La Divina Misericordia, farmaco per l’anima del mondo. Il grande messaggio di Santa Faustina Kowalska e di San Giovanni Paolo II

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Alle ore 11.00 di oggi, nella Chiesa di Santo Spirito in Sassia, il Santo Padre Francesco ha celebrato, in forma privata, la Santa Messa nel ventesimo anniversario della canonizzazione di Suor Faustina Kowalska e dell’istituzione della Domenica della Divina Misericordia, nel giorno della Domenica in albis. Al termine della Santa Messa il Santo Padre Francesco ha guidato la recita della preghiera del Regina Caeli.

“La Misericordia di Dio rivelata nelle Sacre Scritture è presente in tutta la storia della salvezza. Il secolo scorso è stato segnato da guerre e criminali totalitarismi. Così il Signore ha voluto ricordare quella verità servendosi di una umile religiosa polacca, suor Kowalska, morta a soli 33 anni nel 1938. San Giovanni Paolo II, che ha conosciuto la violenza del nazismo e quella del comunismo ateo, ha voluto ricordare il messaggio della Divina Misericordia come luce della speranza per le nuove generazioni e nel 1980 ha pubblicato la lettera enciclica ‘Dives in misericordia’ rilevando l’amore paterno di Dio che si china su ogni debolezza umana. È stato lui a designare Santa Faustina come l’apostola della Divina Misericordia e a istituire la corrispondente festa nel nuovo millennio. La spiritualità di Faustina trae le sue radici dalla fiducia incondizionata in Dio che da Padre viene in aiuto ai suoi figli e li aiuta a crescere spiritualmente. Quella fiducia unita all’esperienza della Divina Misericordia fanno nascere il desiderio di condividere quel dono con altri. Suor Faustina ha descritto molti dei suoi incontri con Gesù nel ‘Diario’, il cui filo conduttore è proprio il desiderio di aiutare le persone bisognose, malate, in cerca della propria strada, e soprattutto i peccatori incalliti, le persone in fin di vita e le anime che soffrono nel purgatorio” (Monsignor Franciszek Slusarczyk, Rettore del Santuario della Divina Misericordia di Lagiewniki).

Quanto detto da Papa Francesco oggi nella sua omelia durante la Santa Messa della Divina Misericordia è tutto bello (segue il testo integrale) e ho soltanto una perplessità, che si trova in questo passaggio, che mi ha molto addolorato:

“Quel che sta accadendo ci scuota dentro: è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità! Impariamo dalla comunità cristiana delle origini, descritta nel libro degli Atti degli Apostoli. Aveva ricevuto misericordia e viveva con misericordia: «Tutti i credenti avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,44-45). Non è ideologia, è cristianesimo.
In quella comunità, dopo la risurrezione di Gesù, uno solo era rimasto indietro e gli altri lo aspettarono. Oggi sembra il contrario: una piccola parte dell’umanità è andata avanti, mentre la maggioranza è rimasta indietro. E ognuno potrebbe dire: ‘Sono problemi complessi, non sta a me prendermi cura dei bisognosi, altri devono pensarci!’”.

Punto uno: indurci a diventare anche noi poveri (se non ci pensa prima il governi e i politici), noi che siamo neanche ricchi (non ho proprietà, non posso vendere niente), non è un modo accettabile per “rimuove le disugaglianze”.
È tempo per il Papa di dare l’esempio e di non dire “altri devono pensarci!” (cioè noi).
È ora per il Papa di iniziare a vendere il Palazzo di lusso al numero civico 60 di Sloane Square a Londra [ Una Pandemia è un evento straordinario. E la Carità della Curia è un gesto straordinario? Mettere il palazzo di Sloane Square all’asta. No? – 8 aprile 2020 ].
Quindi, di procedere con la vendita delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo (visto che sono inutilizzati).
Inoltre, di procedere con la vendita delle proprietà della Chiesa e di tutti gli enti ecclesiastiche che non portano rendita.
Infine, di vendere tutti i conventi che sono state convertiti in alberghi, con i soldi dello Stato italiano (quindi nostri) in occasione del Grande Giubileo dell’Anno Santo 2000.
E allora, ne riparleremo (della vendita di quel poco che possediamo).
Fin allora, non sono più disposto ad accettare lezioni di moralità povera.

