La prima valutazione della visita di Papa emerito Benedetto XVI a Regensburg del Vescovo Rudolf Voderholzer

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Il Vescovo di Regensburg, Mons. Rudolf Voderholzer, che ha ospitato e organizzato logisticamente la visita di Papa emerito Benedetto XVI al fratello Mons. Georg Ratzinger, alle ore 14.00 di oggi ha tenuto una breve conferenza stampa nel cortile dell’Ordinariato di Regensburg, per fare un bilancio della visita.

Mons. Voderholzer ha detto di essere “molto contento che questo incontro, un desiderio profondo di entrambi i fratelli, sia stato per entrambi ricostituente e chiaramente rinvigorente”.
Elencando brevemente le tappe della visita di Benedetto XVI a Regensburg, ha ricordato la visita all’Istituto Papa Benedetto, dove sono conservate e documentate tutte le sue opere teologiche e viene preparata l’edizione completa delle sue opere raccolte.
“Nella mia omelia della scorsa domenica – ha detto Voderholzer -, ho definito Benedetto un teologo del secolo e il più grande predicatore sulla Cattedra di Pietro, dai tempi di Leo e Gregorio, i due ‘grandi’”.
A fronte della grandezza del teologo, i cinque giorni del Papa emerito a Regensburg hanno mostrato invece, ha detto Voderholzer, “quest’uomo nella sua fragilità, nella debolezza della sua vecchiaia e nei suoi limiti. Parla con voce flebile, quasi sussurrando e articolare le parole è per lui visibilmente faticoso. I suoi pensieri tuttavia sono perfettamente limpidi, la sua memoria e la sua capacità associativa fenomenali. Per lo svolgimento delle faccende quotidiane è rimesso all’aiuto degli altri. Ci vuole coraggio, e allo stesso tempo umiltà, per mettersi nelle mani degli altri e mostrarsi in pubblico”.
Il calore della sua città e della sua gente, l’aria di casa, insomma, hanno chiaramente rinvigorito l’anziano Papa emerito: “Il viaggio di Benedetto – ha sottolineato Voderholzer – è stato forse anche un addio alla sua patria bavarese. La patria è l’orizzonte dei primi ricordi e il luogo con cui sono collegate le relazioni fondamentali di una persona. Si poteva vedere, come Benedetto sia rifiorito, quando ha visto dai finistrini della sua macchina il paesaggio familiare, i vicoli e i percorsi familiari e soprattutto le persone. Penso che avrebbe preferito andare in bicicletta da Pentling al centro storico di Regensburg, e gli sarebbe piaciuto sedersi con i giovani nella Bismarckplatz per ascoltare, ridere e chiacchierare un po’”.
Del viaggio di Benedetto XVI, oltre all’aspetto storico e spirituale, il Vescovo Voderholzer ha sottolineato sopratutto la dimensione umana: “Ai miei occhi, la visita è stata soprattutto un viaggio dell’umanità. Un uomo, a cui si possono associare cose grandi, ci ha incontrato come uomo fragile e inerme, la cui forza vitale basta ormai appena per l’essenziale a questo mondo. Questa esperienza mi ha molto colpito – ora ho bisogno di un po’ di distanza. Mi ha colpito all’improvviso e impreparato”.

Il saluto del Primo ministro del Freistaat Bayern, Markus Söder prima della partenza di Papa emerito Benedetto XVI dall’aeroporto di München (Foto di Sven Hoppe/POOL/AFP).

“Legato alla Patria”

Il Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Tedesca, che si è riunito oggi 22 giugno 2020 a Berlino, ha scritto una lettera a Papa emerito Benedetto XVI: “Siamo lieti che ha affrontato ancora una volta le fatiche di un viaggio nella vostra patria bavarese e sentiamo quanto sia stato importante per lei incontrare il vostro stimato fratello, Mons. Georg Ratzinger. Le sue visite alla tomba dei vostri genitori e della vostra sorella, e la tappa a Pentling mostrano quanto è strettamente legato alla Patria”, ha affermato il Consiglio permanente. Nella lettera si leggi inoltre: “Il fulcro della vostra visita, che è stato sorprendente per tutti noi, è stata la conversazione con vostro fratello e la celebrazione dell’Eucaristia insieme. Puoi essere sicuro che la accompagneremo con la preghiera, anche dopo vostro ritorno a Roma”.
