ho chiesto ai parlamentari che si sono espressi in questo senso di fornirmi delle spiegazioni in merito. Prima della guerra degli anni Novanta nella regione c’era una comunità multireligiosa e multietnica, c’erano moschee e chiese, un gruppo di persone che copriva 48 minoranze etniche. In Armenia il 99,9 per cento delle persone è armena e non c’è multiculturalismo. A Baku, in uno dei quartieri più importanti, abbiamo una moschea e una chiesa che sono vicine fra loro, e questo è un esempio del nostro approccio multireligioso. Noi vogliamo rafforzare questo aspetto che è già tipico nel nostro Paese”, ha dichiarato l’Ambasciatore azero.

“Questo atteggiamento o, meglio, la politica di discriminazione razziale che persiste in Azerbajgian da decenni si è manifestata più chiaramente durante la guerra dello scorso anno, che nel corso di 44 giorni ha portato a violazioni diffuse e sistematiche del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani”, ha commentato l’Ambasciatore armeno. “Abbiamo prevedibilmente assistito a energici tentativi da parte dell’Azerbajgian di distorcere e manipolare il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale, con l’obiettivo di coprire le atrocità e i crimini di guerra commessi durante i 44 giorni di guerra di aggressione”, ha concluso l’Ambasciatore Nazarian.

“Quando parliamo di prigionieri di guerra ci si riferisce a coloro che sono stati catturati durante il conflitto. Le persone arrestate dopo la firma dell’accordo trilaterale del 9 novembre, invece, sono criminali. Il Gruppo di Minsk dell’Osce non ha mai fatto menzione di queste persone”, ha detto Mustafayev. “Dopo la firma degli accordi ci sono state delle indagini e posso garantire che tutti i prigionieri di guerra sono stati mandati a casa. Durante le nostre attività di ricerca post belliche, inoltre, abbiamo trovato circa 1.500 corpi di cittadini armeni e due cittadini azerbajgiani sono morti in queste attività”, ha spiegato l’ambasciatore, affermando che qualsiasi “insinuazione” sui prigionieri di guerra è “mera propaganda”.

L’Ambasciatore armeno Nazarian ha ribadito, che la questione dei prigionieri di guerra armeni resta irrisolta. L’Armenia e la co-presidenza del Gruppo di Minsk dell’Osce [l’organismo preposto a mediare fra i due Paesi] hanno ripetutamente sollevato la situazione dei prigionieri di guerra armeni e degli ostaggi civili detenuti dall’Azerbajgian contrariamente e in violazione dei requisiti del diritto umanitario internazionale e della dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020: questa è la questione più urgente relativa alla citata dichiarazione trilaterale che rimane tuttora irrisolta. Allo stesso tempo, ha proseguito Nazarian, “l’Azerbajgian continua a nascondere il numero reale dei prigionieri di guerra armeni. Inoltre, i processi simulati e l’emissione di lunghe condanne per false accuse contro prigionieri di guerra illustrano la politica di odio anti-armena e la campagna diffamatoria adottata e promossa in Azerbajgian ai massimi livelli”.

Per confermare le parole dell’Ambasciatore armeno e smontare la narrazione agit-prop del suo omologo azero, dovrebbero bastare, che il Parlamento lussemburghese il 10 novembre scorso ha votato all’unanimità una risoluzione che esorta il Governo a non sostenere l’approfondimento della cooperazione tra l’Azerbajgian e l’Unione Europea fino al ritorno di tutti i prigionieri di guerra e civili armeni tenuti illegalmente in Azerbajgian. Poi, la Camera dei Lord ieri hanno interrogato il Governo del Regno Unito sui prigionieri di guerra armeni e sulle violazioni del cessate il fuoco da parte dell’Azerbajgian.

