‘Na parola è poca e due so troppe, dicono i romani. I napolitani fanno ‘o pernacchio. ‘A schifezza ra schifezza ra schiefezza ra schifezza ‘e l’uommene
O’ pernacchio per il diktator del balconazo che si pensa duce
“Conte vuole che il coprifuoco scatti alle ore 20. Per tutti. @mi sembra sia il caso di mandarlo al diavolo” (Vittorio Feltri… che si è espresso in forma molto educato). Giuseppi ha scoperto che il coronavirus cinese di Wuhan della festa popolare di Capodanno si sveglia già prima delle ore 22.00, per fare le sue scorribande notturne. Un #brancodibalordi inattendibili, inaffidabili, insostenibili, indifendibili, ineffabili, insopportabili, inetti, insipienti, indegni, invotabili, ecc. Chi più ne ha più ne metta. Ma si trova ancora qualcuno disposto a prendere il posto del diktator del balconazo? Menomale che sopravvivranno fino al semestre bianco, perché elezioni sono soltanto uno spreco di soldi che non ci sono (senza le cartelle esattoriali e il prelievo forzato dai conti in banca).
A richiesta gentile rispondo con cortesia e ripropongo quanto segue, storie prese dalla Storia duosiciliana: da «‘a schifezza ra schifezza ra schiefezza ra schifezza ‘e l’uommene» a «o’ pernacchio».
Sono arrivato – da tempo – alla conclusione che alla magistrale divisione dell’umanità in cinque categorie, fatta da Leonardo Sciascia in “Il giorno della civetta”, ne va aggiunta una sesta. E mi spiego:
1. Gli uomini (che sono pochissimi)
2. I mezz’uomini (che sono pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… e invece no, scende ancora più in giù)
3. Gli ominicchi (che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi, e ancora di più quello che seguono più in giù ancora)
4. I (con rispetto parlando) pigliainculo (che vanno diventando un esercito), per parlare chiaro, uomini sprecati
5. I quaquaraquà (che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre)
A questa lista di Leonardo Sciascia va aggiunta la categoria dei “pezzo di mezza cacca”, nella definizione di Edoardo De Filippo:
6. ‘A schifezza ra schifezza ra schiefezza ra schifezza ‘e l’uommene (per cui non perdere tempo con delle parole ma con il classico suono fragoroso napoletanissimo del pernacchio, nobile strumento di offesa, derisorio e di dileggio, quindi non una pernacchia che è volgare, per non scendere al loro stesso livello di infime bassezza; qui le regole della #disputagentile non valgono perché non c’è disputa che tenga #sapevatelo)
O’ pernacchio non è una pernacchia
“Figlio mio, c’è pernacchio e pernacchio… Anzi, vi posso dire che il vero pernacchio non esiste più. Quello attuale, corrente… quello si chiama pernacchia. Sì, ma è una cosa volgare… brutta! Il pernacchio classico è un’arte. […] Il pernacchio può essere di due specie: di testa e di petto. Nel caso nostro, li dobbiamo fondere: deve essere di testa e di petto, cioè di cervello e passione. Insomma, ‘o pernacchio che facciamo a questo signore deve significare: tu sì ‘a schifezza ra schifezza ra schiefezza ra schifezza ‘e l’uommene! Mi spiego?” (Eduardo De Filippo nei panni di Don Ersilio Miccio nel film “L’oro di Napoli”, il film del 1954 diretto da Vittorio De Sica, in cinque episodi (originalmente sei) che rievocano il pittoresco mondo dei “bassi” napoletani.
Don Ersilio Miccio vende saggezza. Per pochi spiccioli dà consigli risolutivi a fidanzati gelosi, militari innamorati e parrocchiani in cerca di una frase a effetto. Tra i tanti casi che gli vengono posti, uno è particolarmente rilevante, in quanto riguarda una problematica comune a tutti gli abitanti dei bassi della zona: un ricco e spocchioso nobile del luogo, il Duca Alfonso Maria di Sant’Agata dei Fornari, pretende di passare con la sua automobile di rappresentanza (forse non ha tutti i torti…) per i vicoli del quartiere occupati dalle masserizie, dalle sedie, dalle poltrone, dai fornelli degli abitanti dei bassi. Lo fa in malo modo, non tenendo in alcun conto che per gli abitanti dei bassi l’utilizzo del suolo pubblico è una necessità. Urge intervenire e Don Miccio propone la soluzione: bisogna colpirlo con qualcosa che è peggiore della morte: il pernacchio. Fa qui un distinguo tra pernacchia e pernacchio: il vero strumento di offesa è il secondo, il pernacchio; la prima, la pernacchia, è una forma decadente e di scarsa qualità, un parente povero del grande pernacchio.
