Faccia di bronzo e onestà intellettuale, nei tempi che corrono

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Nei tempi che corrono mi capita spesso di dover usare l’espressione “faccia di bronzo”. La spiegazione ha a che fare con la frase latina “mala tempora currunt”, attribuita a Marco Tullio Cicerone, la cui traduzione è “corrono tempi cattivi”. È un’espressione che si utilizzata in vari contesti, soprattutto quando si vuole sottolineare il fatto che il periodo che si sta vivendo è particolarmente brutto, triste oppure difficoltoso (personalmente, uso la frase mai con intenti scherzosi, quindi mai come una sorta di finta recriminazione). La frase completa del grande filosofo e politico romano era: “Mala tempora currunt sed peiora parantur”, ovvero corrono brutti tempi, ma se ne preparano di peggiori. Da parte di Cicerone non era esattamente una profezia ottimista e del resto si stava avvicinando la fine della Repubblica di Roma.

I Bronzi di Riace, due statue di bronzo di provenienza greca o magnogreca o siceliota, databili al V secolo a.C., rinvenute il 16 agosto 1972 nei pressi di Riace Marina in provincia di Reggio Calabria, in eccezionale stato di conservazione, sono considerate tra i capolavori scultorei più significativi dell’arte greca e tra le testimonianze dirette dei grandi maestri scultori dell’età classica. Si trovano al Museo nazionale di Reggio Calabria e sono diventati uno dei simboli della città stessa.

Ecco, in questo periodo del “mala tempora currunt”, cosa significa l’espressione “avere la faccia di bronzo“?

Innanzitutto, vediamo cosa è il “bronzo”. Il bronzo è una lega di metalli, il rame e lo stagno, che si sono fondati tra loro. Ovvero il metallo che non si altera nel tempo, resistendo a tutte le intemperie e agli sfregi degli anni che passano. Proprio come lo sono le statue fatte di bronzo, non cambia mai espressione, non appare vergogna sul suo volto, rimane imperturbabile.

Ma quando si usa espressione “faccia di bronzo”, non ci si riferisce alla composizione fisica della faccia, cioè del viso delle persone. Invece, si ci riferisce ad una qualità morale, ad una caratteristica umana, ad un aspetto relativo al comportamento. Dunque, chi sono le persone che hanno la “faccia di bronzo”? La “facce di bronzo” sono delle persone privo di pudore, ipocrita, sul loro viso non leggerai mai la verità o la menzogna, la vergogna o il rimorso.

Si tratta delle persone che possiamo anche chiamare sfrontate, spudorate, sfacciate, capaci di azioni riprovevoli senza rimorsi, che non si vergognano di nulla e non arrossiscono mai, proprio come se fosse di metallo, come se fosse di bronzo, resistente alla corrosione. Se una persona ha la faccia di bronzo allora questa persona è capace a mantenere inalterata una espressione facciale anche in circostanze particolari, circostanze in cui normalmente una persona diventa rossa, cioè arrossisce, oppure si vergogna per aver fatto qualcosa di moralmente non accettabile. Insomma, in situazioni difficili, poche persone riescono a rimanere del tutto impassibili, specie quando ci sono delle colpe, quando si è colpevoli di qualcosa, quando si è fatto qualcosa di sbagliato e per cui ci si dovrebbe pentire, o quantomeno vergognare.

Le persone che hanno la faccia di bronzo sono persone sfacciate, cioè senza faccia, prive di faccia. Queste persone sono “spudorate“, cioè senza pudore, senza vergogna, senza ritegno. Queste persone sono “sfrontate”, cioè senza fronte. La sfrontatezza è atteggiamento o comportamento insolente, impudente. Quando si dice: “Quella persona è di una sfrontatezza incredibile“, si sta parlando di persone spudorate, sfacciate, senza vergogna, senza pudore, senza faccia. Chi ha la faccia di bronzo quindi ha il coraggio di fare delle cose che sono moralmente inaccettabili e di farle con una naturalezza sconcertante, con una naturalezza che sembra strana agli occhi delle persone normali. “Ma guarda che faccia di bronzo!” è la frase che viene spontanea di fronte a queste persone.

Le parole sfrontatezza, spudoratezza e sfacciataggine, iniziano tutte con la “s” e questo si fa spesso quando si vuole indicare la mancanza di qualcosa. In questo caso quello che manca è il pudore (le persone spudorate), la fronte (le persone sfrontate) e la faccia (le persone sfacciate). Il senso è sempre negativo ovviamente. Si tratta di apprezzamenti, di giudizi rivolti a persone che stupiscono in negativo per come reagiscono in specifiche circostanze. Si vuole pertanto comunicare una qualità morale negativa.

Nelle espressioni idiomatiche si usano spesso le preposizioni semplici. Ognuna ovviamente ha le sue caratteristiche. Poi ce ne sono moltissime di espressioni che contengono la parola “faccia”. Vediamo ad esempio che l’espressione “avere una faccia da schiaffi”. La faccia da schiaffi è una faccia che merita schiaffi, una faccia che merita di essere schiaffeggiata.

La “faccia tosta” è la stessa cosa della “faccia di bronzo“. E si sta sempre parlando di persone sfrontate, sfacciate.

