Se il Pontefice volesse fare giustizia nel “caso Hasler”, come in tanti altri casi di “cacciate” per mano sua…

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Dopo il nostro ultimo articolo [I riflettori sul “caso Hasler” in tedesco, inglese e spagnolo. Dopo tre anni abbiamo riportato alla luce un’ingiustizia del Pontefice. Cosa aspetta di sanare? – 30 aprile 2020] non si sono certamente spenti i riflettori sul “caso Hasler”.
In attesa della prossima pubblicazione di un dossier storico molto interessante, a cui lo Staff del “Blog dell’Editore” sta lavorando, riportiamo due articoli di oggi 12 maggio 2020, con cui Marco Tosatti sul blog Stilum Curiae (Il caso Hasler. Se il Pontefice volesse fare giustizia…) e Sandro Magister sul blog Settimo Cielo de L’Espresso, in italiano, inglese, spagnolo e francese (Francesco imprenditore buono “che non vuole licenziare nessuno”. Ma i fatti dicono l’opposto), ritornano sul “caso Hasler”.

Il caso Hasler. Se il Pontefice volesse fare giustizia…
di Marco Tosatti
Stilum Curiae, 12 maggio 2020

Carissimi Stilumcuriali, qualche giorno fa su Radio Roma Libera, il primo podcast cattolico italiano, ho postato una riflessione che potete trovare, se avete voglia di ascoltarla, a questo collegamento. In essa, come vedrete qui sotto, riprendo un caso che è rimasto sottotraccia fino quando il protagonista – e vittima – principale non ha deciso di uscire dal silenzio, sia pure con grande discrezione, postando un commento sul suo profilo Facebook, che è stato ripreso da Korazym.org. E successivamente, anche da Stilum Curiae. Ecco, credo che sarebbe ben tempo che la giustizia, quella vera e non un surrogato sommario, facesse il suo corso in Vaticano.
Se il Pontefice volesse! Potrebbe sanare una sua ingiustizia.
Nei giorni scorsi è emerso – finalmente – un caso che potrebbe stupire e scandalizzare chi non conosce quanta malvagità possa albergare in luoghi – tra virgolette – sacri. Tre anni fa è cominciato il calvario di un giovane funzionario del Vaticano, Capo della segreteria del Governatorato, Eugenio Hasler. Eugenio è figlio di un maggiore delle guardie svizzere in pensione, e ha lavorato per una decina di anni dietro le Mura. Ha collaborato con diversi segretari generali, gli ultimi dei quali erano mons. Viganò, mons. Sciacca e l’attuale segretario, mons. Vérgez. A giudizio di tutti coloro con cui abbiamo parlato, fra cui anche personalità di rilievo nel mondo vaticano, si tratta di una persona onesta e competente. Due elementi non di poco conto, in particolare al Governatorato, dove di soldi ne girano parecchi: è veramente la maggiore fonte di introiti per il piccolo Stato. Eugenio Hasler era prezioso, in questo via vai di segretari e presidenti, alcuni dei quali certo non brillavano per competenze specifiche. Era conscio di questo, e cercava di aiutare i suoi superiori a districarsi nella giungla amministrativa e finanziaria, in cui potevano ben crescere e prosperare piante velenose e corrotte.
Tre anni fa – il 27 marzo del 2017 – Eugenio Hasler era a metà strada fra i trenta e i quaranta – i frutti di quelle piante velenose maturarono. Eugenio aveva dato fastidio a qualcuno, che voleva coltivare senza fastidiosi controlli il ricco orticello del Governatorato, e questo qualcuno – un prelato, che ancora oggi fa il bello e il cattivo tempo là dentro – ha probabilmente messo in atto un piano per sbarazzarsene.
Eugenio ricevette – pare senza che i suoi diretti superiori ne fossero al corrente – una convocazione per un’udienza dal papa. Ci andò pieno di speranze; ma il tono fu molto diverso. Papa Bergoglio gli chiese se fosse vero che avesse un brutto carattere, gli disse due o tre altre banalità, negative, e alla fine dal momento che Eugenio ribatteva: – Cerco solo di aiutare i miei superiori nello svolgere il loro compito…- concluse: “Lei non si preoccupi dei suoi superiori, parlerò io con loro. Ma da domani non metta più piede nel suo ufficio”.
Alla richiesta di essere trasferito in un altro dicastero il Pontefice rispose: “No, no, sta bene così”.
In questi tre anni Eugenio Hasler ha taciuto. Ha chiesto che venisse aperta un’inchiesta su di lui, in modo che venissero concretizzate delle accuse, che venissero indicati i motivi di una decapitazione senza ragione. Niente. Dopo tre anni ha deciso di parlare, con un post sul suo diario di Facebook. Parla della campagna contro di lui, organizzata – lui sa da chi – delle lettere anonime scritte contro di lui. “Ora, – dice Eugenio Hasler – non è difficile comprendere la dinamica di chi e come possa aver fatto passare per veritiere cose assolutamente non vere o delle quali esistono prove inconfutabili del contrario (ovviamente mai prese in considerazione). A tre anni di distanza non si può dire che Hasler ha scelto la via del silenzio. Tuttavia, Hasler non è un mercenario e non parla per soldi. Hasler parla solo ed esclusivamente perché vuole la verità, ben conscio che è un termine sconosciuto ad alcuni. Hasler è stato preso per troppo tempo in giro, perché “tanto non parla”… I ricatti striscianti e meno striscianti sono stati moltissimi”.
Ecco, se il Pontefice, che parla spesso dei diritti di chi lavora, e di giustizia sul lavoro vuole ora può dare, in casa sua, una testimonianza concreta. Alle parole faccia seguire i fatti, e non tema di correggere una decisione ingiusta e sbagliata. Non parli solo di misericordia, (e di giustizia); la usi per sanare le ferite.

