Statio Orbis. Momento straordinario di preghiera in tempo di pandemia con il Papa in Piazza San Pietro

Condividi su...

«È scesa la sera e noi siamo smarriti».

«La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità».

«Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine».

Questo pomeriggio, alle ore 18.00, sul Sagrato della Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha presieduto un momento straordinario di preghiera in tempo di pandemia, con l’Adorazione del Santissimo Sacramento, che si è aperto con l’ascolto della Parola di Dio e la Meditazione del Santo Padre.

«Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti», dice Papa Francesco nella sua Meditazione. «Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi», ha detto Papa Francesco. «Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa… Così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme».

Nei pressi del cancello centrale della Basilica Vaticana sono stati collocati il Miracoloso Crocifisso di San Marcello al Corso e la Sacra Icona della Salus Populi Romani della Basilica di Santa Maria Maggiore.

Il Crocifisso di San Marcello al Corso, ritenuto dagli studiosi come il più realistico di Roma, è oggetto di profonda venerazione da parte dei romani fin dal 1519, quando rimase illeso nel grande incendio che colpì la chiesa nel cuore di Roma. Ma soprattutto a questa immagine, che fu portata nel 1522 in processione per tutti i rioni di Roma, venne attribuita la cessazione della peste. L’antico e venerato crocifisso in legno del XV secolo, abbracciato da San Giovanni Paolo II, segnò il momento più forte della “Giornata del perdono” del 13 marzo 2000, nel’ambito del Grande Giubileo dell’Anno Santo 2000.

La Salus Populi Romani (Salvezza del Popolo Romano, nell’accezione di Protettrice) è il titolo dato nel XIX secolo all’icona bizantina raffigurante la Madonna col Bambino, che si trova nella cappella Paolina o Borghese della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Tale espressione risale al sistema legale ed ai rituali pagani dell’antica repubblica romana, dove Livio ci tramanda che l’augure avrebbe chiesto agli dei il permesso per i pretori di pregare per essa. Nell’Impero di Costantino tale titolo venne riferito alla Madre di Dio.

Il Papa prega per la fine della pandemia: Signore, non lasciarci in balia della tempesta. La piazza vuota, ma riempita dai cuori dei cattolici di tutto il mondo, sempre più minacciato dalla diffusione del Covid-19. “Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori”, sappiamo “che Tu hai cura di noi”, ha detto prima dell’adorazione del Santissimo Sacramento e della Benedizione Urbi et Orbi che ha impartito al termine della Celebrazione, con la possibilità di ricevere l’indulgenza plenaria.

La meditazione del Santo Padre

«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).
Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.

La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.
Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.
Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.

Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).

Postille

1. Il Crocifisso miracoloso di San Marcello al Corso e la Sacra Icona della Salus Popoli Romani, posti davanti alle colonne adiacenti il Cancello centrale sul Sagrato della Basilica di San Pietro sul Sagrato della Basilica di San Pietro allo scoperto, sotto la pioggia.
L’Icona della Madonna almeno stava nella sua nuova teca conservativa, realizzata in occasione del recente restauro eseguita nei Musei Vaticani e terminata nel 2018 (munita di maniglie e ridotta nello spessore, così da risultare meno pesante e più maneggevole per gli spostamenti che l’icona deve avere per le celebrazioni annuali e garantisce inoltre le condizioni termo-igrometriche della tavola, stabilizzandone il microclima all’interno del contenitore).
Però, il Crocifisso miracoloso, senza alcuna copertura, si bagnava sotto la pioggia romana e sul busto erano evidenti le gocce d’acqua che scendevano e raggiungevano la base del sostegno.
Ma come si fa! Come si fa!

2. Il distanziamento sociale, questa misura di sicurezza sconosciuta. Il Papa sottobraccio al Maestro delle Cerimonie Pontificie, Mons. Guido Marini e per l’incensamento del Santissimo Sacramento.

3. Il Tg3 questa sera, commentando l’Icona della Salus Populi Romani presente sul Sagrato della di Basilica di San Pietro, ha dichiarato che la stessa, protetta dalla pioggia da una teca in plexiglas, fosse una copia in quanto l’originale è sottoposta ad opera di restauro.
Anche se è vero che si tratta di una copia, dalle informazioni in possesso possiamo affermare, che gli ultimi restauri dell’Icona Salus Populi Romani sono stati svolti nel 1931 e nel 2017, terminato nel 2018, effettuato dal Laboratorio restauro dei Musei Vaticani sotto la supervisione della Dott.ssa Barbara Jatta, Direttrice dei Musei Vaticani. I responsabili dei Musei Vaticani, non permettono più che la Salus Populi Romani lasci l’edificio, perché la tavola è molto fragile.

