Elogio della metacognizione. Ex umbris et imaginibus ad veritatem – Dall’ombra e dalle immagini alla verità

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Una riflessione di Miguel Cuartero Samperi [*] sul suo blog “Testa del serpente”. L’auspicio di tornare ad essere protagonisti, pensando con la propria testa e non con quella che dirige il “coro”, a prescindere da quello che i burattinai o gli anticonformisti di professione vorranno da noi. Con la consapevolezza che la solitudine è il pegno da pagare per chi decide di liberarsi dai lacci del pensiero dominante o dalle opinioni dei più, elevate ad oracolo.

Né sardine, né salmoni. Contro le opinioni del volgo, puntare alla verità
di Miguel Cuartero Samperi
Testa del serpente, 7 gennaio 2020

Di fronte alla presunta “ondata” di sardine (né apolitiche, né acefale) che dicono stia invadendo le piazze del nostro paese, c’è chi auspica un 2020 ricco di salmoni, pesci capaci di andare controcorrente rispetto al pensiero dominante.
Ma il paragone non è esaustivo perché, come le sardine si muovono in branco seguendo il flusso delle correnti (leggi “mode”, del costume e del pensiero) anche il salmone, che ha nel suo DNA il risalire la corrente, è incapace di dissentire e di opporsi al senso di marcia imposto. Anche fosse, come in questo caso, quello di andare controcorrente. In altre parole, anche il salmone obbedisce, è sottomesso ed incapace di reagire. Difatti il “controcorrentismo” può diventare una patologia grave quanto il conformismo di massa, tanto che ad andare contro corrente in grande ed allegra compagnia si finisce per diventare conformisti di segno opposto, cambiando solo il verso.
[Di questo “controcorrentismo” esasperato abbiamo esempi ovunque, finanche all’interno della Chiesa dove molti pastori oggi (sbagliando mira per una forma dolosa di miopia del pensiero teologico di fronte alla crisi di fede che ormai miete anime in ogni donde dell’Occidente) soffrono la febbre dell’anticonformismo che potremmo ben definire “sindrome del faccio-nuove-tutte-le-cose”].
Aveva ragione il filosofo spagnolo Ortega y Gasset quando affermava “Ormai non ci sono più protagonisti: c’è soltanto un coro!” (OyG, La rebelión de las masas). E questo coro – se si desidera vivere in pace, senza noie aggiuntive a quelle che la quotidianità ci offre gratuitamente per il fatto di essere vivi – non dev’essere interrotto ne contraddetto con note stonate che attirino sguardi poco rassicuranti.
Il vero auspicio dunque è quello di tornare ad essere protagonisti, pensando con la propria testa e non con quella che dirige il “coro”, a prescindere da quello che i burattinai del “pensiero nobile” o gli anticonformisti di professione vorranno da noi.
Si correrà di certo il rischio di inoltrarsi in luoghi sconosciuti e solitari, ma con la sicurezza di poter contare con la guida sicura della coscienza. Per poi capire cosa intendiamo per coscienza bisognerà conoscere e leggere i santi Thomas More e John Henry Newman che hanno vissuto e tematizzato il primato della coscienza come luogo di incontro dell’uomo con la verità, rivelata da Dio nel cuore (Cor ad cor loquitur, “il cuore parla al cuore”, fu il motto episcopale scelto dal cardinale).
In occasione del nuovo anno, il filosofo Diego Fusaro ha auspicato che il 2020 sia l’anno della “rinascenza”, dell’uscita dalla caverna buia e lurida della metafora platonica dove l’ombra e la finzione viene confusa con la verità da uomini ingannati e sottomessi mentre dove i filosofi che denunciano la cattività vengono messi a morte.
È il passaggio «Ex umbris et imaginibus ad veritatem» come recita l’epitaffio che John Henry Newman volle sulla sua tomba. Un passaggio non certo facile e privo di dolore che allo stesso Newman costò il mettere in discussione tutto se stesso, ciò in cui credeva, sacrificando (oltre al pensiero e alla fede), amicizie, affetti e la sua stessa vita, intesa come progetto e vocazione.