Infine, c’è grande differenza tra vergogna e pudore. Un ladro ad esempio potrebbe pentirsi di aver rubato e provare vergogna: il ladro si vergogna, prova vergogna per aver rubato. Allo stesso modo un politico corrotto si può pentire, anche lui, potrebbe provare vergogna per il suo passato da corrotto. Questo non accade mai nella realtà ma sarebbe sicuramente una buona cosa se ogni tanto accadesse. In tali rarissimi casi il politico, come il ladro, prima di pentirsi non ammette naturalmente le sue ruberie o la sua voltagabbana. Non ammette di aver rubato o di aver cambiato idea sui punti del programma con cui fu eletto, prima del pentimento. Nega sempre, anche di fronte all’evidenza, anche cioè quando è evidente: e ci vuole una bella faccia tosta sicuramente per negare anche davanti all’evidenza. Ci vuole una bella faccia di bronzo. Poi – ripeto, nei rarissimi cassi in cui – il politico si pente, ammette di aver sbagliato e si vergogna del suo passato, non posso certamente dire che prova pudore del suo passato.

La sfrontatezza anch’esso è un termine simile, ma essere una persona sfrontata è peggio che avere semplicemente una faccia di bronzo. Il comportamento di una persona sfrontata è non solo sfacciato, ma è anche irriverente e insolente poiché si manca di rispetto alle persone. È anche un atteggiamento arrogante, perché esprime un senso di superiorità nei confronti del prossimo. Lo sfrontato è arrogante perché non tiene in nessun conto di suggerimenti, proposte o richieste che arrivano dalle altre persone. E questa arroganza si manifesta con un costante disdegno e con una irritante altezzosità. Una persona sfrontata pertanto è anche altezzosa, una persona cioè boriosa, piena di boria e presunzione, specialmente nei rapporti sociali, nelle relazioni con le altre persone: “io sono meglio degli altri!”.

Postscriptum

L’espressione “avere la faccia come il sedere” oppure “avere la faccia come il culo“, è un modo sgarbato, maleducato ed anche offensivo. La parola “culo” rappresenta il sedere, anche se è una parolaccia usata in molti modi diversi nella lingua italiana.

Fonte: Italianosemplicemente.com

Cambiando idea, giorno dopo giorno, punto dopo punto, da movimento “onestà! onestà! onestà!” la base pentastellata, un giorno svegliandosi, si è ritrovato in un partito più cialtrona degli altri. L’unica idea ancora da cambiare è il nome. Tipi che non hanno mai rimorsi e che non si vergognano anche se vengono sbugiardati, senza fare una piega; tipi che mentono senza scomporsi; tipi chi non si arrossiscono mai, proprio come se avessero la faccia di bronzo. “Il passaggio da avvocati del popolo, portavoce del popolo, difensori del popolo, guide del popolo, salvatori del popolo a becchini del popolo, sarà repentino e dolorosissimo” (Cit.).

L’onestà intellettuale
di Enzo Vincenzo Sciarra

L’importanza dell’onestà intellettuale?! Una virtù nobile e in estinzione, quotidianamente sopraffatta dalla comune e banale idea di onestà. Ma è sufficiente comportarsi onestamente per essere definito un uomo onesto?
Onestà, infatti, è una parola abusata. Dovrebbe essere una virtù attiva e non passiva. Onestà dovrebbe essere solo ciò che è figlio di una volontà consapevole, figlio di una ragione, non figlio di una costrizione o peggio ancora di un timore. Insomma non si può definire onesto uno studente che è incapace a copiare, come non si può definire onesto un politico che è incapace a rubare. Non si può definire onesto il lavoratore dipendente che paga le tasse sul lavoro, poiché non ha alcun modo di evaderle. Di certo non si può nemmeno pensare che tutti gli uomini siano corruttibili di fronte a “un’occasione”.
Se dunque è fuorviante misurare l’onestà di un uomo sulla base dei suoi comportamenti, quale altro aspetto ci può aiutare? In realtà quello che ci può aiutare è una virtù più nobile, più completa e più importante della stessa onestà: l’onestà intellettuale.
L’onestà intellettuale è “l’onestà libera dal contesto“, ovvero atteggiamenti e comportamenti coerenti al di là di situazioni e persone, è la fedeltà ad un principio, non assoluto e magari anche sbagliato, ma pur sempre un cardine.
L’onestà intellettuale è uno studente che non copia sia quando il professore è in aula sia quando questo si assenta per rispondere al telefono. È un politico che non ruba anche quando sarebbe impossibile scoprirlo. È un uomo che non parla con frasi di comodo e di circostanza ma dice sempre quello che pensa. È un mondo nel quale non esiste la parola convenienza. È una donna che esce di casa ben vestita, truccata e profumata pur non avendo appuntamenti. Un fiore bello e colorato nel più arido dei deserti dove nessuno può ammirarlo. È intelligenza. È una coerenza salda tra pensieri e comportamenti.
La banalità, la superficialità, i mezzi di informazione assolutamente scadenti, ci inducono ad analizzare i fatti in modo populista e parziale e ci inducono a parlare di onestà anche laddove c’è solo convenienza e opportunità. Ad esempio: pagare le tasse è sinonimo di onestà, ce lo ripetono continuamente. (…) credo che il solo termine onestà non dica nulla, poiché questa non discende per forza da un principio e dunque non garantisce la propria genuinità. A volte è una semplice questione di educazione e di tradizione. Altre volte è una forma mentis vigliacca, per evitare di andare incontro a guai peggiori. Niente di sbagliato, ma nemmeno nulla di così nobile e rilevante.
Tutt’altra storia se parliamo di onestà intellettuale. In quel caso un principio, anche se sbagliato per qualcuno, garantisce una linea di pensiero, e conseguentemente un comportamento, univoco, tracciabile, valutabile. Pretendere dall’altro onestà è poca cosa, dobbiamo pretendere onestà intellettuale. Nelle scuole, all’università, al lavoro, a casa, in parlamento. Ecco, sarebbe proprio il caso che in parlamento andasse una classe dirigente onesta intellettualmente, ammesso che esista, perché farebbe tanto bene.

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