Punto due: quello che manca nell’omelia del Papa (e soprattutto nelle parole prima del Regina Coeli), è:
– perché San Giovanni Paolo II volle istituire la Domenica della Divina Misericordia;
– il vero senso del messaggio di Suor Faustina Kowaska.
E questo mi ha molto adolorato.

Punto tre: il Papa ha inventato “la misericordina”, che non è una medicina per combattere il Covid-19. L’attuale pontificato si sta rivelando peggio di una “pandemia della non comunicazione”.
E questo mi ha molto adolorato.

Punto quattro: parlando di Divina Misericordia il Papa non cita mai il suo predecessore San Giovanni Paolo II (come non cita mai il Papa emerito Benedetto XVI).
Menzionare colui che ha istituito la Domenica della Divina Misericordia e che ha voluto la chiesa di Santo Spirito in Sassia come Santuario della Divina Misericordia, non è citare.
E sarà pure un dettaglio, però San Giovanni Paolo II ha istituito la Domenica della Divina Misericordia, non la II Domenica di Pasqua (o della Divina Misericordia). Ma “i dettagli fanno la perfezione e la perfezione non è un dettaglio” (Leonardo da Vinci).
Si nota che il Papa non ama i paragoni, ma purtroppo per lui. A noi i paragoni piacciono molto e lui verrà sempre, inevitabilmente paragonato a chi l’ha preceduto. E sarà, purtroppo per lui, sempre impietoso.
È il Papa della non comunicazione, della comunicazione artefatta e rarefatta, della comunicazione che induce, che tenta di influenzare, che diventa comunicazione di regime, se non ottiene il risultato voluto. Come per l’Assemblea Speciale per l’Amazzonia del Sinodo dei Vescovi, come per il diaconato femminile, come quando fa finta di cadere dalle nuvole. Se governi il mondo, non puoi cadere dalle nuvole. E ancora meno di fare finta di cadere dalle nuvole. È una questione di credibilità, di autorità, di efficacia nella comunicazione.
Si può influenzare il popolo di Dio? Forse una parte sì, la parte che crede in modo bigotto [ Essere bigotto, non volendo pensare. Peggio di così si muore, bigottamente – 10 febbraio 2020 ] alle ideologie fatte passare per cristianesimo. Perché la parte sana del Popolo di Dio certi idoli li getta nel fiume, come certe ideologie mascherate da cristianesimo, che si vogliono far passare per esempi di uguaglianza.
Nessun Papa può cancellare le opere dei suoi predecessori, non parlando di loro, a farci perdere la memoria. Perché non si possono occultare la vita, la storia, le opere di Papi santi e coraggiosi, che hanno sempre parlato chiaro, perché le scritture parlano chiaro.
La pandemia un giorno passerà. Il pontificato un giorno finirà. C’est la vie…
Torneremo alla Vita e torneremo alla Chiesa. Meglio di prima. Meglio di come abbiamo vissuto in questo tempo di isolamento, di follia, di pandemia, di idolatria fatto passare per un tempo di cristianesimo di uguaglianza.
Un domani torneremo a sentire un Papa dire “sì sì e no no”, perché il di più viene dal maligno. Perché tutto il di più e tutto il di meno, che ora sentiamo, che ora non sentiamo, proviene dal maligno.

Santa Messa della Divine Misericordia
Omelia del Santo Padre Francesco
Chiesa di Santo Spirito in Sassia
Domenica della Divina Misericordia, 19 aprile 2020