Un suono fragoroso napoletanissimo, derisorio e di dileggio, ironico e arte nobile, che si esegue emettendo un forte soffio d’aria tra le labbra serrate, talvolta con la lingua protratta all’infuori tra le labbra serrate, più spesso premendo con il dorso della mano sulla bocca. Il suono che ne viene fuori è simile a quello di una flatulenza., chiamato “pernacchia” (derisorio volgare) e “pernacchio” (derisorio ironico), termini che vengono spesso confusi. “La pernacchia involgarisce chi la fa, e non chi la riceve” (Alberto Sordi nel ruolo di Otello Celletti, nel film “Il vigile” del 1960 con regia di Luigi Zampa), mentre ‘o pernacchio classico è un’arte.
Il suono – un trillo linguolabiale – non è dotato di significato proprio al fine della comunicazione verbale, ma è molto diffuso tra le culture umane così come tra gli altri primati. Ha origini molto antiche. Sembra risalire alle Guerre Sannitiche, quando i sanniti sconfissero i romani presso le Forche Caudine, costringendoli poi a passare sotto il giogo delle lance. La leggenda narra che in questa occasione i sanniti inventarono il pernacchio, coprendo la bocca con le due mani posizionate a forma d’imbuto e usando il suono contro gli sconsolati vinti. Altri invece lo fanno risalire al periodo del dominio spagnolo, quando i popolani lo usavano per “salutare” l’arrivo degli esattori delle tasse.
Stiamo vivendo in uno stato di follia! E pensiamo che i primi (e sempre pochi) “veri” vaccinati li avremo solo in febbraio, calcolando il secondo richiamo dopo 21 giorni dal primo. Siamo in zona rossa dalla vigilia di Natale e i medici lombardi sono in ferie? In Lombardia?!!!
Il Punto | la newsletter del Corriere della Sera
Prima Ora: la nuova stretta sull’Italia a colori, i ritardi sui vaccini e l’ipotesi di un rimpasto di governo
di Luca Angelini, redazione Digital
4 gennaio 2021
Bisogna tornare a segnare con il pennarello i giorni sul calendario. Il 7 e l’8 Italia sarà in zona gialla e per due giorni ripartirà (forse) la scuola. Nel weekend, però, tutti in zona arancione: chiusi bar e ristoranti. E, dall’11 al 15, ritornerà la divisione regionale per fasce con, in più, l’ipotesi di una zona bianca per le Regioni con i migliori dati dagli indicatori sul contagio, nelle quali potrebbero venire riaperti cinema, teatri, musei e palestre.
Ma è il calendario delle vaccinazioni quello che continua (e continuerà per un bel po’) ad attirare più attenzioni e preoccupazioni. “Io pretendo delle risposte. Le pretendono con me 60 milioni di italiani e, soprattutto, 10 milioni di lombardi. Commissario Arcuri, perché l’Italia, il primo Paese d’Occidente a essere martoriato dalla pandemia, a oggi ha ricevuto soltanto mezzo milione scarso di dosi di vaccino?”, scrive sul Corriere lo scrittore Antonio Scurati. E c’è di più. Se le dosi arrivate sono poche, pochissime sono quelle utilizzate, come ammette la sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa: “Oggi il contatore è su 87 mila prime dosi somministrate, e quelle ricevute dall’azienda Pfizer sono circa 470 mila dosi. Valutiamo la possibilità di turni serali, notturni e festivi di somministrazione per consentire a chi esce dal lavoro di utilizzare quelle ore. I medici di famiglia dovranno senz’altro collaborare se saranno disponibili vaccini che possono essere conservati in frigo” (l’obiettivo è vaccinare da 10 a 13 milioni di italiani entro aprile).
Non proprio sulla stessa linea l’assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera, che ha spiegato così il misero 3% di dosi somministrate rispetto a quelle disponibili: “Abbiamo medici e infermieri che hanno 50 giorni di ferie arretrate. Non li faccio rientrare in servizio per un vaccino nei giorni di festa”. Una posizione che ha fatto imbestialire i suoi stessi colleghi di maggioranza della Lega: “Gallera non rappresenta il governo lombardo. Non sta né in cielo né in terra la scusante dei medici in ferie”.
A proposito di maggioranze spaccate, in quella del premier Conte tira aria di rimpasto (o rimpastino). Matteo Renzi, intervistato da Maria Teresa Meli, da un lato assicura che non si andrà a votare (il primo a non volerlo è lui, che con lo sbarramento del 3% rischia di non entrare nel prossimo parlamento), dall’altro chiede “cambiamenti”. Ma “toccare il premier sarebbe folle”, manda a dire Luigi Di Maio. Insomma, come scrive Carlo Verdelli nel suo editoriale, “la famiglia politica in capo alla nostra comunità, quella che dovrebbe tirarci fuori da questo tunnel, sta scoppiando e nel modo peggiore. Il coronavirus ringrazia e segna un altro punto a favore nella sua devastante campagna d’Italia”. E il direttore del Corriere, Luciano Fontana, rispondendo a un lettore aggiunge che il Paese non può vivere soltanto di “zone rosse”, ha urgente bisogno di progetti per la ripresa economica.