Il Consiglio permanente ricorda che il Cardinale Joseph Ratzinger è stato membro della Conferenza Episcopale Tedesca e i viaggi in Germania di Papa Benedetto XVI nel 2005, 2006 e 2011. La parola del Papa: “Colui che crede non è mai solo”, determina ancora oggi la Chiesa in Germania. “Siamo uniti nella fede con lei, anche in tempi difficili”, scrive il Consiglio permanente.

Dichiarazione del Vescovo Rudolf Voderholzer sulla visita di Papa emerito Benedetto XVI
Una prima valutazione [*]
Regensburg, 22 giugno 2020
[Nostra traduzione italiano di lavoro del testo originale in tedesco, che segue]

Signore e signori!
L’ultimo giorno della breve visita di Papa emerito Benedetto XVI è iniziato nuovamente con una sorpresa, ma poi di nuovo no. Benedetto aveva deciso, prima della partenza di raggiungere ancora una volta la Luzengasse e di incontrare suo fratello per l’ultima volta. Così il cerchio si è chiuso. Il primo e ultimo incontro è al capezzale dell’anziano fratello.
All’aeroporto ci aspettavamo già il Primo Ministro Söder e il Ministro di Stato Florian Hermann, che era venuti già all’arrivo. Erano presenti molti media.
Il Primo Ministro ha parlato di un grande onore per la Baviera e di una grande gioia.
Benedetto XVI lo ha ringraziato moltissimo per l’accoglienza e il grande apprezzamento che è espresso dalla presenza del Primo Ministro.
Alla fine gli ho augurato le benedizioni di Dio per un buon volo e gli promisi che avremmo curato bene suo fratello.
Questo addio ha concluso una visita imprevedibile, che è stata pianificata velocemente al volo, stimolante per tutti i soggetti coinvolti, ma alla fine svolta in modo eccellente, altamente emotiva.
Posso dirvi che naturalmente sono molto sollevato e che sono molto contento che questo incontro, un desiderio profondo di entrambi i fratelli, sia stato per entrambi ricostituente e chiaramente rinvigorente.
Benedetto XVI, Papa emerito dal 2013, è stato a Regensburg per 5 giorni. Un uomo visita suo fratello gravemente malato e molto anziano, commosso dalla preoccupazione di non trovarlo più vivo in questo mondo.
Visita la sua patria, la tomba dei suoi genitori, la sua casa, con cui ha un legame emotivo e dove in realtà avrebbe voluto trascorrere la sera della sua vita, ha visitato l’Instituto Papa Benedetto, dove sono conservate e documentate tutte le sue opere teologiche e viene preparata l’edizione completa delle sue opere raccolte, e abbiamo pregato davanti all’Urna di Wolfgang nel Duomo di Regensburg – è successo in modo che la visita spontanea coincidesse con l’inizio della Settimana di Wolfgang, la settimana della festa diocesana in preparazione dell’ordinazione sacerdotale.
Doveva essere una visita puramente privata senza un protocollo ufficiale o diplomatico, che ovviamente è difficile da realizzare per un uomo pubblico.
Così si è svolto comunque un incontro con il Nunzio Apostolico, il Rappresentante di Papa Francesco in Germania. Questa visita, che non proveniva dall’esterno ma dall’interno, per così dire, era un segno della benevolenza e del sostegno da parte di Papa Francesco.
Nella mia omelia della scorsa domenica, ho definito Benedetto un teologo del secolo e il più grande predicatore sulla Cattedra di Pietro, dai tempi di Leo e Gregorio, i due “grandi”.
Innumerevoli persone si sono lasciate catturare dalla sua parola e trovano ancora come prima incoraggiamento e rafforzamento della fede nelle sue opere.
Bestseller internazionali con milioni di copie sono stati scritti da Joseph Ratzinger/Papa Benedetto. Cito solo la sua “Introduzione al cristianesimo”, apparsa per la prima volta nel 1968, e la sua “Trilogia di Gesù”. Ha commosso milioni di giovani, diverse centinaia di migliaia soltanto nella Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia. Si rivolgeva ai dubbiosi, le persone che sono alla ricerca di un’esistenza riempita di senso, che allo stesso tempo affronta le sfide della ragione e della fede. Ha influenzato in modo significativo i testi centrali del Concilio Vaticano II, che mostrano la via per la Chiesa di oggi e di domani.