Domenica scorsa abbiamo celebrato la risurrezione del Maestro, oggi assistiamo alla risurrezione del discepolo. È passata una settimana, una settimana che i discepoli, pur avendo visto il Risorto, hanno trascorso nel timore, stando «a porte chiuse» (Gv 20,26), senza nemmeno riuscire a convincere della risurrezione l’unico assente, Tommaso. Che cosa fa Gesù davanti a questa incredulità timorosa? Ritorna, si mette nella stessa posizione, «in mezzo» ai discepoli, e ripete lo stesso saluto: «Pace a voi!» (Gv 20,19.26). Ricomincia da capo. La risurrezione del discepolo inizia da qui, da questa misericordia fedele e paziente, dalla scoperta che Dio non si stanca di tenderci la mano per rialzarci dalle nostre cadute. Egli vuole che lo vediamo così: non come un padrone con cui dobbiamo regolare i conti, ma come il nostro Papà che ci rialza sempre. Nella vita andiamo avanti a tentoni, come un bambino che inizia a camminare, ma cade; pochi passi e cade ancora; cade e ricade, e ogni volta il papà lo rialza. La mano che ci rialza sempre è la misericordia: Dio sa che senza misericordia restiamo a terra, che per camminare abbiamo bisogno di essere rimessi in piedi.
E tu puoi obiettare: “Ma io non smetto mai di cadere!”. Il Signore lo sa ed è sempre pronto a risollevarti. Egli non vuole che ripensiamo continuamente alle nostre cadute, ma che guardiamo a Lui, che nelle cadute vede dei figli da rialzare, nelle miserie vede dei figli da amare con misericordia. Oggi, in questa chiesa diventata santuario della misericordia in Roma, nella Domenica che vent’anni fa san Giovanni Paolo II dedicò alla Misericordia Divina, accogliamo fiduciosi questo messaggio. A santa Faustina Gesù disse: «Io sono l’amore e la misericordia stessa; non c’è miseria che possa misurarsi con la mia misericordia» (Diario, 14 settembre 1937). Una volta, poi, la santa disse a Gesù, con soddisfazione, di avergli offerto tutta la vita, tutto quel che aveva. Ma la risposta di Gesù la spiazzò: «Non mi hai offerto quello che è effettivamente tuo». Che cosa aveva trattenuto per sé quella santa suora? Gesù le disse con amabilità: «Figlia, dammi la tua miseria» (10 ottobre 1937). Anche noi possiamo chiederci: “Ho dato la mia miseria al Signore? Gli ho mostrato le mie cadute perché mi rialzi?”. Oppure c’è qualcosa che tengo ancora dentro di me? Un peccato, un rimorso del passato, una ferita che ho dentro, un rancore verso qualcuno, un’idea su una determinata persona… Il Signore attende che gli portiamo le nostre miserie, per farci scoprire la sua misericordia.
Torniamo ai discepoli. Avevano abbandonato il Signore durante la Passione e si sentivano colpevoli. Ma Gesù, incontrandoli, non fa lunghe prediche. A loro, che erano feriti dentro, mostra le sue piaghe. Tommaso può toccarle e scopre l’amore, scopre quanto Gesù aveva sofferto per lui, che lo aveva abbandonato. In quelle ferite tocca con mano la vicinanza tenera di Dio. Tommaso, che era arrivato in ritardo, quando abbraccia la misericordia supera gli altri discepoli: non crede solo alla risurrezione, ma all’amore sconfinato di Dio. E fa la confessione di fede più semplice e più bella: «Mio Signore e mio Dio!» (v. 28). Ecco la risurrezione del discepolo: si compie quando la sua umanità fragile e ferita entra in quella di Gesù. Lì si dissolvono i dubbi, lì Dio diventa il mio Dio, lì si ricomincia ad accettare sé stessi e ad amare la propria vita.
Cari fratelli e sorelle, nella prova che stiamo attraversando, anche noi, come Tommaso, con i nostri timori e i nostri dubbi, ci siamo ritrovati fragili. Abbiamo bisogno del Signore, che vede in noi, al di là delle nostre fragilità, una bellezza insopprimibile. Con Lui ci riscopriamo preziosi nelle nostre fragilità. Scopriamo di essere come dei bellissimi cristalli, fragili e preziosi al tempo stesso. E se, come il cristallo, siamo trasparenti di fronte a Lui, la sua luce, la luce della misericordia, brilla in noi e, attraverso di noi, nel mondo. Ecco il motivo per essere, come ci ha detto la Lettera di Pietro, «ricolmi di gioia, anche se ora […], per un po’ di tempo, afflitti da varie prove» (1 Pt 1,6).
In questa festa della Divina Misericordia l’annuncio più bello giunge attraverso il discepolo arrivato più tardi. Mancava solo lui, Tommaso. Ma il Signore lo ha atteso. La misericordia non abbandona chi rimane indietro. Ora, mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente. Si trasmette a partire dall’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me. Si parte da qui e si arriva a selezionare le persone, a scartare i poveri, a immolare chi sta indietro sull’altare del progresso. Questa pandemia ci ricorda però che non ci sono differenze e confini tra chi soffre. Siamo tutti fragili, tutti uguali, tutti preziosi. Quel che sta accadendo ci scuota dentro: è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità! Impariamo dalla comunità cristiana delle origini, descritta nel libro degli Atti degli Apostoli. Aveva ricevuto misericordia e viveva con misericordia: «Tutti i credenti avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,44-45). Non è ideologia, è cristianesimo.
In quella comunità, dopo la risurrezione di Gesù, uno solo era rimasto indietro e gli altri lo aspettarono. Oggi sembra il contrario: una piccola parte dell’umanità è andata avanti, mentre la maggioranza è rimasta indietro. E ognuno potrebbe dire: “Sono problemi complessi, non sta a me prendermi cura dei bisognosi, altri devono pensarci!”. Santa Faustina, dopo aver incontrato Gesù, scrisse: «In un’anima sofferente dobbiamo vedere Gesù Crocifisso e non un parassita e un peso… [Signore], ci dai la possibilità di esercitarci nelle opere di misericordia e noi ci esercitiamo nei giudizi» (Diario, 6 settembre 1937). Lei stessa, però, un giorno si lamentò con Gesù che, ad esser misericordiosi, si passa per ingenui. Disse: «Signore, abusano spesso della mia bontà». E Gesù: «Non importa, figlia mia, non te ne curare, tu sii sempre misericordiosa con tutti» (24 dicembre 1937). Con tutti: non pensiamo solo ai nostri interessi, agli interessi di parte. Cogliamo questa prova come un’opportunità per preparare il domani di tutti, senza scartare nessuno: di tutti. Perché senza una visione d’insieme non ci sarà futuro per nessuno.
Oggi l’amore disarmato e disarmante di Gesù risuscita il cuore del discepolo. Anche noi, come l’apostolo Tommaso, accogliamo la misericordia, salvezza del mondo. E usiamo misericordia a chi è più debole: solo così ricostruiremo un mondo nuovo.

