Deputati italiani in missione a Baku, interessati agli idrocarburi e non al massacro dei cristiani nella Repubblica di Artsakh per mano azera-turca

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Oggi, su Libero quotidiano l’amico e collega Renato Farina – uno tra i pochissimi giornalisti italiani sensibile al tema – ritorno su un argomento di cui ho trattato  2 settimane fa [La guerra degli azeri-turchi contro la Repubblica di Artsakh svela l’ipocrisia di molti governanti, più interessati agli idrocarburi che alla vita della gente], commentando la visita di una delegazione di deputati italiani a Baku. Si tratta della prima delegazione di politici stranieri giunta in Azerbajgian dopo la guerra di aggressione azera-turca contro la Repubblica di Artsakh, il Nagorno-Karabakh: “Una delegazione di Montecitorio in visita in Azerbaijan per celebrare il massacro dei cristiani”.

La notizia di un fatto vergognoso, anche tenendo conto di quanto abbiamo scritto ieri sui discorsi del Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan e del Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev alla “Parata della vittoria” a Baku ieri, organizzata dalle autorità azere per celebrare le conquiste territoriali al termine dei 44 giorni di aggressione contro la Repubblica di Artsakh, sancite dall’accordo di cessato il fuoco imposto dalla Russia [Con OC Media tra gli sfollati della guerra azera-turca contro la Repubblica di Artsakh. A Baku, alla presenza di Erdogan, Aliyev rivendica le “storiche terre azere” in Armenia e Artsakh] e vale la pena rileggerlo, per capire la gravità della visita dei “rappresentanti del popolo italiano” al dittatore sanguinario di Baku, massacratore di armeni cristiani nel “Giardino nero di montagna”, storicamente armeno cristiano, con il sostegno determinante del sultano turco di Ankara, impegnato nella restaurazione dell’impero ottomano dei Giovani Turchi, responsabile del genocidio armeno del secolo scorso.

A Erevan i dimostranti (nella foto con la bandiera della Repubblica di Artsakh) chiedono al Primo ministro armeno Nikol Pashinyan di dimettersi per aver firmato l’accordo di cessato il fuoco imposto dalla Russia, che ha visto l’Armenia capitolare di fronte all’Azerbaigian (Foto LaPresse).

Dopo la guerra in Nagorno-Karabakh. Ora i nostri deputati leccano i turchi
di Renato Farina
Libero, 11 dicembre 2020

La prima delegazione di politici stranieri giunta in Azerbaijan per stringere la mano a chi ha spazzato via gli armeni cristiani dal Nagomo-Karabak (Artsakh) è stata italiana. Nulla di cui stupirsi, è un’attitudine nazionale saltare sul carro dei vincitori, è così umano giudicare la storia con gli occhi di chi ha annientato il nemico. Colpisce tuttavia la rapidità. I “nostri”, guidati da Ettore Rosato, vicepresidente della Camera, hanno battuto sul tempo persino il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. I deputati italiani sono giunti a Baku nello scorso fine settimana, hanno incontrato il dittatore Ilham Aliev, hanno visitato le città distrutte dalla guerra, commentando con indignazione le rovine di cui hanno prontamente incolpato gli armeni aggrediti da un’offensiva a freddo degli azeri, condotta con il sostegno dei turchi, e poi hanno lasciato il palcoscenico, come accade nei concerti rock dopo l’esibizione dei cantanti di belle speranze, alla performance del boss dei boss, il neo-sultano ottomano. Il regime ha atteso Erdogan per celebrare la “gloriosa vittoria”, con tanto di parata militare, con tanto di carri per esibire il bottino guerresco.