Il suo lavoro teologico è profetico sotto molti aspetti e nella sua profondità una testimonianza epocale di grandezza umana, dignità e forza di fede.
Era Capo supremo di 1,3 miliardi di cattolici di tutti i popoli e nazioni. Ma era sempre un costruttore di ponti, un pontefice che, nel suo modo tranquillo e perfino umile, poteva convincere la gente a cercare l’incontro con Cristo.
Negli ultimi cinque giorni abbiamo visto quest’uomo nella sua fragilità, nella debolezza della sua vecchiaia e nei suoi limiti. Parla con voce flebile, quasi sussurrando e articolare le parole è per lui visibilmente faticoso. I suoi pensieri tuttavia sono perfettamente limpidi, la sua memoria e la sua capacità associativa fenomenali. Per lo svolgimento delle faccende quotidiane è rimesso all’aiuto degli altri. Ci vuole coraggio, e allo stesso tempo umiltà, per mettersi nelle mani degli altri e mostrarsi in pubblico. Gli era chiaro che non sarebbe stato possibile nasconderlo del tutto. La nostra preoccupazione era di chiedere a tutti voi di rispettare la privacy.
Ha dovuto mobilitare completamente la sua forza rimanente per dire addio. Benedetto XVI ci ha incontrato in tutte la sua debolezza invecchiata e siamo stati in grado di sperimentare e condividere ciò che è veramente importante con tutte le dimensioni e la creatività umana alla fine dei giorni di tutti.
Innanzitutto c’è l’amore che una persona prova dai suoi genitori. Lo costruisce, incoraggia la sua strada, sviluppa la forza per dare una direzione a un modo di vivere. Lo indossa ancora quando la fine è in vista. Ho detto ieri nella mia omelia in occasione della celebrazione degli anniversari dei matrimoni e in vista dell’ordinazione sacerdotale di sabato prossimo: l’amore dei genitori è il primo sacramento nella vita di una persona, incluso e specialmente di un sacerdote, persino un papa. Questo amore è un’immagine dell’amore di Dio da cui si riceve e lo passa ai bambini.
È il ricordo riconoscente di questa esperienza fondamentale che hanno portato Benedetto XVI alla tomba della madre e del padre a Ziegetsdorf. Come promemoria: i fratelli Ratzinger decisero nel 1974 di trasferire i genitori dal cimitero di Traunstein, dove furono inizialmente sepolti – il padre morì nel 1959, la madre nel 1963 – a Ziegetsdorf, in modo che la famiglia fosse, per così dire, insieme. Nel 1991, la sorella maggiore fu sepolta in questa tomba e il Cardinale Ratzinger, con suo grande dolore, non arrivò in tempo prima della sua morte.
Ma tutto ciò dimostra quanto Regensburg rappresenti la sua patria terrena. La patria è costituita principalmente dalle relazioni. L’amore per la patria non è in conflitto con la speranza di rivedere la madre e il padre nell’eternità di Dio.
È questo affetto che ha spinto Benedetto a questo viaggio, che lo ha portato al capezzale del suo fratello. Si può solo augurare a tutti un tale affetto, una tale unione fraterna, come dimostra la relazione tra i fratelli Ratzinger. Vive da lealtà, fiducia, altruismo e solide fondamenta: nel caso dei fratelli Ratzinger, questa è la comune e viva fede in Cristo, il Figlio di Dio. I due fratelli si incontrarono nove volte. Ognuno di questi incontri ha chiaramente dato loro vitalità, nuovo coraggio e gioia. Si ritrovarono nove volte con poche parole, con gesti familiari e soprattutto nella preghiera. Fino ad oggi, l’Eucaristia è stata celebrata ogni giorno al capezzale, nel più piccolo dei circoli. Venerdì, per la Solennità del Sacro Cuore di Gesù, mi è stato permesso di presiedere la Santa Messa. Si vede: questa è la Fonte, da cui vivono ambedue.
