Utili o inutili sospetti

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La Civiltà Cattolica, la rivista della Compagnia di Gesù, riporta le parole pronunciate dal Papa in Mozambico nell’incontro avuto nella Nunziatura Apostolica con i confratelli gesuiti. Prima di procedere a una analisi filologica del report, mi si consenta di invocare l’anima del Cardinale Giuseppe Pecci, gesuita, estensore di tutta l’ampia produzione teologica del fratello Gioacchino Pecci, Papa Leone XIII. Sicuramente il confratello di Bergoglio non gradirà, lui che era grande sostenitore del tomismo o meglio del neotomismo. Prima che altri gesuiti (Cardinale Augustin Bea, etc. Ndr) nel Vaticano II, bandissero la filosofia e la metafisica dalla storia della Chiesa, per sostituirla con il niente. Ma veniamo al testo della comunicazione che certamente non è un trattato teologico, ma una serie di espressioni pronunciate a braccio.

Francesco parla a braccio, e parla di peccati. Dopo che il nuovo superiore dei gesuiti ha definito il diavolo una figura simbolica, in coerenza con le tesi eretiche dei modernisti, condannati da San Pio X, mi stupisco che ancora il Papa usi questi termini retrogradi come peccato. Questa è una tipica caratteristica del pensiero bergogliano, usare termini tradizionali in contesti teologicamente del tutto inediti, diciamo originali, per non dire eretici.

Ebbene da un articolo dell’edizione online del quotidiano Il Fatto Quotidiano, a firma di Francesco Antonio Grana, apprendiamo che ci sarebbero peccati di serie A e di serie B. I peccati di gola e di lussuria non sarebbero gravi a confronto di calunnia, pettegolezzi, menzogne e ingiustizia sociale. E ancora Francesco cita orgoglio, arroganza, dominio.

Resta da definire cosa si intenda per peccato di lussuria, se semplicemente il sesso fatto in un rapporto di coppia stabile, o invece un uso di esso diciamo smodato al servizio di quella cultura del dominio e della delazione così stigmatizzata. Lo stesso dicasi per il peccato di gola, perché spesso la calunnia nasce nel gozzovigliare di cene galanti, caotiche sotto tutti i punti di vista.

Come si vede stabilire una graduatoria dei peccati non è proprio così facile, o per lo meno non è facile senza i dovuti distinguo. A meno che non si voglia sommessamente dire che la lobby gay lussuriosa in Vaticano tutto sommato non è il peggiore dei mali. O a meno che non si voglia dire, sempre sommessamente, che il gozzovigliare non è poi così deleterio, anche se si sostituisce allo studio, alla meditazione, alla preghiera.

Come si vede i peccati, io direi meglio le disarmonie dell’anima, o della personalità in questa modernità (ma come pensare che la modernità sia del tutto originale nella storia? E anche su questo punto il Concilio Vaticano II ha innovato), si articolano in una fenomenologia psicopatologica complessa, dove i vizi sono in una ragnatela inestricabile. Una ragnatela perversa in cui i cristiani hanno avvertito, “sensibilmente” direbbe Dante, la presenza del Maligno.

Da questo punto di vista sono d’accordo con il concetto male espresso dal Papa, ovvero che il punto da considerare è il dominio, ovvero la costruzione di un sistema patologico di dipendenze, che limitano e riducono a zero la libertà personale. Ma i cristiani nei secoli non hanno forse lottato per la tutela di questa libertà?

Eppure, quando poi il Papa deve additare qualcuno o qualcosa, per far capire chi sia che limiti quella libertà, chi cita? Il giovane sacerdote rigidissimo con tonaca nera e il cappello a forma di Saturno, simbolo del clericalismo. Ora ammesso che l’abito faccia il monaco, ovvero che tutti i giovani preti con la tonaca nera e il cappello a Saturno siano degli oscurantisti della fede, ma siamo sicuri che siano tali?

Ci sorprende che ogni volta che il Papa additi il male si volta sempre nel suo campo, mai in quello altrui. Non cita mai quella che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI chiamavano la dittatura del relativismo, ma per lui il male è la Chiesa, ovvero certa Chiesa.

Ma siamo sicuri che porre rigide regole sia oggi così deleterio e inattuale? Nella realtà in cui i padri sono sempre più fratelli-amici e non più padri? Non dimentichiamo, e qui si può chiedere agli psichiatri, che in tutte le situazioni in cui si esercita un dominio smodato e patologico, si sono smarrite le regole. Sono le regole e non solo la misericordia, ovvero la empatia ovvero il transfer a ridefinire la identità e la responsabilità individuali.

La mitologia bergogliana, che è poi quella di De Lubac e del progressismo del Concilio Vaticano II, pensa che la identità si ritrovi solo nel darsi. Dimenticando che è proprio il darsi tutto e incondizionatamente il paradigma della psicosi persecutoria, di quello che si definisce nei sui estremi parossistici il narcisismo maligno. Che a dire il vero in Francesco non manca, mi riferisco beninteso al narcisismo e non al narcisismo maligno che sarebbe una sentenza inappellabile.

E il tono persecutorio di sottolineatura nei confronti del clericalismo del pastore che sta sempre davanti e stabilisce la rotta fa pensare a qualche problema serio irrisolto nei confronti dei superiori avuti da Bergoglio in gioventù, che qualche riserva la avevano espressa su di lui. Resta tuttavia la attualità del tema sollevato, perché la dipendenza psicologica strutturale nella nostra società è talora asfissiante.

Se dicevamo la dipendenza e la schiavitù psicologica si combattono attraverso la individuazione, là dove invece la nevrosi o la psicosi tendono a rompere il limite del sé, l’ulteriore osservazione di Francesco sul meticciato pone gravi interrogativi. In un discorso così complesso trovo che il tema sia posto in modo generico e confondente, al solito.

Certamente per il paziente nevrotico nel corso del suo processo di individuazione, il confronto con la alterità è elemento di arricchimento e di apertura. Ma è anche vero, che quando questa alterità diventa caotica complessità, la questione si complica. Perché volere creare una situazione di estrema complessità nella società, potrebbe essere funzionale alla distruzione della identità personale e di gruppo, e quindi funzionale alla nevrosi, i vecchi preti clericali direbbero a Satana. Come si vede, anche in questo punto, così come nel precedente dell’avvertimento sulla dipendenza psicologica, la retorica papale si ingarbuglia pericolosamente.

Infine, Francesco termina con un lapsus freudiano, ovvero avverte di non essere cambiato, di essere lo stesso di prima. Il che suscita un qualche dubbio relativamente ai supposti – e non provati, sia chiaro – miei sospetti rispetto a una non evoluzione psicologica maturativa, rispetto a traumi giovanili.

Ma si sa, che viviamo nell’epoca dei tre grandi maestri del sospetto: Freud, Marx e Nietzsche.

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