4. Quanta narrazione siamo tenuti a leggere su Vatican News (“Il Crocifisso bagnato dalle lacrime del Cielo”), per recuperare la grande leggerezza della scelta di mettere due opere dal valore inestimabile sotto la pioggia. L’autore della narrazione, che fu di Vatican Insider, oggi molto Vatican e per nulla insider, si muove dalla sua poltrona direzionale a Palazzo Pio in prima persona, per recuperare una situazione incresciosa in diretta mondiale.
In più, in fondo al pezzo cerca di infilare il suono di una sirena che romanticamente suona a caso nel momento giusto (“La sirena di un’ambulanza, una delle tante che in queste ore attraversano i nostri quartieri per soccorrere i nuovi contagiati”).
Questo è una fesseria, tout court. Perché sappiamo che non è cosi. Abbiamo visto, in Piazza Pio XII di fronte a Piazza San Pietro, le auto della polizia, che per ordini superiori hanno attivato le sirene, proprio al rintocco delle campane, nel momento giusto della benedizione “urbi et orbi”. L’autore della fesseria confonde pure il suono dell’ambulanza con quello delle pantere della polizia, che sono diverse.
Egregio Direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, tutte le sirene (Polizia di Stato, Carabinieri, Vigili del Fuoco, Ambulanze) sono diverse, perché cosi puoi riconoscerle dal suono.
Torna a scuola, vai. Non aver paura, vai a ripetizione!

5. È detto ai soldati di Cristo: “Ecco ora, benedite il Signore, voi tutti servi del Signore, che state in piedi nella casa del Signore”.
Antonio Socci ha perso un’occasione a rimanere in silenzio, quando ha scritto un suo tweet, usando i maiuscoli, quindi – secondo la nettiquette – URLANDO!!! A parte del fatto che gli urli mi danno fastidio (se non si alza la voce per farsi sentire da lontano o in presenza di tanto rumore ambientale), non si può stare a “smentire” ogni due minuti la stessa cosa (e mi da anche fastidio, che anche a causa di tweet e post del genere, vengo sommerso da messaggi di rammarico a cui devo rispondere): “E OVVIAMENTE #BERGOGLIO FA TUTTO SENZA INGINOCCHIARSI MAI: NE’ DAVANTI ALL’ICONA DELLA MADONNA, NE’ DAVANTI AL CROCIFISSO, NE’ DAVANTI AL SANTISSIMO… #PapaFrancesco” (Tweet di Antonio Socci @AntonioSocci1 del 27 marzo 2020).
Ovviamente, non c’è da smentire quello che si vede: effettivamente, da tempo Papa Francesco non c’inginocchia più (per lo faceva in passato), perché soffre di una gonartrosi, suppongo in uno stadio molto avvanzato (ne so qualcosa perché ne soffro io e solo grazie alle cure al Pio XI a Roma – dove anche il Papa è stato diagnosticato, se sono stato informato correttamente – cammino ancora). E non venire a rinfacciarmi che si è buttato per terra (non lo chiamerei “inginocchiato” davanti i signori della guerra sudanese), perché anche questo non è da smentire quello che si è visto. Solo che sono sicuro che questo gesto gli ha portato ulteriori danni e grande sofferenza (non vorrei sbagliarmi, ma penso che dopo quel gesto sconsiderato, non si è inginocchiato più… e non deve assolutamente farlo più, Egregio Signor Socci). È una non notizia, che lo diventa per motivi di fake news.
«Il soldato sta in assetto di guerra, non sta seduto; il soldato in armi non sta reclinato, ma sta in piedi ben eretto. Per questo è detto ai soldati di Cristo: “Ecco ora, benedite il Signore, voi tutti servi del Signore, che state in piedi nella casa del Signore”» (Sant’Ambrogio, Commento a dodici Salmi, Città Nuova 1980).
Ecco, sto in piedi nella casa domestica del Signore e non ho paura, perché Lui è sempre con me.

Free Webcam Girls
151.11.48.50