LE ARMI DI ERDOGAN

Giusto tributo al merito: Erdogan è stato il vero deus ex machina di questa invasione premeditata, condotta in 45 giorni con una crudeltà da tagliatori di teste e con la certezza del successo. Da parte armena si è combattuto all’antica una partita disperata: trincee, camminamenti, armi del secolo scorso. L’Azerbaijan ha giocato facile, ha usato droni e missili di ultima generazione in grado di schiantare le truppe di Erevan che accorrevano convinte di essere invisibili verso l’antica enclave armena in terra azera, ingenuamente in attesa del sostegno dell’Occidente, dovuto se non per ragioni di parentela spirituale almeno per calcoli geopolitici. Solo la Francia ha espresso a parole solidarietà, e chiesto sanzioni contro Ankara. Il governo italiano e l’Europa al completo hanno risposto con il silenzio complice. La Russia ha lasciato per un po’ agire la coppia Erdogan-Aliev, anche per dare una lezione al governo filo-occidentale di Erevan (la capitale della piccola repubblica) che aveva girato le spalle a Mosca confidando sulla lealtà europea. Solo quando si profilava il massacro degli armeni in rotta, Putin ha imposto la pace e schierato le proprie truppe per impedire il peggio, ma ormai l’Artsakh ha cambiato bandiere, ed oggi sventola la mezzaluna. Che fine faranno i segni cristiani così straordinari, con le croci fiorite e i templi scavati nella roccia? Purtroppo lo sappiamo. Basti considerare il saccheggio di opere d’arti e la riduzione a latrine delle un tempo meravigliose chiese di Cipro Est occupata dai turchi. Un particolare ci piacerebbe avessero duramente fatto presente i nostri deputati ai vincitori gongolanti. Non è bello vincere sporco. La Turchia infatti non solo ha fornito congegni micidiali acquisiti in quanto membro della Nato, ma ha generosamente offerto alcune migliaia di mercenari di Al Qaeda e Isis trasferiti dalla Siria per incutere terrore con le loro azioni da tagliagole.

UN GENOCIDIO DIMENTICATO

Non ripeteremo qui l’esito dei referendum legali e le ragioni storiche e in fondo spirituali che marcano – e lo dimostrano anche i monasteri qui presenti dai tempi apostolici – questa terra come patria degli armeni. Esistono certo anche colpe gravidi questi ultimi. Ma un popolo che ha patito il genocidio immane dai capi turchi, qualche ragione di diffidenza sulle buone intenzioni di costoro e dei loro vassalli di Baku è comprensibile l’abbia.

I deputati italiani tutto questo lo sanno? Di sicuro sì. E allora perché? Non tutti – bisogna dirlo – hanno rilasciato dichiarazioni servili. In realtà conta il gesto in sé stesso. La scelta istituzionale di onorare con una visita il presidente dittatore di uno Stato aggressore ha una valenza politica e diplomatica che equivale ad una bastonatura di un popolo nostro fratello qual è certo l’armeno. La stampa e le tivù non hanno dato pubblicità a questo inchino indebito. Non ci consola. In fondo è espressione di una censura benevola, il classico silenzio assenso.

A noi pare un dovere invece chiedere conto di questa pieghevolezza davanti all’arroganza del vincitore. Non va. E c’è qualcosa di ancora più indigeribile, e sono le dichiarazioni dinanzi alle rovine della guerra, che certo ci sono, e provocano amare considerazioni, ma non si dovrebbe mai dimenticare chi è il carnefice (i turco-azeri) e chi la vittima (gli armeni). I nostri deputati hanno invertito i ruoli. Adolfo Urso (Fratelli d’Italia) ha dichiarato che gli armeni hanno distrutto tutto, «salvo la Moschea ridotta a stalla, in segno di oltraggio». Si rende conto Urso – oltretutto membro del Copasir che occupandosi di sicurezza e intelligence su questi temi dovrebbe essere avvertito – che con queste parole genera una credibile minaccia per ogni singolo armeno in Italia, esponendolo al terrorismo islamico?

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Foto di copertina: La delegazione di deputati e senatori italiani in visita a Baku era composta da Ettore Rosato (Italia Viva), Alessandro Alfieri (PD), Rossana Boldi (Lega), Pino Cabras (M5S), Gianluca Ferrara (M5S), Maria Rizzotti (Forza Italia), Adolfo Urso (Fratelli d’Italia) (Foto LaPresse).

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