Le parole del Papa alla recita del Regina Caeli, 19.04.2020

Cari fratelli e sorelle,
in questa Seconda Domenica di Pasqua, è stato significativo celebrare l’Eucaristia qui, nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, che San Giovanni Paolo II volle come Santuario della Divina Misericordia. La risposta dei cristiani nelle tempeste della vita e della storia non può che essere la misericordia: l’amore compassionevole tra di noi e verso tutti, specialmente verso chi soffre, chi fa più fatica, chi è più abbandonato… Non pietismo, non assistenzialismo, ma compassione, che viene dal cuore. E la misericordia divina viene dal Cuore di Cristo, di Cristo Risorto. Scaturisce dalla ferita sempre aperta del suo costato, aperta per noi, che sempre abbiamo bisogno di perdono e di conforto. La misericordia cristiana ispiri anche la giusta condivisione tra le nazioni e le loro istituzioni, per affrontare la crisi attuale in maniera solidale.
Formulo l’augurio ai fratelli e alle sorelle delle Chiese d’oriente che oggi celebrano la Festa di Pasqua. Insieme annunciamo: «Davvero il Signore è risorto!» (Lc 24,34). Soprattutto in questo tempo di prova, sentiamo quale grande dono è la speranza che nasce dall’essere risorti con Cristo! In particolare, mi rallegro con le comunità cattoliche orientali che, per motivi ecumenici, celebrano la Pasqua insieme con quelle ortodosse: questa fraternità sia di conforto là dove i cristiani sono una piccola minoranza.
Con gioia pasquale ci rivolgiamo ora alla Vergine Maria, Madre di Misericordia.

Postscriptum

Per evitare ogni equivoco, prima di essere accusato di essere un “nemico del Papa”, vorrei ricordare un’affermazione del Cardinale Müller in una bella ed importante intervista che ha rilasciato al Corriere della Sera, il 26 novembre 2017. Il Prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede rifiuta di leggere ciò che avviene nella Chiesa in termini di “amici” contro “nemici” del Papa. E denuncia il “cerchio magico” che influenza le scelte del Papa con delazioni e spiate. Disse: “Come diceva il teologo del Cinquecento, Melchior Cano, i veri amici non sono coloro che adulano il Papa ma quelli che lo aiutano con la verità e la competenza teologica ed umana”.

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