Durante un dibattito sul Nagorno-Karabakh alla Camera dei Lord del Regno Unito, la Baronessa Caroline Cox ha chiesto al Governo di Sua Maestà quale valutazione ha fatto delle segnalazioni di violazioni dell’accordo di cessate il fuoco del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbajgian e il numero di personale militare e civile armeno che deve ancora essere rilasciato dall’Azerbajgian.

Il Ministro per l’Europa e le Americhe ha ripetutamente sottolineato la necessità per entrambi i Paesi di evitare azioni provocatorie, ha affermato Lord Goldsmith di Richmond Park, Ministro di Stato presso il Dipartimento per l’ambiente, l’alimentazione e gli affari rurali e l’Ufficio per gli esteri, il Commonwealth e lo sviluppo. “Ha anche sollevato le questioni di vecchia data dei prigionieri di guerra, dei detenuti e dei dispersi o deceduti nelle telefonate sia con il Ministro degli Esteri azero Bayramov, che con il Ministro degli Esteri armeno Mirzoyan. Esortiamo entrambi i Governi a impegnarsi in trattative sostanziali per risolvere tutte le questioni relative al conflitto”, ha aggiunto.

La Baronessa Cox ha sottolineato che l’impunità di cui gode l’Azerbajgian ha incoraggiato le continue violazioni dell’accordo di cessate il fuoco da parte dell’Azerbajgian. “Mentre le forze armate azere continuano ad avanzare nei territori armeni, alcune settimane fa ho visitato un villaggio, Davit Bek, nella Provincia di Syunik e ho assistito alla sofferenza del popolo armeno. L’Azerbajgian si rifiuta anche di rilasciare i prigionieri armeni, sottoponendo molti a torture e uccisioni. Cosa farà il Governo di Sua Maestà per richiedere all’Azerbajgian di porre fine alle violazioni dell’accordo di cessate il fuoco e dei diritti umani?”, ha chiesto la Baronessa Cox.

Lord Goldsmith ha affermato: “Il Regno Unito si è impegnato molto attivamente sia durante che dopo il conflitto. Il Ministro per l’Europa e le Americhe, Wendy Morton, parla regolarmente con le sue controparti in entrambi i Paesi. Sollecita continuamente la riduzione dell’escalation e il ritorno al tavolo dei negoziati sotto gli auspici del Gruppo di Minsk dell’OSCE e ha condannato i presunti crimini di guerra, compreso il deliberato bombardamento di aree civili, i video che presumibilmente mostrano decapitazioni di soldati e il presunto uso deliberato di fosforo bianco contro i civili. Le accuse provengono da entrambe le parti in questo conflitto”.

Il Lord Bishop di Coventry ha detto che a giugno ha visitato l’area di inclusione del confine della provincia di Syunik: “A Khoznavar, l’incursione aveva tagliato fuori il vicino villaggio dalla sua principale fonte d’acqua e l’accesso ai pascoli era stato negato, minacciando la sopravvivenza di questo villaggio povero. Dopo le mie lettere del 7 luglio al Ministro degli Esteri e del 5 novembre al Ministro per l’Europa e le Americhe, quali ulteriori passi sta compiendo il Governo di Sua Maestà per contrastare queste incursioni illegali, per garantire l’integrità dei confini dell’Armenia e per sollecitare il ritiro Le truppe azere secondo i termini del cessate il fuoco del novembre 2020?”.

