Mannino sul rapporto con la fede di Sciascia. A ciascuno il suo

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Un amico mi ha inviato un breve video molto interessante, ieri 8 gennaio 2021, nel giorno del centesimo anniversario di Leonardo Sciascia, nato a Racalmuto l’8 gennaio del 1921. In questo filmato l’ex Ministro Calogero Mannino (Asmara, 20 agosto 1939) racconta dei ricordi personali sul rapporto con le fede del suo amico Sciascia, nato a Racalmuto l’8 gennaio 1921, spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo.

Leonardo Sciascia morì a Palermo il 20 novembre 1989, in seguito a complicazioni della malattia che lo affliggeva e chiese i funerali in Chiesa, per “non destare troppo scandalo” attorno alla famiglia a Racalmuto (citato da Matteo Collura, Sciascia, svelato l’ultimo enigma, in Corriere della Sera, 5 settembre 2007). Con lui nella sua bara la moglie e gli amici vollero mettere un crocifisso d’argento, simbolo che egli rispettava, pur non essendo un credente in senso stretto (ma nemmeno ateo: «Mi guidano la ragione, l’illuministico sentire dell’intelligenza, l’umano e cristiano sentimento della vita, la ricerca della verità e la lotta alle ingiustizie, alle imposture e alle mistificazioni», scrisse (citato da Gaspare Agnello, Leonardo Sciascia “Il Dio di Sciascia”, 30 agosto 2009). È sepolto nel cimitero di Racalmuto, suo paese natale; sulla lapide bianca una sola frase: «Ce ne ricorderemo, di questo pianeta». Il senso di una frase simile su una tomba è apparso poco “laico e agnostico” a molti, paventando una conversione religiosa di Sciascia, ma è stata vista anche come segno di speranza e di rimpianto. Su un manoscritto, conservato dalla famiglia, Sciascia scrive: «Ho deciso di farmi scrivere sulla tomba qualcosa di meno personale e di più ameno, e precisamente questa frase di Villiers de l’Isle-Adam: “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”. E così partecipo alla scommessa di Pascal e avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano».

Al riguardo, i ricordi registrati dal suo amico Mannino sono preziosi e significativi.

Il video di Calogero Mannino con il ricordo di Leonardo Sciascia.

Tanti saranno i settori di interesse che vedono Calogero Mannino attivo fin da giovane: dirigente della Gioventù Italiana di Azione Cattolica, presidente del Circolo ACLI, dirigente della CISL sia a livello provinciale (Agrigento) sia a livello regionale, avvocato e presidente dell’Associazione degli Avvocati di Sciacca. La carriera politica del giovane Mannino prosegue con l’elezione a consigliere comunale di Sciacca nel 1961 e di consigliere provinciale di Agrigento. Nel 1971 viene eletto deputato all’Assemblea regionale siciliana e, nel luglio dello stesso anno, diviene Assessore regionale alle Finanze rimanendo in carica fino al febbraio del 1976, eletto deputato nazionale tra le file della Democrazia Cristiana nel collegio Sicilia occidentale, rieletto nel 1979, 1983, 1987 e 1992.

Nel 1979 viene eletto Vice Presidente del Gruppo Parlamentare alla Camera dei deputati. Nel luglio 1980, durante il Governo Forlani, viene nominato sottosegretario al Tesoro con il ministro Beniamino Andreatta. Nel luglio del 1981 entra a far parte del Governo Spadolini I come Ministro della marina mercantile. Nel dicembre 1982, con il Governo Fanfani V, diviene Ministro dell’agricoltura e delle foreste, rimanendo in carica fino al luglio del 1983. Quell’anno è nominato da De Mita commissario della DC siciliana. Nel 1987, durante il Governo Goria, torna al governo come Ministro dei trasporti. Nel marzo del 1988, con il Governo De Mita, viene nominato ministro per l’Agricoltura: viene confermato per il VI Governo Andreotti, ma nel luglio del 1990, insieme con Sergio Mattarella e ad altri ministri compagni di corrente, si dimette per dissenso nei confronti della Legge Mammì sull’emittenza televisiva. Torna però al governo, insieme con Martinazzoli e Misasi, che pure si erano dimessi, nel febbraio del 1991, nel VII dicastero Andreotti, nel quale viene nominato ministro per gli interventi straordinari del Mezzogiorno. Non è rieletto alle politiche del marzo 1994, dove si presentò al Senato con la lista civica “Scudo Democratico”. Dopo dodici anni di assenza dalla vita politica aderisce nel 2006 all’UDC e viene eletto senatore nella circoscrizione Sicilia. Nelle elezioni del 2008 viene eletto alla Camera dei deputati con l’UDC nella circoscrizione Sicilia 1, che si presenta al di fuori dagli schieramenti e si pone all’opposizione rispetto al Governo Berlusconi IV. A settembre 2010, insieme con i deputati meridionali Saverio Romano, Giuseppe Drago, Giuseppe Ruvolo e Michele Pisacane, entra in polemica con il leader dell’UDC Pier Ferdinando Casini e il 28 settembre 2010 aderisce al Gruppo misto e fonda con loro la componente Popolari per l’Italia di Domani (PID). I 5 deputati abbandonano quindi il ruolo di opposizione, per il quale erano stati eletti nell’UDC, e si schierano a sostegno della maggioranza parlamentare di centrodestra di Silvio Berlusconi; come primo atto votano la fiducia al Governo. Mannino assume la presidenza del PID, mentre Romano ne diventa il coordinatore nazionale.