Il viaggio di Benedetto è stato forse anche un addio alla sua patria bavarese. La patria è l’orizzonte dei primi ricordi e il luogo con cui sono collegate le relazioni fondamentali di una persona. Si poteva vedere, come Benedetto sia rifiorito, quando ha visto dai finistrini della sua macchina il paesaggio familiare, i vicoli e i percorsi familiari e soprattutto le persone. Penso che avrebbe preferito andare in bicicletta da Pentling al centro storico di Regensburg, e gli sarebbe piaciuto sedersi con i giovani nella Bismarckplatz per ascoltare, ridere e chiacchierare un po’.
Il viaggio di Benedetto fu anche un cammino spirituale. Nella mia esperienza, un cerchio si è chiuso quando abbiamo pregato insieme domenica davanti all’Urna di San Wolfgang nel Duomo di Regensburg. Abbiamo pregato una litania di intercessione a San Wolfgang, poi il Padre Nostro, un’Ave Maria, e abbiamo cantato il Te Deum e il Salve Regina. Ho chiesto a Benedetto le sue benedizioni per i fedeli e la Chiesa in Regensburg, che ha donato volentieri. Pregare insieme era basato sulla speranza e sulla convinzione di essere al sicuro in Dio. Un Dio che tiene per noi aperte le porte del cielo. Che ci tiene pronto un posto nella patria eterna. In cui la nostra vita acquista significato e pienezza. E chi ci guarda con grazia e misericordia.
Alcuni hanno visto nella visita di Benedetto un evento storico. Altri potrebbero aver scrollato le spalle perché attribuiscono poca importanza a Cristo e alla Sua Chiesa. Ai miei occhi, la visita è stata soprattutto un viaggio dell’umanità. Un uomo, a cui si possono associare cose grandi, ci ha incontrato come uomo fragile e inerme, la cui forza vitale basta ormai appena per l’essenziale a questo mondo. Questa esperienza mi ha molto colpito – ora ho bisogno di un po’ di distanza. Mi ha colpito all’improvviso e impreparato. La mia prima reazione all’annuncio dell’Arcivescovo Gänswein è stata: faremo tutto il possibile per consentire a Papa emerito di rendere possibile questo desiderio, ed è stato un onore per me e per tutti il miei collaboratori e collaboratrici, servire il Papa emerito. Vorrei ringraziare tutti i collaboratori nella Conferenza dell’Ordinariato, nel Capitolo della cattedrale e nel Seminario guidato da Regente Mons. Martin Priller, che ha organizzato la sistemazione in pochissimo tempo – non solo per lo stesso Benedetto ma anche per le persone che lo hanno accompagnato e per gli agenti di polizia che erano responsabili della sicurezza immediata. Ringrazio il Direttore della Caritas Diacono Weißmann, che non è solo un teologo ma anche un infermiere di professione, per l’eccellente lavoro dietro le quinte.
Ho ammirato l’ampio e in gran parte volontario servizio dei maltesi, che hanno svolto il servizio di trasporto, nonché il lavoro flessibile, amichevole e profondamente professionale della polizia. Vi prego senz’altro di esprimere pubblicamente questo mio ringraziamento, anche a nome di Benedetto XVI e dell’Arcivescovo Gänswein,. Non per ultimo, vorrei esprimere il mio ringraziamento anche a voi giornalisti. Avete riferito con moderazione e con questo servizio avete dato un contributo fondamentale, che questo viaggio essenzialmente privato poteva rimanere un viaggio privato, e comunque è diventato un evento commovente per molti cittadini di Regensburg, per l’intera regione e, come mi è stato detto da varie parti, per la Cristianità addirittura in tutto il mondo.
Grazie mille!
[*] Questo testo è il manoscritto del discorso del Vescovo Voderholzer per la sua Dichiarazione nell’ambito di una piccola conferenza stampa nel cortile dell’Ordinariato Episcopale il 22 giugno 2020. Durante la lettura ha aggiunto alcuni commenti alla parola scritta.

Bischof Rudolf Voderholzer zieht Bilanz zum Besuchs des emeritierten Papst Benedikt XVI
Statement Bischof Rudolf Voderholzers zum Besuch des emeritierten Papst Benedikt XVI
Eine erste Bilanz [*]
Regensburg, den 22. Juni 2020

Meine sehr verehrten Damen und Herren!
Der letzte Tag des Kurzbesuches von Papa em. Benedikt XVI. begann noch einmal überraschend, dann aber doch wieder nicht. Benedikt hatte entschieden, vor dem Abflug noch einmal in der Luzengasse vorbeizufahren und ein allerletztes Mal den Bruder zu treffen. So schließt sich der Kreis. Die erste und letzte Begegnung ist die am Krankenbett des altersschwach im Bett liegenden Bruders.
