Per gli italiani la mafia è un fenomeno globale

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Il 74,9% degli italiani ritiene le mafie un ‘fenomeno globale’, con ‘uno scatto di consapevolezza rispetto alla gravità della presenza mafiosa’, ma solo il 38% dichiara che ‘la mafia dove abita è un fenomeno preoccupante e la sua presenza è socialmente pericolosa’, mentre ‘il 52% si divide tra coloro che la ritengono marginale e coloro che la ritengono preoccupante ma non socialmente pericolosa’; mentre solo per l’8,5% è diffusa in tutta Italia.

E’ quanto emerge da ‘Liberaidee. Rapporto sulla percezione e la presenza delle mafie e della corruzione in Italia’, presentato a Roma dall’associazione Libera. La ricerca quantitativa ha raccolto 10.343 questionari con una ripartizione territoriale che vede al primo posto le regioni del Sud (35,4%), seguite da Nord-Ovest (31,1%), Nord-Est (20,9%) e Centro (12,6%).

L’analisi qualitativa, concentrata invece su un campione del mondo del lavoro, ha raccolto oltre 100 interviste da responsabili o rappresentanti delle principali associazioni nazionali di categoria tra cui Confindustria, Confesercenti, Confartigianato, Coldiretti, Confcooperative. Sono tuttora in corso interviste sul campione estero dell’indagine.

Dall’indagine è emerso che oltre la metà degli italiani ritiene che nella propria regione vi sia la presenza di organizzazioni criminali di origine straniera con caratteristiche similari alle mafie tradizionali italiane, ma il 45,2% afferma di non essere in grado di identificare esattamente l’origine di questi gruppi mafiosi.

Tra coloro che rispondono in modo puntuale alla domanda, invece, prevale l’indicazione di mafie di origine cinese (16,8%), albanese (11,7%), balcanica (11,4%) e nigeriana (9.0%). Però Dire che le mafie sono un fenomeno globale (74,9%) non significa dire che anche il livello locale sia inquinato. Quando si dice globale spesso si indica qualcosa di indefinibile e lontano. Un oggetto misterioso che si muove in una dimensione sconosciuta a chi vive la dimensione del territorio circostante.

Insomma dire che la mafia è un fenomeno globale non significa dire che il suo potere si estende in tutta la Penisola. Infatti, solo l’8,5% degli intervistati risponde che la mafia esiste anche nel resto d’Italia. Se poi aggiungiamo che il 7,5% considera la mafia solo letteratura e che bisogna parlare di tante forme di criminalità otteniamo una rappresentazione ancora più indefinita della mafia, una specie di grande fratello dalle mille facce la cui identità non è rintracciabile.

C’è ancora difficoltà ad assumere le mafie come questione nazionale. Questa resistenza risulta preoccupante perché proviene dalle regioni che determinano l’andamento dell’economia nazionale. Ciò dovrebbe indurre a riflettere su un aspetto più generale che ha favorito il radicamento della criminalità mafiosa nel Nord: dal punto di vista economico le mafie non esistono, o meglio per inesperienza o ancora peggio per convenienza sono accettate come operatori del mercato soprattutto in contesti in cui possono movimentare flussi finanziari e garantire controllo della manodopera a prezzi competitivi.

L’assenza di violenza omicida ha consentito alle mafie, perciò, di nascondersi dietro la circolazione del denaro. Secondo i rispondenti, tra le attività principali delle mafie vi sono il traffico di stupefacenti (59%), la turbativa di appalti(27,9%) il lavoro irregolare (24,5%), l’estorsione(23%) , la corruzione dei funzionari pubblici(21,5%), il riciclaggio di denaro(20,6%) e lo sfruttamento della prostituzione(20,0%). Nell’opinione dei rispondenti la mafia toglie soprattutto libertà (37,8%), giustizia(30,9%), sicurezza (30%) e fiducia nelle istituzioni(23,4%).

Più in generale si osserva una netta prevalenza di fattori per così dire ideale-valoriali rispetto a dimensioni più concrete come quella del lavoro e della qualità ambientale. Inoltre circa due rispondenti su tre del campione (66,2%) sanno che i beni che sono stati confiscati vengono poi dati in uso per fini istituzionali o sociali; di questi, poco meno della metà è in possesso di informazioni precise, mentre i restanti sanno dell’esistenza di beni confiscati nel territorio regionale ma non sono in grado di individuarli puntualmente.

La conoscenza approfondita relativa alla presenza di beni confiscati cresce al crescere dell’età; non a caso è anche più frequente tra i lavoratori rispetto agli studenti: quest’ultimi infatti nel 45% dei casi pensano che i beni confiscati vengono venduti ai privati o messi all’asta. Nella grande maggioranza dei casi, oltre 8 su 10, i beni confiscati sono percepiti come una risorsa per il territorio, capace di portare benefici all’intera comunità locale.

Per quel che concerne le opinioni relative a quale debba essere l’utilizzo dei beni confiscati, secondo i rispondenti dovrebbero essere destinati in misura prioritaria a cooperative orientate all’inserimento lavorativo dei giovani (31%), alla realizzazione di luoghi pubblici di aggregazione e di educazione alla cittadinanza (23,5%) e a progetti di volontariato e di promozione sociale (18%).

Il tema del riutilizzo a favore dell’inserimento lavorativo sta più a cuore agli adulti e agli over 65 anni (quindi dei lavoratori e dei pensionati), mentre tra i giovani e giovanissimi è maggiormente sentita l’esigenza di assegnazione a scopo didattico per far conoscere meglio il fenomeno mafioso nelle scuole. Infine la funzione attribuita alla memoria delle vittime di mafia è prevalentemente quella di esempio per le nuove generazioni (33,4%) e di promozione dell’impegno civile antimafia (22,9%).

I più giovani evidenziano in misura superiore alla media il ruolo di conforto ed espressione di solidarietà alle famiglie delle vittime (22,3% vs 13,4% della media). Rispetto alla variabile territoriale, i rispondenti del Sud esprimono maggiore attenzione al riscatto del Meridione e alla necessità di offrire modelli positivi ai giovani, mentre ravvisano meno frequentemente una funzione della memoria in difesa dei valori costituzionali (7%).

Intanto il 22 ottobre è iniziato ‘Idee in viaggio’, percorso di oltre 200 tappe in Italia e in Europa nel quale i coordinamenti locali di Libera animeranno un dibattito a partire dai dati dell’indagine con l’obiettivo di riscrivere l’agenda dell’associazionismo in tema di mafie e corruzione, con una funzione di advocacy rispetto alle istituzioni competenti, che si concluderà il 21 marzo 2019 a Padova.

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