Lord Goldsmith ha osservato che il Regno Unito prende atto dell’accordo di cessate il fuoco raggiunto nel novembre dello scorso anno. “Entrambi i Paesi hanno dovuto prendere decisioni difficili per garantire stabilità e pace, ed è importante che le restanti questioni relative al conflitto vengano risolte attraverso negoziati. In particolare, il Gruppo di Minsk dell’OSCE è l’ovvio e chiave forum per questo, facilitato da Francia, Russia e Stati Uniti. Il Regno Unito non è un membro ufficiale dell’OSCE, ma continuiamo a sostenere i suoi sforzi per negoziare un accordo permanente e sostenibile”, ha affermato il Ministro. “Il Regno Unito sostiene il processo del Gruppo OSCE di Minsk e, insieme a questo, i principi di base. Ultimo aggiornamento nel 2009, questi includono un ritorno dei territori occupati e l’accettazione di una libera espressione di volontà sullo status della regione del Nagorno-Karabakh”, ha aggiunto. “Il governo del Regno Unito continua a sollevare in ogni occasione l’importanza fondamentale di risolvere tutte le questioni relative al conflitto, in particolare il conflitto dell’anno scorso, con i governi armeno e azero. Ciò include, ad esempio, il ritorno di tutti i prigionieri e dei resti del defunto, che è stato un obiettivo particolare del Ministro per l’Europa e le Americhe, Wendy Morton, che ha sollevato la questione ripetutamente con le sue controparti”, ha affermato Lord Goldsmith.

La Baronessa Eaton ha chiesto se il Ministro avrebbe presentato urgentemente una rappresentanza al Governo dell’Azerbaigian per consentire all’UNESCO di indagare su tutti i siti culturali e religiosi armeni per assicurarne la conservazione fisica e per garantire i diritti del clero e delle comunità religiose armene a continuare a funzionare e vivere in loro territorio.

Lord Goldsmith ha affermato che “il Governo sostiene con forza l’appello della nobile Baronessa per il pieno accesso e la piena trasparenza, in relazione sia al patrimonio culturale e alle accuse che sono state fatte, sia al Comitato Internazionale della Croce Rossa, che attualmente non ha pieno accesso a tutti i prigionieri di guerra. Questo è qualcosa per cui stiamo spingendo duramente”.

Ritornando alle dichiarazioni dell’Ambasciatore Mustafayev nel corso della conferenza stampa a Roma, il diplomatico azero ha affermato che un trattato di pace fra Azerbajgian e Armenia sarebbe la risposta a tutti i problemi della regione del Caucaso. Continua a parlare con la faccia di bronzo della “delimitazione dei confini”, dopo la conquista dei territori con la forza e la continua violazione dei confini da parte delle forze armate azere: “Dobbiamo innanzitutto delimitare i nostri confini e siglare un accordo di pace. Ci sono stati degli incontri a livello di ministri degli Esteri, mediati dal Ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e dal Ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian. Molto è stato fatto e noi abbiamo consegnato una bozza del piano di pace per cui stiamo aspettando una risposta”, ha aggiunto l’ambasciatore. “Abbiamo bisogno di una soluzione. L’Armenia è un nostro vicino e sotto certi aspetti dipende anche da noi per quanto riguarda i collegamenti internazionali e i trasporti. Ci sono delle problematiche nella regione ma dobbiamo affrontarle trovando un accordo di pace”, ha proseguito Mustafayev. “L’Armenia ha fornito dei segnali positivi, e di segnali di questo tipo ne abbiamo bisogno anche a livello internazionale. Dobbiamo assolutamente mandare un messaggio positivo e ho chiesto anche al Vaticano di esprimersi in tal senso perché è importante raggiungere questa pace”, ha continuato il diplomatico, osservando che “l’Azerbajgian e l’Armenia non possono essere separati l’uno dall’altro perché sono confinanti, non possono trovare delle strade diverse. Dobbiamo trovare il modo per comunicare. Io penso che prima o poi si troverà un accordo e che riusciremo a portare stabilità nella regione. Dobbiamo farlo attraverso la diplomazia e la politica e il Gruppo di Minsk dell’Osce si sta già adattando a questa nuova situazione nella regione”, ha concluso Mustafayev.