Am Flughafen wurden wir bereits erwartet von Ministerpräsident Söder und Staatsminister Florian Hermann, der auch schon bei der Begrüßung gekommen war. Viele Medien waren vertreten.
Der Ministerpräsident sprach von einer großen Ehre für Bayern und einer großen Freude.
Benedikt XVI. hat sich ganz herzlich bedankt für den Empfang und die große Wertschätzung, die durch die Anwesenheit des Ministerpräsidenten zum Ausdruck komme.
Ich habe ihm dann zum Schluss noch einmal Gottes Segen für einen guten Flug gewünscht und ihm versprochen, dass wir gut auf seinen Bruder schauen werden.
Mit diesem Abschied endete ein unvorhergesehener, auf die Schnelle von jetzt auf gleich zu planender, für alle Beteiligten herausfordernder, aber letztlich hervorragend verlaufener, hoch emotionaler Besuch.
Ich darf Ihnen sagen, dass ich natürlich sehr erleichtert bin, und dass es mich freut, dass die Begegnung, ein Herzenswunsch der beiden Brüder, für beide sehr aufbauend und ganz offenkundig auch stärkend war.
Benedikt XVI., der seit 2013 emeritierte Papst, war 5 Tage in Regensburg. Ein Mann besucht seinen schwerkranken und hochbetagten Bruder, bewegt von der Sorge, ihn nicht mehr lebend auf dieser Welt anzutreffen.
Er besucht seine Heimat, die Grabstätte seiner Eltern, sein Haus, mit dem ihn eine Lebenssehnsucht verbindet und wo er eigentlich seinen Lebensabend hatte verbringen wollen, er hat das Institut Papst Benedikt besucht, in dem sein Theologisches Werk umfassend dokumentiert und die Gesamtausgabe vorbereitet wird, und wir haben am Wolfgangs-Schrein im Regensburger Dom gebetet – es hat sich so gefügt, dass der spontane Besuch mit dem Beginn der Wolfgangs-Woche, der diözesanen Festwoche in der Vorbereitung auf die Priesterweihe zusammenfiel.
Es sollte ein rein privater Besuch werden ohne offizielles oder diplomatisches Protokoll, was natürlich bei einem Mann der Öffentlichkeit nur schwer zu realisieren ist.
So kam es immerhin zu einer Begegnung mit dem Apostolischen Nuntius, dem Vertreter von Papst Franziskus in Deutschland. Dieser Besuch, der nicht von extern, sondern von intern sozusagen kam, war ein Zeichen des Wohlwollens und der Unterstützung von Papst Franziskus.
Ich habe Benedikt in meiner Predigt vom gestrigen Sonntag einen Jahrhunderttheologen und den größten Prediger auf dem Stuhl Petri seit Leo und Gregor, den beiden „Großen“, genannt.
Unzählige Menschen haben sich ergreifen lassen von seinem Wort und finden nach wie vor in seinen Werken Ermutigung und Stärkung im Glauben.
Aus der Feder Joseph Ratzingers / Papst Benedikts stammen internationale Bestseller mit Millionenauflagen. Ich nenne nur seine 1968 erstmals erschienene „Einführung in das Christentum“ und seine „Jesus-Trilogie“. Er hat Millionen junger Menschen bewegt, etliche Hunderttausende allein zum Beispiel auf dem Kölner Weltjugendtag. Er sprach gerade die Zweifler an, die Menschen, die auf der Suche sind nach einer sinnerfüllten Existenz, die sich gleichzeitig den Herausforderungen der Vernunft und des Glaubens stellt. Er beeinflusste maßgeblich die zentralen Texte des Zweiten Vatikanischen Konzils, die der Kirche von heute und morgen den Weg weisen.
Sein theologisches Werk ist in vieler Hinsicht prophetisch und in seiner Tiefe ein epochales Zeugnis menschlicher Größe, Würde und Glaubenskraft.
Er war Oberhaupt von 1,3 Milliarden Katholiken aller Völker und Nationen. Immer aber war er ein Brückenbauer, ein Pontifex, der in seiner stillen, ja demütigen Art Menschen gewinnen konnte, die Begegnung mit Christus zu suchen.
