15 ottobre 2021. Con l’infame tessera verde un ricatto diventa libertà, i ricattati diventano ricattatori. La neolingua di Orwell – meglio, il gergo dei gangster – diventa realtà

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Bene ricordare la data del 15 ottobre 2021, il primo giorno in cui era obbligatorio di avere l’infame tessera verde, il Green Pass o certificato verde dello status di vaccinato (che non garantisce di essere Covid-19 free o di non poter infettare altri con il coronavirus cinese di Wuhan) per poter andare al lavoro (quindi, non venendo licenziato, ma privato dallo stipendio, perché “assente ingiustificato” per non esserci sottoposto alla vaccinazione non obbligatoria). E non dimentichiamo un’altra data, che fissa l’inizio dello stato di follia in Italia, il 9-10 marzo 2020.

Da quella data, quasi due anni fa, iniziò l’uso spregiudicato della neolingua: “Non ci sarà più una zona rossa, non ci saranno più zona uno e zona due, ma un’Italia zona protetta. Saranno da evitare gli spostamenti salvo tre ragioni: comprovate questioni di lavoro, casi di necessità e motivi di salute”. Era questa la frase pronunciata dal Presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, firmando e presentando la sera del 9 marzo 2020 agli Italiani il decreto che dal giorni successivo avrebbe segnato la storia della nostra nazione, entrando poche ore per intero in lockdown. Impossibile che mi dimenticherò questa data, non per il lockdown (e per i cartelli “andrà tutto bene”, che sappiamo come è andato, poi), ma perché il 9 marzo 2020 era l’ultima attività a cui ho partecipato, l’inaugurazione dopo il restauro della Cappella dei Borbone nella Real Basilica di Santa Chiara in Napoli [QUI].

A parte di tutte le altre osservazioni, va sottolineato, che l’obbligo dell’infame Green Pass per i luoghi di lavoro, ha aumentato una componente di malessere sociale che è imprescindibile di provare ad ascoltare.

Quindi, è cosa buona e giusta, condividere e rilanciare l’articolo che abbiamo ricevuto, a firma di Stefano Magni – giornalista e saggista, redattore esteri del quotidiano L’Opinione, collaboratore di La Nuova Bussola Quotidiana, Atlantico Quotidiano e diverse altre testate – pubblicato oggi online da Atlantico, rivista di analisi politica, economia e geopolitica.

Inoltre, visto che in questo periodo le parole “fascismo” e “antifascismo” sembrano essere tornate sulla bocca di molti, è opportuno creare un altro ponte col passato (a parte di capire come si è arrivato alle camere a gas e ai forni crematori dello sterminio degli ebrei, delle zingari, degli omosessuali, ecc., certamente non “all’improvviso” e “da un giorno all’altro), con l’ausilio di un articolo che analizza alcune tessere del P.N.F. (Partito Nazionale Fascista) e del C.F.A. (Confederazione Fascista degli Agricoltori), conservate presso l’Archivio Ziosi, facendo qualche premessa storica utilissima, per comprendere il ruolo che il tesseramento avesse nella politica avviata dal regime fascista. A margine, la tessera del P.N.F del 1926 (che era di colore verde), che mostriamo in copertina, oggi sul mercato dei cimeli del ventennio viene offerta a 120,00 Euro. Allora permetteva di guadagnarsi uno stipendio con il lavoro, evitando la fame come oggi a coloro che non sono in possesso del Green Pass, che sempre verde è.

Poi, come “intervallo”, riportiamo l’opinione del saggista e opinionista Diego Fusaro su Affaritaliani.it: «Green Pass, come la tessera del partito fascista: senza non si lavora». Nato a Torino nel 1983, Diego Fusaro insegna storia della filosofia presso lo IASSP (Istituto Alti Studi Strategici e Politici) di Milano. A 16 anni crea un sito sulla filosofia Filosofico.net, che ancora gestisce. Dal 20 giugno 2015 cura un blog per Il Fatto Quotidiano. Nel marzo del 2017 ha fondato l’associazione culturale e rivista Interesse Nazionale, insieme a Giuseppe Azzinari e Ivan Rizzi, Presidente dello IASSP di Milano. Dal gennaio 2018 è titolare della rubrica “Lampi del pensiero” su Affaritaliani.it e con lo stesso titolo ha una rubrica quotidiana su Radio Radio. Oggi, Diego Fusaro ha twittato: «La lingua padronale lo chiama (e lo legittima come) G-Day, cioè Green Pass Day. Noi, opponendoci alle grammatiche padronali, lo chiamiamo (e lo combattiamo come) giorno della vergogna per l’obbligo dell’infame tessera verde».