Francesco imprenditore buono “che non vuole licenziare nessuno”. Ma i fatti dicono l’opposto
di Sandro Magister
Settimo Cielo, 12 maggio 2020

La guerra senza quartiere divampata dal 3 maggio, in Italia, tra il ministro della giustizia Alfonso Bonafede e il magistrato Nino Di Matteo, entrambi appartenenti all’ala giustizialista della politica e della magistratura, ha oscurato ciò che è accaduto in Vaticano nei giorni immediatamente precedenti, con protagonista papa Francesco, anche lì all’insegna del giustizialismo più sfrenato.
In Argentina, “justicialista” era il nome del partito creato da Juan Domingo Perón, il leader di cui Jorge Mario Bergoglio fu in gioventù fervente sostenitore fino ad essere tra gli scrittori del suo testamento politico, pubblicato dopo la sua morte nel 1974.
Ma nel linguaggio corrente è giustizialismo il voler fare giustizia sommaria di chi è messo sotto accusa, anche prima che un regolare processo si svolga e ne accerti le responsabilità. È il procedere in modo sbrigativo contro chi si vuole colpire, con processi in piazza più che nelle aule di tribunale, con campagne mediatiche preconcette, con condanne e sanzioni “a priori” basate sul solo sospetto.
In Vaticano, con questo pontificato, il giustizialismo è di casa. E l’ultima sua fiammata si è accesa tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, per di più con una clamorosa contraddizione tra le parole e i fatti.
Il 1 maggio era la festa di san Giuseppe lavoratore e nell’omelia della sua messa teletrasmessa da Santa Marta il papa ha detto, dopo aver chiesto di pregare “perché a nessuna persona manchi il lavoro“:
“Due mesi fa ho sentito al telefono un imprenditore, qui, in Italia, che mi chiedeva di pregare per lui perché non voleva licenziare nessuno e ha detto così: ‘Perché licenziare uno di loro è licenziare me’. Questa coscienza di tanti imprenditori buoni, che custodiscono i lavoratori come se fossero figli… Preghiamo pure per loro”.
I media, in coro, hanno rilanciato queste commosse parole di papa Francesco, dette proprio nel giorno che in tutto il mondo era la festa dei diritti dei lavoratori (…).
Non è la prima volta che papa Francesco agisce così. Si è liberato con queste brusche modalità anche di qualche cardinale a lui scomodo. Curiosamente, in coincidenza con i licenziamenti del 30 aprile, è riaffiorata la notizia di un altro sconcertante licenziamento di tre anni prima, quello dello svizzero Eugenio Hasler, cacciato dal papa da un giorno all’altro dalla segreteria del governatorato della Città del Vaticano, sulla base di accuse anonime circolanti in curia che il licenziato ha sempre respinto come totalmente infondate, e sulle quali non è stata mai avviata una regolare indagine.
E questo sarebbe il “considerare i lavoratori come se fossero figli” dell’imprenditore buono tanto decantato dal papa, “che non voleva licenziare nessuno”.