In den vergangenen fünf Tagen nun haben wir diesen Mann in seiner Gebrechlichkeit, in seiner Altersschwäche und seiner Endlichkeit erlebt. Er spricht mit leiser, ja fast flüsternder Stimme; und die Artikulation bereitet ihm sichtlich Mühe. Seine Gedanken aber sind völlig klar; sein Gedächtnis, seine Kombinationsgabe phänomenal. Für praktisch alle alltäglichen Lebensvollzüge ist er auf die Hilfe anderer angewiesen. Es gehört viel Mut, aber auch Demut dazu, sich so in die Hände anderer Menschen zu begeben; und sich auch in der Öffentlichkeit zu zeigen. Dabei war ihm klar, dass man ihn nicht würde ganz verbergen können. Unser Anliegen war es, Sie alle zu bitten, die Privatsphäre zu achten.
Seine verbliebene Kraft musste er vollständig mobilisieren, um Abschied zu nehmen. Benedikt XVI. begegnete uns in all seiner gealterten Schwäche und wir durften dabei erfahren und miterleben, was bei aller menschlichen Größe und Schaffenskraft am Ende aller Tage wirklich wichtig ist.
Da ist zunächst die Liebe, die ein Mensch von seinen Eltern erfährt. Sie baut ihn auf, sie ermutigt seinen Weg, sie entfaltet die Kraft, einem Lebensweg die Richtung zu schenken. Sie trägt ihn auch noch, wenn das Ende in Sicht ist. Ich habe gestern in der Predigt anlässlich der Feier der Ehejubiläen und im Blick auf die Priesterweihe nächsten Samstag gesagt: Die Liebe der Eltern ist das erste Sakrament im Leben eines Menschen, auch und gerade eines Priesters, sogar eines Papstes. Diese Liebe ist ein Abbild der Liebe Gottes, von der sie sich empfängt und die sie den Kindern überliefert.
Es ist die dankbare Erinnerung an diese grundlegende Erfahrung, die Benedikt XVI. an das Grab von Mutter und Vater in Ziegetsdorf führten. Zur Erinnerung: Die Geschwister Ratzinger hatten 1974 beschlossen, ihre Eltern vom Friedhof in Traunstein, wo sie ja zunächst begraben wurden – der Vater starb 1959, die Mutter 1963 – nach Ziegetsdorf überführen zu lassen, damit die Familie sozusagen beisammen ist. 1991 wurde in diesem Grab dann auch die ältere Schwester begraben, zu deren Tod der damalige Kardinal Ratzinger, zu seinem großen Schmerz, nicht rechtzeitig gekommen war.
All das zeigt aber, wie sehr für ihn Regensburg irdische Heimat darstellt. Heimat wird konstituiert vor allem durch Beziehung. Die Liebe zur Heimat steht dabei nicht im Widerspruch zur Hoffnung, Mutter und Vater in der Ewigkeit Gottes wiederzusehen.
Es ist diese Zuneigung, die Benedikt zu dieser Reise bewogen und die ihn an das Krankenbett seines Bruders geführt hat. Man kann nur jedem eine solche Zuneigung wünschen, ein so brüderliches Miteinander, wie sie sich in der Beziehung der Geschwister Ratzinger bezeugt. Sie lebt von Treue, Vertrauen, Selbstlosigkeit und einem tragfähigen Fundament: im Falle der Brüder Ratzinger ist das der gemeinsame, lebendige Glaube an Christus, den Gottessohn. Neunmal trafen die beiden Brüder zusammen. Jede dieser Begegnung hat ihnen ganz offenkundig Lebenskraft, frischem Mut und Freude vermittelt. Neunmal fanden sie zueinander mit wenigen Worten, mit den vertrauten Gesten und vor allem im Gebet. Bis auf heute wurde an jedem Tag am Krankenbett – im kleinsten Kreis – die Eucharistie gefeiert. Am Freitag, zum Herz-Jesu-Fest, durfte ich der Messe vorstehen. Man spürt: das ist die Quelle, von woher die beiden leben.