La neolingua per giustificare il Green Pass: un ricatto diventa libertà, i ricattati diventano ricattatori
Il Green Pass rende “liberi” come pagare un riscatto… Un ribaltamento della realtà e del significato delle parole tipico dei regimi, per scaricare la colpa sui cittadini
di Stefano Magni
Atlanticoquotidiano.it, 15 ottobre 2021


Da oggi occorre il Green Pass per andare al lavoro e allora siamo più “liberi”. Ma i sindacati autonomi di portuali e camionisti, che scioperano in porti importanti come Genova e Trieste, ci “ricattano”. E chi manifesta in piazza, anche scontrandosi con la polizia, per opporsi (in modo sin troppo virulento) a una tessera verde che, se non la possiedi, non ti permette di lavorare, è “fascista”. Questi sono solo alcuni degli ultimi esempi di parole invertite. Termini che fino a ieri significavano qualcosa di preciso, ma che ora hanno assunto un significato opposto.

Merito della classe politica e di un giornalismo che fa da sua cassa di risonanza, abbiamo imparato a ragionare tutti così. Ma vediamo di passare questi concetti al setaccio della ragione. In che senso il Green Pass rende “liberi”, come hanno titolato anche insospettabili giornali di area liberale? Il Green Pass ci consentirà di tornare al lavoro, se si è vaccinati, guariti o si è effettuato il tampone nelle precedenti 72 ore. La cosa buffa è che molti lavoratori si sentono veramente liberi, anche se dovranno esibire il Green Pass pur se restano a lavorare da casa, in smart working. La libertà è questa? Francamente no. Libertà è andare a fare il proprio lavoro, se si è assunti regolarmente da un altro adulto consenziente. Ma aver bisogno di un lasciapassare concesso dallo Stato che dimostri che mi sono comportato da cittadino consapevole, non è libertà. Perché, prima lo Stato mi vieta un comportamento abituale (andare al lavoro), negandomi due diritti costituzionali (libertà di movimento e lavoro), poi semmai me li restituisce solo se mi comporto in un certo modo, cioè se mi vaccino o se effettuo un tampone periodico, a meno che non dimostri di essere già guarito entro un tempo utile. Questo non è un esercizio di libertà, ma è un ricatto: ti tengo sotto sequestro, in un certo senso, finché non fai quello che ti dico io.

E non c’entra neppure la salute: se stesse veramente a cuore la salute dei lavoratori, allo Stato basterebbe lasciare alle aziende la facoltà di chiedere un tampone (unico test che accerta se sei positivo o no) ai dipendenti che vogliono accedere ai suoi locali. Il Green Pass è invece la pretesa, da parte dello Stato, che tutti i cittadini si comportino nel modo che il governo ritiene più prudente: vaccinarsi, o fare tamponi periodici.

Se un lavoratore decide di sottoporsi a tamponi periodici, invece che ad un’unica iniezione, compie sicuramente una scelta più impegnativa. Ma è questa scelta che ha scatenato le ire dei commentatori più accaniti (il virologo Roberto Burioni ha paragonato chi fa questa scelta ad una persona che sceglie di non lavarsi: è legale, ma fa schifo) e il governo è contrario a fare sconti o a rendere gratuito un test che permette realmente di mettere in sicurezza un posto di lavoro. Dunque, prima lo Stato impone di tornare al lavoro solo a certe condizioni, ma poi fa pagare di tasca propria chi vuole rispettare quelle stesse condizioni. Se una persona che viene, di fatto, obbligata ad un tampone periodico, chiede un aiuto allo Stato, allora “è egoista” e i suoi nemici, mettendosi per una volta nei panni dei contribuenti, si indignano perché non vogliono contribuire al suo egoismo. Perché il punto è sempre quello: devi vaccinarti. Senza scuse, senza sconti e senza alternative. Quella del tampone è un’alternativa talmente scoraggiata che (vogliamo scommettere?) durerà poco.

Ma chi si ribella a questa imposizione sta “ricattandoci”. Un portuale o un camionista perdono lo stipendio, se non obbediscono. Se incrociano le braccia con uno sciopero, allora sono loro che “ostruiscono” il lavoro. Quindi la logica è: “Non lavori, solo quando te lo ordino io”.