Francis, the Good Boss “Who Doesn’t Want To Fire Anyone.” But the Facts Say the Opposite
The all-out war that flared up starting on May 3, in Italy, between minister of justice Alfonso Bonafede and the magistrate Nino Di Matteo, both belonging to the justicialist wing of politics and the magistrature, has obscured what happened at the Vatican in the days immediately beforehand, with Pope Francis as protagonist, there too in the name of the most unbridled justicialism.
In Argentina, “justicialista” was the name of the party created by Juan Domingo Perón, the leader whom Jorge Mario Bergoglio fervently supported in his youth, to the point of being among the writers of his political testament, published after his death in 1974.
But in common parlance justicialism is the desire to enact summary justice with the accused, even before a regular trial takes place and establishes responsibility. It means going hastily after the intended target, with trials in the streets more than in courtrooms, with preconceived media campaigns, with “a priori” sentences based on mere suspicion.
At the Vatican, with this pontificate, justicialism is at home. And its latest blaze was ignited between the end of April and the beginning of May, moreover with a sensational contradiction between words and deeds.
May 1 was the feast of Saint Joseph the worker, and in the homily for his Mass televised from Santa Marta the pope said, after asking for prayers “that no person may go without work”:
“Two months ago I spoke on the telephone with a business owner here in Italy who asked me to pray for him because he didn’t want to fire anyone, and he said: ‘Because firing one of them is firing myself.’ This conscience of many good business owners, who care for the workers like their own children… Let us pray for them too.”
The media, in chorus, echoed these emotional words of Pope Francis, spoken on the very day that around the world was the celebration of workers’ rights (…).
It is not the first time that Pope Francis has acted like this. He has also freed himself by these abrupt means from a few cardinals who were troublesome to him. Curiously, along with the layoffs of April 30 there resurfaced the news of another puzzling layoff of three years before, that of the Swiss Eugenio Hasler, dismissed by the pope overnight from the secretariat of the governorate of Vatican City, on the basis of anonymous accusations circulating in the curia that the dismissed always rejected as completely unfounded and on which a regular investigation was never launched.
And this would be the “treating workers like his own children” of the good business owner so lauded by the pope, “who didn’t want to fire anyone.”

Francisco, un buen empresario “que no quiere despedir a nadie”. Pero los hechos dicen lo contrario
La guerra sin cuartel que ha estallado en Italia a partir del 3 de mayo entre el ministro de justicia Alfonso Bonafede y el magistrado Nino Di Matteo, ambos pertenecientes al ala justicialista de la política y a la Magistratura, ha oscurecido lo que ha sucedido en el Vaticano en los días inmediatamente anteriores, con el papa Francisco como protagonista, también allí bajo la insignia del justicialismo más desenfrenado.
En Argentina, “justicialista” era el nombre del partido creado por Juan Domingo Perón, del cual, en su juventud, Jorge Mario Bergoglio fue líder y ferviente defensor; incluso llegó a ser uno de los escritores de su testamento político, publicado después de su muerte, en 1974.
Pero, en el lenguaje corriente, justicialismo es querer hacer justicia sumaria a los que son puestos bajo acusación, incluso antes de que se lleve a cabo un juicio regular y se constaten sus responsabilidades. Es el proceder en modo expeditivo contra aquellos a los que se quiere golpear, con juicios en las plazas más que en las salas de los tribunales, con campañas mediáticas preconcebidas, con condenas “a priori” basadas sólo en sospechas.
En el Vaticano, con este pontificado, el justicialismo es algo habitual. Y su última llama se ha encendido entre finales de abril y principios de mayo y, encima, con una clamorosa contradicción entre palabras y hechos.
El 1 de mayo era la fiesta de San José Obrero y, en la homilía de su misa televisada desde Santa Marta, el Papa dijo, después de haber pedido rezar “para que a ninguna persona le falte el trabajo”:
“Hace dos meses hablé con un empresario por teléfono, aquí en Italia, quien me pedía que rezara por él, porque no quería despedir a nadie, y me dijo así: ‘Porque despedir a uno de ellos es despedirme a mí’. Esta es la conciencia de tantos buenos empresarios, que custodian a los trabajadores como si fueran sus hijos… Rezamos también por ellos”.
Los medios de comunicación, en coro, han relanzado estas emotivas palabras del papa Francisco, dichas precisamente en el día en que en todo el mundo era la fiesta de los derechos de los trabajadores (…).
No es la primera vez que el papa Francisco actúa de este modo. También se ha librado, con esta brusca modalidad, de algún cardenal que le era incómodo. Curiosamente, en coincidencia con los despidos del 30 de abril, surgió nuevamente la noticia de otro despido desconcertante tres años antes, el del suizo Eugenio Hasler, quien fue expulsado por el Papa de un día para otro de la secretaría de la gobernación de la Ciudad del Vaticano, sobre la base de acusaciones anónimas que circulaban en la curia, que el despedido siempre ha rechazado por ser totalmente infundadas, y sobre las cuales nunca se dio inicio a una investigación normal.
Y esto sería el “considerar a los trabajadores como si fueran hijos” del buen empresario tan aclamado por el papa, “que no quería despedir a nadie”.