Queste altosonante dichiarazioni diplomatiche pro domo azere, che si basano sul dato di fatto, che “l’Azerbajgian e l’Armenia non possono essere separati l’uno dall’altro perché sono confinanti”, vanno letto alla luce degli avvenimenti quotidiani sul campo (sia sul confine tra i due Paesi, sia nei territori della Repubblica di Artsakh occupati militarmente dall’Azerbajgian), di cui abbiamo riferito con nostra copertura. Le notizie si susseguono giorno dopo giorno ed è un fatto, che ad un anno dalla fine della guerra azero-turca contro l’Artsakh/Nagorno-Karabakh, fino al 13 novembre sono 11 (9 soldati e 2 civili) gli Armeni uccisi dai cecchini azeri. Ricordiamo che ancora l’8 novembre scorso, intorno alle ore 15.00 cecchini azeri hanno sparato dalla Città di Shushi (nella parte della Repubblica di Artsakh occupata) contro civili armeni che stavano eseguendo riparazioni in Artsakh su una condotta idrica ai piedi di Shushi lungo la strada statale. L’ennesima provocazione azera un anno dopo la fine della guerra. Poi, il giorno dopo gli Azeri incredibilmente accusano gli Armeni per la morte dell’operaio armeno e il ferimento di altri tre: dovevano avvisarli così i loro soldati non avrebbero sparato a bruciapelo… L’elenco delle aggressioni da parte dell’Azerbajgian, sia nel territorio della Repubblica di Artsakh ancora libera, sia nel territorio della Repubblica di Armenia altrettanto sovrana, è lungo.

Dovrebbe bastare l’ultima aggressione, per inquadrare bene le dichiarazioni di Mustafayev, che si apprende dal Tweet dell’Iniziativa italiana per l’Artsakh, postato il 14 novembre 2021: «Tentativo di avanzata azera nel territorio dell’Armenia per conquistare posizione avanzata all’altezza di Sisian. Intensa sparatoria ma al momento non si segnalano feriti da parte armena. Ennesima provocazione del regime azero. Aliyev gioca con il fuoco…». Non serve bere tutto il mare per capire che è salato, basta un cucchiaino.

Il Presidente e Comandante in capo delle forze armate della Repubblica dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev ha tenuto un discorso davanti ai militari a Shusha l’8 novembre 2021, ha riferito l’APA. Il discorso è poi stato trasmesso in televisione in differita poco dopo.

Un arrogante dittatore guerrafondaio

Ancora parole di odio contro gli Armeni dell’arrogante dittatore guerrafondaio ad un anno dalla fine della sua guerra contro la autoproclamata Repubblica cristiana armena di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Nuove minacce dalla Città di Shushi occupata dall’esercito azero. La pace è sempre più lontana, sempre più un miraggio nel Giardino della Montagna Nera violato militarmente dall’Azerbajgian, contrariamente a quanto vuole far credere la narrazione ingannevole della diplomazia azera.

L’8 novembre 2021 il Presidente e Comandante in capo delle forze armate di Azerbajgian Ilham Aliyev ha tenuto un altro discorso militarista, approfittando del primo anniversario della fine della guerra provocata dall’aggressione militare del suo Paese contro l’Artsakh e l’Armenia. Ilham Aliyev ha tenuto suo discorso davanti ai militari a Shushi, per enfatizzare ancora di più le sue parole di odio contro gli Armeni. Nella Città simbolo dell’Artsakh, attualmente occupata dal suo esercito, Aliyev era arrivato – come di consueto – in uniforme militare e accompagnato da sua moglie e Primo Vice Presidente, Mehriban Aliyeva, altrettanto in divisa.

L’essenza del discorso di Aliyev, che è stato ascoltato con attenzione dai militari azeri seduti di fronte, era di lodare personalmente lui e l’esercito dell’Azerbajgian, nonché additare ancora una volta gli Armeni come “il nemico”. Lungi dall’aver assunto una posizione più conciliante a un anno dalla fine del conflitto il dittatore azero ha invece rincarato la dose di insulti e minacce al popolo armeno e ancora una volta ha confermato che è stato l’Azerbaigian a scatenare la suddetta aggressione militare contro il Nagorno Karabakh il 27 settembre 2020. Sono delle parole di guerra, da confrontare con quanto dichiarato ieri dal suo Ambasciatore presso la Santa Sede, ieri a Roma, quando Mustafayev ha dichiarato: “Abbiamo bisogno di una soluzione. L’Armenia è un nostro vicino e sotto certi aspetti dipende anche da noi per quanto riguarda i collegamenti internazionali e i trasporti. Ci sono delle problematiche nella regione ma dobbiamo affrontarle trovando un accordo di pace”.