L’11 dicembre 2020 la Cassazione ha confermato l’assoluzione dell’ex Ministro Calogero Mannino accusato di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato nel processo stralcio sulla Trattativa Stato-Mafia. L’ex politico democristiano era già stato assolto in Primo grado e in Appello. I giudici della Sesta sezione della Corte di Cassazione hanno dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Palermo, confermando la sentenza di assoluzione del processo di Appello, emessa il 22 luglio 2019. “La Corte di Cassazione ha posto termine alle esercitazioni di fantasia che l’ossessione persecutoria di alcuni pm ha messo su carta sin dal 1991 in diversi processi nei quali sono stato sempre assolto – ha commentato Mannino subito dopo il pronunciamento dei giudici -. Per me è stata una via crucis lunga trent’anni ma per fortuna esistono magistrati liberi”. In 25 anni Mannino è stato assolto 15 volte. “Mai citata l’amicizia con Falcone per difendermi”, ha sottolineato.

Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione i giudici di secondo grado, presieduti da Adriana Piras, scrivevano che “non è stato affatto dimostrato che Mannino” fosse “finito anch’egli nel mirino della mafia a causa di sue presunte ed indimostrate promesse non mantenute (addirittura, quella del buon esito del primo Maxiprocesso) ma, anzi, al contrario, è piuttosto emerso dalla sua sentenza assolutoria che costui fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a Cosa nostra quale esponente del governo del 1991, in cui era rientrato dal mese di febbraio di quello stesso anno”. I giudici di secondo grado sottolineavano inoltre come “la tesi della procura” fosse “non solo infondata, ma anche totalmente illogica ed incongruente con la ricostruzione complessiva dei fatti”.

Nella ricostruzione dell’accusa, Mannino era il primo anello della Trattativa Stato-Mafia: temendo per la sua incolumità, grazie ai suoi rapporti con l’ex capo del Ros Antonio Subranni, nel 1992, avrebbe fatto pressioni sui carabinieri perché avviassero un “dialogo” con i clan. In cambio si sarebbe adoperato per garantire un’attenuazione della normativa del carcere duro. L’ex ministro si è sempre difeso negando ogni coinvolgimento nelle vicende che gli sono state contestate. “Senza retorica, ma con l’emozione del momento, devo sottolineare l’importanza e il valore di questa sentenza che ha riconfermato il verdetto di primo grado e della corte d’appello, quest’ultimo presentato in modo monumentale per precisione, profondità di tutti gli accertamenti e motivazione – ha commentato Mannino – È riconosciuta la mia estraneità alla cosiddetta trattativa Stato-mafia, ma soprattutto è ricostruita la lunga fase della mia vita politica dal 1979 al 1992 che è stata caratterizzata da un impegno di contrasto alla criminalità e dalla piena mia adesione alla linea che lo Stato andava apprestando per affrontare il problema della mafia”.

Mannino scelse di essere giudicato con rito abbreviato, mentre gli altri imputati nel processo Trattativa Stato-Mafia optarono per il dibattimento. E il risultato fu diametralmente opposto con le pesanti condanne del processo di primo grado inflitte il 20 aprile 2018 dalla corte d’Assise presieduta da Alfredo Montalto: dodici anni per gli ex generali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, dodici anni per l’ex senatore Marcello Dell’Utri, 8 anni per l’ex colonnello Giuseppe De Donno. E poi, ventotto anni per il boss Leoluca Bagarella. E assoluzione per l’ex ministro Nicola Mancino, “perché il fatto non sussiste”. Massimo Ciancimino, il supertestimone del processo, è stato condannato a 8 anni per calunnia nei confronti dell’ex Capo della polizia Gianni De Gennaro, è stato invece assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Tutti gli imputati condannati hanno fatto ricorso e il Processo d’Appello è in corso.

In riferimento al titolo

“A ciascuno il suo” è il titolo del romanzo giallo di Leonardo Sciascia pubblicato per la prima volta nel 1966 dalla casa editrice Einaudi. È il secondo romanzo poliziesco di Sciascia ed è ispirato all’assassinio del commissario di pubblica sicurezza di Agrigento Cataldo Tandoy (1960). Il titolo è la traduzione dal latino di unicuique suum, frase stampata sul retro della lettera minatoria che compare nel racconto ed elemento rilevante per l’indagine.

++++ Aggiornamento, 10 gennaio 2021 ++++

“Nei giorni scorsi l’AdnKronos ha riportato le dichiarazioni di Calogero Mannino secondo il quale Report, nell’inchiesta di lunedì scorso, non avrebbe sottolineato la definitiva assoluzione. Quanto riferito da Adnkronos e dall’ex Ministro del Mezzogiorno risulta essere falso: vi allego la trascrizione fedele dell’inchiesta di Paolo Mondani andata in onda lunedì scorso” (Sigfrido Ranucci – Facebook, 10 gennaio 2021).

Trattativa Stato-Mafia. Non smettiamo di pretendere la verità – 5 gennaio 2021

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