Benedikts Reise war vielleicht auch ein Abschied von seiner bayerischen Heimat. Heimat ist der Horizont der ersten Erinnerungen und der Ort, mit dem sich die tragenden Beziehungen eines Menschen verbinden. Es war zu spüren, wie sehr Benedikt aufblühte, wenn er die vertraute Landschaft, die vertrauten Gassen und Wege und vor allem die Menschen durch die Scheiben seines Transportautos sah. Ich glaube, am liebsten wäre er wie früher von Pentling mit dem Fahrrad in die Regensburger Altstadt gefahren und gerne hätte er sich zu den jungen Menschen auf den Bismarckplatz gesetzt, um zuzuhören, mitzulachen und um ein wenig zu ratschen.
Benedikts Reise war auch ein geistlicher Weg. In meinem Erleben schloss sich ein Kreis, als wir am Sonntag zusammen am Schrein des Heiligen Wolfgangs im Regensburger Dom beteten. Wir beteten eine Fürbittlitanei zum Heiligen Wolfgang, dann das Vater Unser, ein Ave Maria, sangen das Te Deum und das Salve Regina. Ich bat Benedikt um seinen Segen für die Gläubigen und die Kirche in Regensburg, den er bereitwillig spendete. Getragen war das gemeinsame Beten von der Hoffnung und dem Glauben, geborgen zu sein in Gott. Einem Gott, der uns die Türen des Himmels offenhält. Der uns einen Platz in der ewigen Heimat bereithält. In dem unser Leben seinen Sinn und seine Fülle gewinnt. Und der uns mit Gnade und Barmherzigkeit betrachtet.
Manche sahen in Benedikts Besuch ein historisches Ereignis. Andere zuckten vielleicht mit den Schultern, weil sie Christus und seiner Kirche wenig Bedeutung beimessen. In meinen Augen war der Besuch vor allem eine Reise der Menschlichkeit. Ein Mann, mit dem man Großes verbinden kann, begegnete uns als gebrechlicher, ja hilfloser Mensch, dessen verbliebene Lebenskraft gerade mal ausreicht, das Wesentliche auf dieser Welt im Blick zu halten. Mich hat dieses Erlebnis sehr bewegt – ich brauche selber jetzt erst einmal ein wenig Abstand. Es hat mich ja ganz unvermittelt und unvorbereitet getroffen. Meine erste Reaktion auf die Ankündigung von Erzbischof Gänswein war: wir werden alles in unserer Macht stehend tun, um dem Papa emerito diesen Wunsch zu ermöglichen, und es war mir und allen meinen Mitarbeiterinnen und Mitarbeitern eine Ehre, dem emeritierten Papst zu Diensten zu stehen. Ich danke allen Mitarbeitern in der Ordinariats-Konferenz, im Domkapitel und im Priesterseminar unter Leitung von Regens Msgr. Martin Priller, die in kürzester Zeit die Beherbergung organisierten – nicht nur für Benedikt selbst sondern auch für die Menschen, die ihn begleiteten und für die Polizisten, die die Verantwortung für die unmittelbare Sicherheit trugen. Ich danke dem Caritas-Direktor Diakon Weißmann, der ja nicht nur Theologe sondern auch ausgebildeter Krankenpfleger ist, für die hervorragende Arbeit im Hintergrund.
Den großen und weitgehend ehrenamtlich geleisteten Dienst der Malteser, die den Fahrdienst bewerkstelligten, habe ich bewundert ebenso wie die so flexible, freundliche und zutiefst professionelle Arbeit der Polizei. Ich bitte Sie, diesen meinen Dank, auch im Namen von Benedikt XVI. und von Erzbischof Gänswein, unbedingt öffentlich zum Ausdruck zu bringen. Nicht zuletzt möchte ich diesen Dank auch Ihnen, den Journalistinnen und Journalisten aussprechen. Sie haben zurückhaltend berichtet und mit diesem Dienst wesentlich dazu beigetragen, dass diese im Kern private Reise auch eine private bleiben konnte, und doch ein bewegendes Ereignis wurde für viele Regensburgerinnen und Regensburger, für die ganze Region und, wie ich von verschiedenen Seiten mitgeteilt bekomme, für die Christenheit sogar weltweit.
Vielen Dank!
[*] Dieser Text ist das Redemanuskript Bischof Voderholzers für sein Statement im Rahmen einer kleinen Pressekonferenz im Innenhof des Bischöflichen Ordinariats am 22.6. 2020. Während des Vortrags ergänzte er das geschriebene Wort um einige Anmerkungen.

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