La solitudine, si sa, è il pegno da pagare per chi decide di liberarsi dai lacci del pensiero dominante o dalle opinioni dei più, elevate ad oracolo. Tommaso Moro, solo nella Torre di Londra, in poco tempo perse di vista quella folla di persone che lo attorniava giornalmente quando era Cancelliere del Regno: amici e conoscenti, nobili e plebe, lo abbandonarono alla sua sorte come un incurabile dissennato, incaponito e reticente nel non voler adeguarsi e vivere ancora senza noie con la giustizia. È la solitudine di Socrate, quella di tanti uomini liberi che le masse hanno imparato ad allontanare ed isolare (cfr. Tommaso Moro. La luce della coscienza, cap. 2).
Ci vorrà di certo una formazione, perché pensare da sé o – per usare il linguaggio di Fusaro – pensare altrimenti, è un habitus che va acquisito nel tempo e non si può semplicemente ottenere dal giorno alla notte. La formazione della coscienza è un lavoro lungo e lento che richiede pazienza ma che è doveroso iniziare sapendo che non finisce mai. Perché è proprio dalla capacità di riconoscersi sempre in cammino e mai arrivati che parte ogni ricerca e ogni cammino di formazione della coscienza. Chi invece si crede arrivato, nell’arroganza della propria ostentata sapienza combatterà sempre contro l’agguato della manifestazione della verità che mai muta e mai si adegua al (e nel) corso del tempo.
In questi tempi di decadenza morale ed intellettuale (che le due cose vadano di pari passo lo insegnano i maestri del pensiero antico da Socrate all’umanesimo cristiano) vale la pena rivolgere lo sguardo ad un filosofo del tutto ignorato e sconosciuto, ma il cui pensiero gioverebbe non poco alla ri-formazione della coscienza del pensiero occidentale. Nella sua Introducción a la Sabiduria Juan Luis Vives, il più grande filosofo del rinascimento spagnolo e uno dei più grandi interpreti dell’umanesimo europeo del 500, raccomandava a chi muoveva i primi passi nel cammino della sapienza di diffidare dalle opinioni comuni che giudicano la realtà “con grande stoltezza” (quae stultissime de rebus iudicant). Per Vives giudicare rettamente discostandosi dalle dannose opinioni del volgo è dunque uno dei primi passi necessari nella ricerca della verità perché “grande maestro di errore è il popolo” (magnus erroris magister, populus). Accodarsi a un pensiero pre-confezionato (o pre-cotto) è sintomo di superficialità allontanamento dalla verità, per questo l’umanista spagnolo mette in guardia: “Vanno prima di tutto ritenuti sospetti tutti quei costumi largamente approvati dalla folla, a meno che essi non siano recepiti anche da chi valuta ogni cosa con virtù”.
L’applicazione di questo primo principio di prudenza intellettuale sarà la base della rinascita del pensiero per la formazione di un nuovo umanesimo che punti alla verità ai tempi delle dittature del pensiero (nelle sue varie e variegate declinazioni) e della disinformazione di massa: diffidare dagli applausi del coro mainstream per iniziare a ragionare con la propria testa, illuminati dalla luce della coscienza.

[*] Miguel Cuartero Samperi è nato a Roma nel 1982, figlio di padre spagnolo e madre italiana, terzo di nove fratelli. Cresciuto tra Roma e l’America Latina (Repubblica Dominicana, Haiti, Venezuela, Panama, Ecuador), partecipando per diversi anni alla missione dei genitori come catechisti itineranti. Ha conseguito il Baccalaureato in filosofia e in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e la Laurea Magistrale in filosofia presso l’Università “Roma Tre”, con una tesi “Il primato della coscienza nel pensiero e nella vita di Tommaso Moro”. Per le Edizioni San Paolo ha pubblicato “Nostra Signora che scioglie i nodi” (2013) e per Studium “Tommaso Moro. La luce della coscienza” (2019), che porta la prefazione del Cardinale Robert Sarah e la postfazione della Prof.ssa Elisabetta Sala. Cura il blog Testa del serpente – “Rinunciare a tutto per salvare la testa”. Sposato e padre di 4 figli.

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