Fino a che non vi sarà un’adesione totale della popolazione alla campagna vaccinale, allora lo Stato sarà “costretto” a imporre delle nuove restrizioni e a prolungare ancora, magari, anche lo stato d’emergenza. Lo Stato si pone, nei nostri confronti, in termini puramente ricattatori, sin dall’inizio della pandemia: o fai quel che ti dico io, o pagherete tutti con limiti sempre più stretti alla libertà individuale. Ma rovescia la colpa del ricatto a chi lo “costringe” ad intervenire così. “Sai, amico: non hai accettato la mia offerta, mi costringi proprio a farti male”, parrebbe di sentir dire da un gangster.

Se lo Stato è “costretto” a ricorrere a questi provvedimenti, vuol dire che c’è un problema grave di opinione pubblica no-vax? Neppure. In Italia i vaccinati sono il 76,15 per cento della intera popolazione, di cui il 69,5 per cento ha completato con le due dosi o la dose unica. La media europea è del 68 per cento, approssimato per eccesso, di cui 63,9 per cento di completamente vaccinati. Siamo ben sopra la media europea e siamo 14esimi nel mondo, preceduti anche da Stati molto più piccoli (come gli Emirati, primi al mondo) che si sono mossi molto prima di noi con campagna di vaccinazioni di massa. Quindi, il concetto è che: più gente si vaccina, più si parla di no-vax e più lo Stato è spinto a imporre misure coercitive per costringere anche gli ultimi recalcitranti a vaccinarsi.

Chi non sciopera, ma sceglie la piazza, è però un “fascista”. C’erano, nelle manifestazioni NoGreenPass, le componenti fasciste, c’era Forza Nuova, così come c’erano gli anarchici e probabilmente anche altri movimenti anti-sistema di cui non viene riportata neppure l’esistenza. Ma una piazza piena di lavoratori che protestano contro un obbligo imposto dallo Stato, non è una “piazza fascista”. Il Partito Nazionale Fascista, quando era al potere, non ammetteva piazze piene di lavoratori, contro i suoi ordini: tutto nello Stato, tutto per lo Stato, niente contro lo Stato. Al massimo costringeva i datori di lavoro a portare i loro dipendenti in piazza, quando lo ordinava. Il Partito Nazionale Fascista, in compenso, non permetteva ai dipendenti (per lo meno ai dipendenti pubblici) di continuare a lavorare se non avevano la tessera del Partito. Che per ironia della sorte era di colore verde.

Diego Fusaro.

Green Pass, come la tessera del partito fascista: senza non si lavora
I fascisti sono anche coloro i quali accettano, promuovono ed esaltano l’infame tessera verde della discriminazione
di Diego Fusaro
Affaritaliani.it, 12 ottobre 2021


L’infame tessera verde discrimina socialmente e, da questo venerdì, anche lavorativamente. Chi non lo vede, è cieco o in cattiva fede. Come si fa ad accettare un tale abominio, che offende la dignità umana, oltre che naturalmente una Costituzione – la nostra – che sul lavoro si fonda?

Come non vedere la regressione e la svolta autoritaria in atto, peraltro a livello dell’intero modo della produzione (e dunque non solo dell’Italia)? L’infame tessera verde, bieco strumento di controllo totale e di discriminazione, ha un solo precedente in Italia: ed è la tessera del partito fascista, senza la quale non si poteva appunto lavorare.

E farebbe ridere, se non facesse piangere, vedere manifestazioni indette contro il fascismo da chi, accettando e anzi encomiando l’infame tessera verde, ne prosegue le politiche scellerate con altri mezzi e in altri tempi. I fascisti non sono solo i quattro infiltrati che sciaguratamente spaccano le vetrine, probabilmente attuando un copione scritto dal potere: sono anche coloro i quali accettano, promuovono ed esaltano l’infame tessera verde della discriminazione.

Tessera di iscrizione al Partito Nazionale Fascista rilasciata dal Comando del Fascio Romano di Combattimento il 1° marzo del 1926 ad un giovane operaio romano, Silvio Mattei. La tessera è completa di foto del titolare che sembra tutto meno un operaio dell’epoca, indossando un elegante abito da sera con papillon nero. La tessera porta, oltre alla sua firma (vergata con bella calligrafia), anche quella a timbro del Segretario del Fascio di Roma di allora, Italo Foschi. La tessera è una delle ultime firmate da Foschi, che ha lasciato l’incarico nel dicembre del 1926 (Foto di copertina).

Le Tessere del Fascismo
Storiedipianura.it


In questo periodo, nel quale le parole “fascismo” e “antifascismo” sembrano essere tornate sulla bocca di molti, ho sentito la necessità di creare un altro ponte col passato, analizzando alcune tessere del P.N.F. (Partito Nazionale Fascista) e del C.F.A. (Confederazione Fascista degli Agricoltori) conservate presso l’Archivio Ziosi.

