Per la Giornata mondiale dell’Ambiente: 1000 sindaci a ‘spreco zero’

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‘Think-Eat-Save’: pensa prima di mangiare e contribuisci a salvare la natura! E’ questo lo slogan scelto per la Giornata Mondiale dell’Ambiente, oggi 5 giugno; il tema dell’evento riguarda lo spreco alimentare, con l’obiettivo di mettere all’attenzione dell’opinione pubblica le questioni ambientali, affinchè le persone diventino protagoniste del cambiamento e promotrici attive di uno sviluppo equo e sostenibile attraverso azioni concrete. A proposito del tema scelto, la Fao ricorda che ogni anno 1.300.000.000 di tonnellate di cibo sono sprecate e, contemporaneamente, nel resto del mondo una persona su sette soffre la fame; di queste, 20.000 bambini sotto i cinque anni muoiono per cause legate alla malnutrizione.

A tal proposito, nei giorni scorsi, a Padova 1000 sindaci, italiani ed europei, hanno firmato la Carta ‘Spreco Zero’, all’interno del primo Forum dei Sindaci a Spreco Zero, dedicato alle buone pratiche che le amministrazioni pubbliche si impegnano a svolgere per ridurre gli sprechi alimentari ed energetici. Il movimento dei 1.000 sindaci, promosso da Andrea Segrè e Last Minute Market, aveva preso avvio lo scorso settembre in occasione della prima edizione di Trieste Next-Salone Europeo della Ricerca Scientifica: “Da allora, ha sottolineato il prof. Andrea Segrè, docente di Politica Agraria Internazionale e Comparata all’Università, è stato un continuo crescere delle adesioni, sia da parte di piccolissimi comuni che di grandi realtà urbane come Torino, Napoli e Milano”.

 

Due dati, per inquadrare il fenomeno: in Europa si sprecano 90 milioni di tonnellate di cibo, 179 kg di cibo a testa.Solo in Italia, nel 2010, questo ha significato ‘bruciare’ € 3.500.000, € 1.693 a famiglia. La Carta Spreco Zero prevede che le amministrazioni firmatarie si impegnino a rendere operative alcune indicazioni contenute nella Risoluzione europea contro lo spreco alimentare per contribuire concretamente all’obiettivo di dimezzare entro il 2025 gli sprechi alimentari; a sostenere tutte le iniziative, organizzazioni pubbliche e private, che recuperano, a livello locale, i prodotti rimasti invenduti e scartati lungo l’intera filiera agroalimentare per ridistribuirli gratuitamente alle categorie di cittadini al di sotto del reddito minimo; a promuovere a livello normativo nazionale sensibilizzando le rappresentanze politiche del territorio alla regolamentazione delle vendite scontate quando il prodotto è vicino alla scadenza.

Infatti circa la metà del cibo prodotto nel mondo, due miliardi di tonnellate circa, non è consumato e finisce nella spazzatura senza essere riciclato. Questa è l’impressionante conclusione di un rapporto curato dalla britannica ‘Institution of mechanicalengineers’ (Ime) che nelle sue analisi denuncia, tra i fattori di spreco, per il mondo sviluppato le date di scadenza troppo ravvicinate indicate sugli alimenti e per il mondo in via di sviluppo le ‘pratiche tecniche e agricole arretrate’. Il rapporto dell’Ime ha messo in rilievo in tutta la sua portata il fenomeno strutturale dello spreco alimentare servendosi di date e statistiche dettagliate. Infatti tra il 30% e il 50% degli alimenti preparati per il consumo non arrivano mai sul piatto dei consumatori e questo a fronte di una situazione che, secondo le stime Onu, vede in prospettiva una crescente pressione sulle risorse naturali. L’Onu stima che nei prossimi decenni ci saranno altri 3 miliardi di bocche da sfamare e proprio in considerazione di questo trend l’Ime invita a combattere lo spreco sistematico di cibo.

Tim Fox, responsabile energia ambiente per l’Ime, ha spiegato che “il quantitativo di cibo sprecato e perso in tutto il mondo è vertiginoso. Questo cibo potrebbe essere usato in prospettiva per alimentare la popolazione mondiale, in costante aumento come per far fronte ai bisogni di chi soffre la fame oggi. E tutto ciò implica anche uno spreco non necessario di terra, acqua e energia….I governi e le agenzie internazionali, l’Onu in particolare, dovrebbero lavorare di concerto per fare in mondi di cambiare la mentalità della gente e scoraggiare le pratiche di spreco di contadini, produttori di cibo, supermercati e consumatori”. Anche le discariche sono piene di potenziali combustibili ma l’Italia non approfitta dell’opportunità, restando indietro rispetto altri paesi europei; Davide Tabarelli, presidente di Nomismaenergia, ha ribadito che ‘in Italia ogni anno si buttano in discarica € 2.800.000.000 di potenziali combustibili’ che invece potrebbero essere impiegati in produzioni industriali. In particolare Nomismaenergia, in collaborazione con Aitec-Confindustria (Associazione italiana tecnico economica cemento) ha elaborato una ricerca che evidenzia i benefici derivanti dall’impiego dei Combustibili Solidi Secondari (Css), ottenuti dai rifiuti urbani (Ru), nel settore industriale, in particolare nei cementifici:

“Tutto ciò che finisce in discarica ha un contenuto energetico che se non viene recuperato si disperde con pesanti conseguenze per l’ambiente, visto che rilasciano Co2, ma anche per l’economia, visto che l’Italia importa oltre l’80% del fabbisogno di energia”. Secondo la ricerca, supponendo un contenuto medio dei Ru di 2.200 kcal/kg, significa buttare 3,7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio in discarica. Dallo studio è emerso che in Italia nel 2010 solo l’8% dell’energia termica necessaria per produrre il cemento è stata ottenuta da combustibili alternativi (rifiuti), mentre il restante 92% è stato ottenuto da combustibili fossili non rinnovabili, prevalentemente di importazione e soggetti all’andamento dei prezzi del petrolio.

 

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