François, le bon chef d’entreprise « qui ne veut licencier personne ». Mais les faits disent le contraire
La guerre sans merci qui fait rage en Italie depuis le 3 mai dernier entre le ministre de la justice Alfonso Bonafede et le magistrat Nino Di Matteo, tous deux catalogués comme appartenant à l’aile justicialiste de la politique et de la magistrature, a éclipsé ce qui vient de se passer au Vatican et qui implique le Pape François, là encore sous le signe du justicialisme le plus débridé.
En Argentine, on appelait « justicialiste » le parti créé par Juan Domingo Perón, le leader dont Jorge Mario Bergoglio fut un fervent partisan, jusqu’à figurer parmi les rédacteurs de son testament politique, publié après sa mort en 1974.
Mais dans la langue courante, le justicialisme consiste à vouloir juger sommairement les accusés, avant même qu’un procès en bonne et due forme ne puisse déterminer leur responsabilité. C’est une manière de s’en prendre de manière expéditive à ceux que l’on veut attaquer, en organisant des procès sur la place publique plutôt que dans les tribunaux, à grand renfort de campagnes médiatiques préparées à l’avance et de condamnations « a priori » basées sur la seule suspicion.
Au Vatican, sous le pontificat actuel, le justicialisme est monnaie courante. On a assisté à une nouvelle flambée entre fin avril et début mai, avec qui plus est une contradiction flagrante entre les paroles et les actes.
Le 1er mai, c’était la fête de saint Joseph travailleur et dans l’homélie de sa messe télévisée à Sainte-Marthe, le Pape a dit, après avoir demandé de prier « pour que personne ne se retrouve sans travail » :
« Il y a deux mois, j’ai eu au téléphone un chef d’entreprise, ici, en Italie, qui m’a demandé de prier pour lui parce qu’il ne voulait licencier personne et qui m’a dit comme ça : ‘Parce que licencier l’un d’entre eux, ce serait comme me licencier moi-même’. Cette conscience de tant de bons chefs d’entreprise, qui protègent leurs travailleurs comme si c’était leurs enfants… Prions également pour eux ».
Les médias ont relayé en chœur ces paroles émouvantes du Pape François, prononcées le jour de la fête du travail partout dans le monde (…).
Ce n’est pas la première fois que le Pape François agit de la sorte. C’est ainsi qu’il s’est déjà débarrassé de certains cardinaux qui le dérangeaient. Curieusement, ces licenciements du 30 avril ont fait remonter à la surface la nouvelle d’un autre licenciement interpellant est d’il y a 3 ans, celui du Suisse Eugenio Hasler, chassé par le Pape d’un jour à l’autre du secrétariat du Gouvernorat de la Cité du Vatican sur base d’accusations anonymes circulant à la Curie, des accusations que l’employé licencié avait toujours rejetées comme totalement infondées et sur lesquelles aucune enquête n’a jamais été ouverte.
Voilà donc en quoi consisterait le fait de « considérer les travailleurs comme s’ils étaient ses enfants » du bon chef d’entreprise tant vanté par le Pape, « qui ne voulait licencier personne ».

Foto di copertina: Il giustizialismo assomiglia di più a un Giano Bifronte che, osservato da vicino, ha due volti completamenti diversi: uno è arrabbiato, ma sincero. È quello di chi crede davvero nel primato morale e politico della magistratura. L’altro è feroce, nonché falso e bugiardo: la professione di fede nel proprio volere maschera una volontà smisurata di potenza. La quale, gratta gratta, esprime la volontà di sottomettere la giustizia negandola ai propri interessi. È il leader-Messia che realizza la palingenesi.

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