“Quando sono stato eletto per la prima volta alla carica di presidente nel 2003 – ha tuonato Aliyev – ho detto nel mio messaggio indirizzato al popolo azero che avremmo restituito le nostre terre storiche a tutti i costi, pacificamente o militarmente. E così è stato. Gli anni dei colloqui di pace non ha prodotto alcun risultato. Al contrario, il nemico [cioè gli armeni] è diventato ancora più impudente. Se nei primi anni dell’occupazione [armena] io e il popolo azero nutrivamo ancora certe speranze in relazione al processo negoziale, quelli le speranze sono completamente scomparse negli ultimi tempi”.

Dunque, la dittatura azerbajgiana continua la sua politica di armenofobia e di semina di odio verso gli Armeni. E ancor più grave è il fatto che queste parole di odio e di retorica militarista sono state pronunciate proprio a Shushi, una città che si trovava all’interno della Regione Autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO), che aveva guadagnato il diritto all’autodeterminazione nel 1991 e che non ha mai fatto parte della Repubblica di Azerbajgian nata dopo il distacco dall’Unione Sovietica.

Va ricordato inoltre che, secondo una dichiarazione dell’Ufficio del difensore civico dell’Armenia, le parole del Presidente dell’Azerbajgian e di altri alti funzionari sono correntemente utilizzate da soldati dall’esercito azero come sottofondo di video nei quali vengono mostrate delle uccisioni e delle torture d Armeni catturati.

“Quanto ancora abbiamo dovuto sopportare? Qualcuno avrebbe dovuto dar loro una lezione o no? In faccia, decine di migliaia di giovani azeri, soldati, ufficiali si sono fatti avanti e hanno indicato il nemico al suo posto. Lo hanno messo in una posizione che non si riprenderà mai. D’ora in poi, vivrà per sempre con lo stigma di un popolo e di uno Stato sconfitti”, ha rimarcato il Presidente azero. Riferendosi alla Casa della cultura di Shushi, dove si sarebbe dovuto trasferire il Parlamento della Repubblica di Artsakh e che fu pesantemente bombardata dall’esercito azero durante la guerra di aggressione dell’Azerbajgian, con decine di poliziotti armeni morti, ha parlato della “tana del diavolo”.

La Casa della cultura di Shushi in costruzione, la futura sede del Parlamento della Repubblica di Artsakh, prima del 28 settembre 2020.

Il Presidente della Repubblica di Artsakh, Arayik Harutyunyan ha annunciato il trasferimento in un post Facebook il 19 settembre 2020: “La decisione ha sia un’importanza politica e pratica, sia il significato simbolico di ridefinire la nostra città storica e vittoriosa in un modo unico”. Per la nuova sede del Parlamento di Artsakh era previsto un edificio che era stato costruito a metà per il sistema giudiziario, e il trasferimento era previsto per il 9 maggio 2022. Sarà il trentesimo anniversario della liberazione di Shushi da parte delle forze armate armene, la decisiva battaglia nella guerra tra Armeni e Azeri per il territorio tra il gennaio 1992 e il maggio 1994.

Allo stesso modo, la battaglia per Sushi era decisiva nella guerra che ebbe inizio nella mattina del 27 settembre 2020 con l’offensivo dell’Azerbajgian lungo la linea di contatto dell’Artsakh. Dopo 44 giorni di aspri combattimenti, la sera del 9 novembre i rappresentanti dell’Armenia e dell’Azerbajgian, con la mediazione del Presidente russo Vladimir Putin, firmarono un cessate il fuoco per consentire lo scambio di prigionieri e dei caduti.