Per comprendere il ruolo che il tesseramento aveva nella politica avviata dal regime, è utile fare qualche premessa storica (che invito comunque ad approfondire nei link indicati a fondo dell’articolo).

La costituzione nel 1921 del Partito Nazionale Fascista da parte di Mussolini fu preceduta da una serie di passaggi che ebbero il potere di portare gradualmente un uomo, con una schiera di pochi fedelissimi, a prendere in mano le redini di un intero Paese, servendosi prima di tutto del malcontento verso la classe dirigente creatosi nel primo dopoguerra.

Una volta instaurata la dittatura fascista nel 1925, il partito varò le “leggi fascistissime”, tra le quali ricordiamo lo scioglimento di tutti i movimenti politici ad eccezione del fascismo, l’abolizione della libertà di parola e di libera associazione, la censura della stampa, il ripristino della pena di morte, le elezioni plebiscitarie, l’abolizione dei sindacati e del diritto di sciopero. Con il consolidamento del regime fascista e nell’ambito della politica agraria messa in atto dallo stesso, anche la Confederazione Fascista degli Agricoltori passò direttamente alle dipendenze del P.N.F.

Non è difficile comprendere quale serrata presa di potere il partito esercitò fino al 1943 sul popolo italiano, con tutti i mezzi che una politica oramai corrotta e violenta poteva offrire. In questo clima di grande irrequietezza politica, il tesseramento, da mezzo di autofinanziamento per la Direzione Nazionale, le Federazioni ed i Fasci di Combattimento, divenne ben presto anche uno dei metodi più efficaci per controllare, inquadrare ed assoggettare le masse. La tessera del PNF venne soprannominata “Tessera del Pane” per l’importanza che assunse in uno degli aspetti più importanti della vita sociale del Paese: il lavoro.

Si pensi che le iscrizioni al Partito aumentarono a dismisura quando, il 29 marzo 1928, si decise che gli iscritti al P.N.F. avrebbero avuto la precedenza nelle liste di collocamento (più antica era l’affiliazione, più si “scalavano” le graduatorie). Nel 1930, il tesseramento da almeno 5 anni divenne requisito fondamentale per ricoprire incarichi scolastici di alto livello (presidi e rettori) e dal 1933 per il concorso a pubblici uffici. La tessera divenne poi obbligatoria nel 1937 per ricoprire qualsiasi incarico pubblico.

Dal 1938, la mancanza di iscrizione al partito comportava l’impossibilità di accesso al lavoro e pesanti sanzioni per quegli imprenditori che decidessero di assumere un dipendente che ne era sprovvisto.

Questo fu la causa dei flussi migratori di quanti per motivi politici non volevano allinearsi al regime ma dovevano mantenere una famiglia, ma paradossalmente anche di iscrizioni al partito da parte di quanti erano sostanzialmente indifferenti alle ideologie politiche fasciste.

Le tessere del partito o delle confederazioni si presentano stampate su cartoncino recante sulla copertina un disegno simbolico e sul retro o all’interno i dati del tesserato ed i timbri della Federazione o del Fascio di appartenenza.

Dal 1927 all’interno viene aggiunto il giuramento al P.N.F. dell’iscritto: “Giuro di eseguire senza discutere gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e se è necessario col mio sangue, la causa della Rivoluzione Fascista”. Formula che cambiò nel 1933 con: “Nel nome di Dio e dell’Italia giuro di eseguire senza discutere gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e se è necessario col mio sangue, la causa della Rivoluzione Fascista”.

Nell’ultima pagina di copertina sono stampati gli spazi per i rinnovi, mensili o annuali. La suddivisione dei mesi sarà Gennaio-Dicembre fino al 1929; dal 1930 sulla tessera l’anno diventerà quello dell’Era Fascista, con la divisione dei mesi da Novembre a Ottobre. Questi elementi storici sono importanti per comprendere in quale clima e con quale gradualità un regime ed una dittatura possano svilupparsi e prendere il potere.

La storia e l’istruzione dovrebbero essere strumenti indispensabili per comprendere non solo la situazione attuale, ma anche quale forte ascendente possa esercitare la paura sulle decisioni di ciascuno di noi.

Fonti internet consultate

  • Per le caratteristiche delle tessere del P.N.F. e del C.F.A. [QUI] e [QUI].
  • Per la storia e lo sviluppo della dittatura fascista in Italia [QUI], [QUI], [QUI] e [QUI].
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