Verbum et imago: la contemporaneità contempla il mistero

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Due mostre in rapida successione, ‘Luce da Luce’ (10-27 gennaio 2019, presso la Chiesa Santa Maria di Nazareth di San Cataldo) e ‘Un linguaggio plurale’ (16 marzo-15 aprile 2019 presso il Centro d’Arte e Cultura Pietro Montana di Bagheria-Palermo), offrono uno scorcio sulla prolifica attività artistica della ‘Scuola di Caltanissetta’.

Un gruppo di attenti osservatori della realtà contemporanea – Calogero Barba, Lillo Giuliana, Michele Lambo, Giuseppina Riggi, Salvatore Salamone, Franco Spena e Agostino Tulumello – uniti dall’impegno politico e civile, negli anni Settanta, individuano nella scrittura visuale un nuovo strumento per la loro espressività.

Costoro si inseriscono pienamente nel filone dell’arte contemporanea, che ha accompagnato il repentino scardinarsi dei sistemi tradizionali di concepire il mondo, in un turbine soggettivista e individualista; l’artista è demiurgo, capace di affrancarsi dalla rigida riproduzione della realtà per approdare ai nuovi lidi dell’esplorazione della sua interiorità. L’indirizzo della Scuola di Caltanissetta approda all’estetica della scrittura, segnalandosi per opere quali il libro-oggetto, la scultura visuale, la poesia-ambiente…

L’immagine si fa parola e la parola si fa immagine: in questa relazione biunivoca si realizza il recupero e l’esaltazione della lingua, svilita dalla comunicazione commerciale, e trasfigurata per rappresentare l’indagine dell’uomo-artista verso orizzonti nuovi. Incontrare due esponenti di spicco della Scuola, Michele Lambo e Salvatore Salamone, è un immergersi in mondi diversi, eppure complementari. Entrambi hanno lo stesso punto di partenza, la parola, ma differente è lo sviluppo: per Lambo, è ‘Infinito’ il totem ispiratore, lo stato d’essere che connota l’esperienza esistenziale.

Dunque, sulla base di questo lemma, impresso più volte nelle sue composizioni, come un monito, l’opera acquista una dimensione metafisica. L’artista, libero da schemi e dogmi, accoglie una prospettiva complessa dell’universo, nel quale e del quale l’individuo è attore: perdersi nel mistero è il destino annidato nel cuore di ognuno.

E’ il senso del sacro a superare i rigidi sentieri della ragione e ad ispirare la creatività. E’ la mente a concepire l’Infinito o è l’Infinito a prendere corpo nella mente? A questa domanda non è dato rispondere, e forse è meglio così, visto che solo attraverso la domanda si aprono itinerari esplorativi straordinari. Per Salvatore Salamone, invece, la domanda esistenziale ha trovato una risposta nella conversione-ritorno alla fede, in un percorso che preso il via dal suo essere artista.

La ‘crisi dell’arte’, culminata con Marcel Duchamp, è stata, infatti, la svolta per Salamone, che ha intrapreso un cammino verso la principale esperienza comunicativa umana, cioè la scrittura. Le lingue antiche, in particolare quella sumerica ed ebraica, forniscono lo strumentario stilistico per accedere e rendere intellegibile il mistero.

Il supporto scrittorio, come la pietra o l’argilla, raccoglie l’impronta della cultura accolta e tramandata, in un ideale passaggio tra generazioni e popoli. Ed è proprio il Dio dei cristiani ad aver scelto di manifestarsi come Verbo e incarnarsi nella storia. La Parola infinita ed eterna ha creato l’universo attraverso parole; nello stesso modo, l’artista esprime il mistero, rendendo tramite immagini il veicolo linguistico.

‘Luce da Luce’ non è solo un articolo della professione di fede, ma anche un credo e un paradigma artistico: la generazione del Figlio, consustanziale al Padre, è significata dal vero artista, capace di imprimere la propria sostanza di ingegno e creatività nell’opera, rivelando così il mistero dell’essere.

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