La vittoria armena nella guerra del 1992-94 portò all’autoproclamazione della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, appoggiata dall’Armenia. L’attuale capitale– come lo era in epoca sovietica – è Stepanakert, ma Shushi ha una storia più lunga e illustre. Si parlava da tempo di spostare la capitale interamente a Shushi. Nel 2017, il sito russo Regnum ha riferito, citando fonti anonime a Stepanakert, che erano in corso discussioni sullo spostamento del Parlamento a Shushi come parte di un progetto più ampio per spostare lì la capitale. Il Ministero della Cultura e alcuni altri enti governativi dell’Artskah si erano già trasferiti a Shushi. La questione si è accelerato dopo l’elezione di Harutyunyan, che ha tenuto il suo insediamento ufficiale a Shushi e ha detto allora che sperava di trasferire lì il Parlamento. Un blogger politico con sede a Stepanakert per il sito di notizie Caucasian Knot ha affermato che lo spostamento del Parlamento presagiva il trasferimento dell’intera capitale. “Tutto sta portando la capitale a trasferirsi da Stepanakert a Shushi”, ha scritto. “Si parla di questo da molto tempo e, a mio avviso, è la decisione giusta. In America la capitale non è New York, ma Washington; anche in Russia la capitale non è San Pietroburgo ma la storica Mosca…”. Gli azeri hanno reagito con allarme alle discussioni. “Questa spregevole intenzione riguardo alla Città di Shusha, che è di eccezionale importanza per il popolo dell’Azerbajgian in termini di caratteristiche culturali, storiche e spirituali, è un altro tentativo di rafforzare la politica di pulizia etnica nei territori occupati dell’Azerbajgian”, ha affermato il ministero degli Esteri azero in una dichiarazione di agosto 2020. La sensibilità azera su Shushi è stata ulteriormente accresciuta dall’annuncio che le autorità dell’Artsakh stavano aiutando a reinsediare nella Città un piccolo numero di Armeni libanesi, sfollati dalla massiccia esplosione di agosto a Beirut. Il Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev, in un discorso del 19 settembre 2020 in cui ha accusato l’Armenia di prepararsi per un’altra guerra, ha definito le mosse intorno a Shushi, che ha definito “la nostra antica città storica”, una “provocazione”. “È un insulto aperto per noi. Pensano che lo prenderemo e basta?”, chiese. Il sito filogovernativo azero Day.az ha affermato che il trasferimento del Parlamento a Shushi mirava a provocare l’Azerbajgian ad iniziare una guerra che gli armeni avrebbero poi incolpato di Baku facendo appello al sostegno militare russo. “Naturalmente, l’Armenia non ha intenzione di attaccare l’Azerbajgian. La sua leadership è pazza, ma non fino a quel punto”, ha aggiunto il sito.

Poi, sappiano cosa è successo nella realtà: domenica 27 settembre 2020 è iniziato l’aggressione dell’Azerbajgian contro la Repubblica di Artsakh. Questo Blog dell’Editore era il primo in Italia di parlarne: Presidente Arayik Harutyunyan: non è l’Azerbaigian, è la Turchia che combatte contro l’Artsakh. Circa 4.000 jihadisti della Syria combattendo con i turchi dalla parte azera – 28 settembre 2020. E abbiamo continuato a parlarne dopo.

L’Azerbajgian mantiene sotto occupazione 41 kmq di territorio sovrano armeno

Quello che l’Ambasciatore dell’Azerbajgian presso la Santa Sede non ha detto ieri ai giornalisti che ha incontrato, è che le forze armate del suo Paese continuano con la politica di azioni provocatorie e aggressive al confine con l’Armenia. L’ha affermato ieri, 15 novembre 2021 in Parlamento il Presidente del Comitato permanente per gli affari esteri dell’Assemblea nazionale dell’Armenia, Eduard Aghajanyan.

