Cremona: sant’Omobono invita i cittadini al ricamo per un capolavoro

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Imbastire, rammendare e ricamare: questi tre gesti della professione sartoriale sono stati gli stimoli che il vescovo della diocesi di Cremona, mons. Antonio Napolioni ha voluto rivolgere alla città in occasione della solennità patronale di sant’Omobono, suggeriti proprio dal sarto cremonese, diventato ‘padre dei poveri’, per rileggere e contemplare l’opera di Dio, nelle cui mani ogni vita ‘diventa un capolavoro’.

Ed a conclusione delle celebrazioni mons. Napolioni ha pranzato, come tradizione, nella Casa dell’accoglienza con gli ospiti delle opere segno della Caritas cremonese e gli utenti delle Cucine benefiche gestite dalla San Vincenzo de’ Paoli diocesana, facendo visita ai locali del rifugio notturno, rimessi da poco a nuovo.

Nell’omelia della messa pontificale mons. Napolioni ha richiamato i tre gesti caratteristici di un sarto, attraverso un messaggio ricevuto dal santo patrono: “La comunione dei santi consente il rinnovarsi di una spirituale immaginazione: credo infatti di aver ricevuto anche quest’anno un messaggio da sant’Omobono, vivo più che mai nel cielo di Dio. Volentieri me ne faccio latore per voi, per la città e la diocesi, di cui egli è amato patrono”.

Quindi il patrono ha lasciato tre parole ‘sartoriali’ per i concittadini, imbastire, rammendare e ricamare, al cui termine nasce un capolavoro. Innanzitutto il primo movimento del sarto consiste nell’imbastimento: “Per imbastire ci vuole un filo umile e povero, che serve a tracciare il disegno, a guidare le forbici, a dar forma al vestito, su misura di ogni persona, del suo corpo reale.

Un filo che sa scomparire, terminata la sua missione. Il Padre sa bene qual è il suo disegno, di salvezza e di vita, lo attua e lo rinnova guardando a Gesù, modello di carne e non di carta, sempre presente nella sua mente e all’orizzonte dell’umanità”.

Anche la vita del patrono cittadino ‘fu imbastita di semplice bontà’: “Ora vedo invece quanto voi siete costretti a correre, cambiare, sperimentare, con il rischio di vivere senza radici e senza identità. Non vi servirà uno sterile lamento, non cedete alla tentazione della nostalgia, mentre il Sarto divino punge col filo del presente per preparare comunque una trama di amore, un tempo di grazia. Se Egli non è stanco di voi, fate attenzione a non dimenticarvi di Lui”.

Un invito a ‘fermarsi’ in ascolto della Parola di Dio: “Il mondo che abitate si fa sempre più piccolo, affollato, ma non altrettanto fraterno. Dovete imbastire una visione alta e universale del vostro futuro, per non soccombere soffocati dagli stessi scarti del vostro irrazionale consumare beni, quelli della natura, come quelli degli affetti. La Chiesa non tema di proporre la sua visione integrale e liberante della vita umana, la sua dottrina sociale profonda e attuale, e convochi gli uomini di buona volontà ai crocevia della pace”.

La seconda parola riguarda il rammendo, cioè a tessere ‘trame’ diverse: “Per rammendare ci vuole un filo forte, ma non troppo, che riprenda trame e armonizzi colori, che ricucia gli strappi, come il chirurgo sutura le ferite. Il tessuto della vita, infatti, non è indenne da traumi e dolori, da crisi e prove”.

Dopo aver raccontato la sua vita di ‘rammendatore’ in un momento ‘cupo’ della città, sant’Omobono ha invitato i concittadini a ravvivare la vita personale e sociale della città: “Scelsi la povertà e la rinuncia, ritrovandomi ad essere, indegnamente, strumento della Provvidenza stupefacente di Dio: il pane si moltiplicava, l’acqua diventava vino, e gli ultimi ricevevano consolazione e speranza.

Non mi permetto di giudicare la vostra vita, ma solo voglio incoraggiarvi a non buttare i panni, e soprattutto chi ci sta dentro, appena sono un po’ logori. Reagite con determinazione al senso di declino che serpeggia, parlate tra voi del bene che cresce silenziosamente e dissociatevi dal male che reclama attenzione, per generare altro male.

Non nascondete la vostra vulnerabilità, perché quella è la stoffa con cui si fanno vere relazioni umane, quella la ferita da tenere aperta e pulita, perché ne sgorghi, come dal Crocifisso, l’acqua della vita e il sangue dell’amore”.

Infine per completare l’opera occorre la bellezza del ricamo attraverso un ‘filo finissimo e nobile’: “Per ricamare, infine, ci vuole un filo finissimo e nobile, magari dorato e d’ogni speciale colore, che sappia danzare sul tessuto e far brillare gli occhi e il cuore.

L’ho visto nelle abili mani di tante ricamatrici, e ripenso anche ai giorni in cui prendeva forma davanti a me il ricamo di pietra di questa meravigliosa cattedrale, un santo spreco d’amore e di bellezza”.

E li ha invitati a non escludere nessun ‘filo’ dal ricamo cittadino: “Vedo che oggi siete bravissimi nel confezionare vetrine e nel rivestire manichini, quando la plastica non finisce con l’invadere il corpo e il cuore. Sembrate tutti tanto belli, belle, quasi perfetti, così belli da non sembrare veri, mentre ‘la bellezza è lo splendore del vero’.

E mentre costringete ai margini chi non risulta all’altezza della spietata ‘società dell’immagine’, Dio va a cercare gli umili e li esalta come sa fare Lui… L’eleganza di una vita santa non è certo quella pretesa, artefatta ed ostentata, ma quella che ho imparato contemplando il nudo Crocifisso, sfigurato eppure irresistibile. Fissando lo sguardo su di Lui, ho potuto gustare una nuova bellezza, una diversa ricchezza”.

Tre verbi che sant’Omobono ha chiesto di applicare agli scenari di vita familiare, sociale e politica, ecclesiale e spirituale: “Sappiate però che non sono soltanto i verbi del mio antico lavoro. Sono le meraviglie che vedo operare dalle mani di ogni madre, e specialmente da Lei, Maria, che ha imbastito la carne del Figlio nel grembo della sua obbedienza a Dio, che ha rammendato il mondo col suo ascolto premuroso di ogni grido e di ogni supplica, che ricama fino all’ultima ora la veste nuziale per ciascuno di noi”.

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