“Come ha annunciato il Consiglio di sicurezza dell’Armenia, il 14 novembre in una delle sezioni del confine orientale tra l’Armenia e l’Azerbajgian, le forze armate azere, supportate da veicoli corazzati, sono entrate nel territorio della Repubblica di Armenia. La maggior parte delle truppe e dei veicoli corazzati si sono ritirati a seguito dei negoziati, ma la parte armena ha perso posizioni”, ha affermato il deputato. Ha aggiunto che a seguito dell’incidente la parte azera ha rafforzato la presenza stabilita dopo l’intrusione del 12 maggio 2021. “Dal 12 maggio, le forze armate azere mantengono sotto occupazione circa 41 chilometri quadrati di territorio sovrano armeno”, ha affermato Aghajanyan.

“Le autorità azere continuano a rilasciare dichiarazioni aggressive sull’Armenia, creando di fatto nuove minacce territoriali e di sicurezza per la Repubblica di Armenia. Le violazioni del cessate il fuoco al confine armeno-azerbajgiano si verificano quotidianamente e questa situazione rappresenta una minaccia diretta per l’Armenia, Membro dell’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva (CSTO)”, ha aggiunto.

Eduard Aghajanyan ha osservato che dopo l’intrusione del 12 maggio scorso, l’Armenia ha fatto appello alla CSTO per inviare una missione per monitorare la situazione al confine armeno-azero. Purtroppo, ha detto, la missione deve ancora essere compiuta. “Tenendo conto che l’Armenia è un Paese membro della CSTO, invito il Governo armeno a presentare l’iniziativa di dispiegare la missione di monitoraggio della CSTO al confine armeno-azero in conformità con la procedura della CSTO in risposta alle situazioni di crisi”, ha detto il deputato.

Speciale Tg1 – Armenia, il filo della memoria – 14 novembre 2021. Il reportage di Stefania Battistini in Armenia, culla della Cristianità nel cuore del Caucaso. Un anno dopo la guerra in Artsakh.
Una terra di reminiscenze bibliche e fascino straordinario, il racconto di Stefania Battistini dall’Armenia, culla della Cristianità nel cuore del Caucaso, ponte naturale tra Oriente e Occidente. Tra i suoi monasteri millenari, ancora oggi, si spara, a un anno dalla fine dell’ultima guerra di Karabakh, “la guerra dei 44 giorni”. Un viaggio che racconta bellezza, storia e conflitto: le Bibbie più antiche al mondo custodite nel Matenadaran, le incisioni rupestri sulle montagne incantate di Ughtassar, i monasteri del ‘300 a Syunik, cuore religioso del Sud, sull’antica via della Seta. E poi a Khndzoresk città simile a Matera “oggi a rischio – racconta Sevada Shahanazaryan, Direttore del museo – perché a 15 km da qui c’è il punto in cui si trovano le truppe azere che dopo la guerra hanno cercato di avanzare. L’Unesco deve riconoscere questo sito come patrimonio dell’Umanità!” Il filo della memoria di un popolo perseguitato da sempre – il culmine, il Genocidio del 1915 – arriva sino ad oggi, al cimitero di Yerevan, dove si piangono le migliaia di morti della guerra dei 44 giorni: “In Karabakh (o Artsakh, come lo chiamano gli armeni) stiamo ancora vivendo una emergenza umanitaria”, dice il Supremo Patriarca della Chiesa Apostolica Armena, Karekin II. “Nonostante tutto – dice Grima Martirossian, che ha perso un figlio di 18 anni – noi crediamo ancora nella pace”.

Foto di copertina: Il Presidente e Comandante in capo delle forze armate della Repubblica dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev ha tenuto un discorso davanti ai militari a Shusha l’8 novembre 2021, ha riferito l’APA. Il discorso è poi stato trasmesso in televisione in differita poco dopo.

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